La città ha vinto la sua seconda Resistenza

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PIOMBINO 26 novem­bre 2014 — Come cro­nista, per cinque lunghi anni sono state tes­ti­mone di una stren­ua lot­ta di resisten­za. Ho segui­to i lavo­ra­tori Luc­chi­ni a Milano, a Roma e decine e decine di volte nelle assem­blee e nelle strade del­la nos­tra cit­tà. Ero nell’aula con­sil­iare quan­do Alex­ey Mor­dashov ass­es­tò il pri­mo colpo dichiaran­do non più strate­gi­co per Sev­er­stal il Grup­po Luc­chi­ni. Non tut­ti avver­tirono subito la por­ta­ta del­la dram­mat­i­ca crisi che si sta­va pre­sen­tan­do. Impos­si­bile che quel gigante d’acciaio si fer­masse, cer­to si sarebbe trova­ta una soluzione, qual­cuno dis­pos­to a pren­dere in mano il tim­o­ne di una nave che sta­va affon­dan­do in un minac­cioso mare di deb­iti. Mi aprì gli occhi un sin­da­cal­ista, Luciano Gabriel­li, a cui riconosco un grande intu­ito, durante un inter­vista mez­za ruba­ta al tavo­lo di un bar del cen­tro nel 2009, agli albori di ques­ta crisi. Ave­va ragione. Ques­ta non era come le altre e non ci sarem­mo usci­ti come ci erava­mo entrati. Piom­bi­no non era altro che uno dei cen­tri di una com­p­lessa ristrut­turazione del­la siderur­gia che avrebbe las­ci­a­to dietro di sé mor­ti e fer­i­ti.
L’allarme non venne subito ascolta­to. Le prime assem­blee dei lavo­ra­tori era­no pres­soché deserte. In trop­pi era­no sicuri che il fumo delle ciminiere non ci avrebbe abban­do­na­to e che sot­to avrebbe con­tin­u­a­to ad esser­ci il pane per migli­a­ia di famiglie.
Com’è anda­ta lo sap­pi­amo. Le certezze si sono pro­gres­si­va­mente assot­tigli­ate. La finan­za ha subito accer­chi­a­to il mori­bon­do. Le banche cred­itri­ci ave­vano azzan­na­to l’osso, cer­can­do di recu­per­are almeno qualche brici­o­la di quei 770 mil­ioni bru­ciati, insieme al coke, den­tro l’altoforno. Trop­po tar­di quei sig­nori in giac­ca e cra­vat­ta che abi­tano le stanze del­la Roth­schild, in via San­ta Resec­on­da a Milano, dove uno sparu­to grup­po di lavo­ra­tori infas­tidi­va le loro trame d’affari con sgrazi­ate gri­da, si sono resi con­to che non avreb­bero recu­per­a­to un bel fico sec­co e che avreb­bero procu­ra­to solo un altro dram­ma sociale.
Han­no abban­do­na­to il bidone quan­do era già vuo­to. I 360 mil­ioni del­la ven­di­ta degli sta­bil­i­men­ti france­si di Ascomet­al, pro­pri­età del Grup­po Luc­chi­ni, sono servi­ti anco­ra una vol­ta ad ali­menta­re quel po’ di fuo­co che ha con­sen­ti­to di con­tin­uare a colare acciaio. In pochi mesi è sta­to divo­ra­to l’intero pat­ri­mo­nio Luc­chi­ni, centocinquant’anni di lavoro suda­to, di mor­ti, di fer­i­ti, d’inquinamento. E’ duro fab­bri­care acciaio. Pic­coli uomi­ni devono stare dietro gli sportel­li fuman­ti di una cok­e­ria, ved­er pas­sare sulle pro­prie teste paioloni carichi di acciaio liq­ui­do pron­ti ad “esplodere” a con­tat­to con la pri­ma goc­cia d’acqua. Impianti gigan­teschi che sor­reg­gono un fine lavoro fat­to di for­mule chimiche, di dosag­gi e con­trol­li accu­rati per ottenere quell’acciaio dove scor­rono treni a 200–300 Km all’ora, che sor­reg­gono gigan­teschi palazzi e pon­ti.
Tut­to questo sta­va per finire. Devo riconoscere l’intelligente intu­izione dell’allora sin­da­co Gian­ni Ansel­mi, che poi si è trasferi­ta in una decisa volon­tà di azione, di ricer­care il piano B. Piom­bi­no dove­va essere mes­sa in con­dizione di affrontare l’eventuale cadu­ta del­la sua siderur­gia. Un’elaborazione e uno sfor­zo che sono diven­tati pat­ri­mo­nio col­let­ti­vo, azione e sper­an­za dei sin­da­cati, delle forze politiche più accorte e dell’intera cit­tà, sce­sa in piaz­za Bovio dietro un solo slo­gan: “Piom­bi­no non deve chi­ud­ere”.
Ma anche ques­ta sper­an­za ha com­in­ci­a­to a vac­il­lare. Nei bar, dal bar­bi­ere, per stra­da, ho sen­ti­to ser­peg­gia­re le ipote­si più assurde: una Dis­ney­land tra gli impianti Luc­chi­ni, file di ombrel­loni al pos­to delle ciminiere, anni di lavoro per smontare quel gigante di fer­ro vec­chio e arrug­gini­to. Illu­sioni che, ero cer­to, per quan­to fan­ta­siose non avreb­bero sos­ti­tu­ito quegli oltre tre mil­ioni che ogni mese la fab­bri­ca, pur zop­pa, con­tin­u­a­va a river­sare sul ter­ri­to­rio.
Lun­go questo cam­mi­no, che oggi ci ha por­ta­to a tirare il fia­to di fronte alla prospet­ti­va che il Grup­po Cevi­tal ci con­sente di intravedere, ci sono pur state incertezze e inci­ampi. Si è pas­sati dal vol­er difend­ere tut­to alle ipote­si min­ime, sal­vare il salv­abile, almeno i lam­i­na­toi. Poi dac­capo, a difend­ere l’altoforno ed il ciclo inte­grale dietro le promesse di uno stra­no per­son­ag­gio, Khaled Habah­beth, arriva­to da Dubai col suo cir­co cari­co di funam­bu­li e illu­sion­isti.
Era gius­to difend­ere l’altoforno che maci­na­va le ultime risorse nelle casse del com­mis­sario, suben­tra­to al tim­o­ne del­la barac­ca quan­do era già vuo­ta? No dal pun­to di vista dei con­ti, sì da quel­lo dei sin­da­cati che rischi­a­vano di ved­er dis­per­so il movi­men­to e van­i­fi­care anni di lotte, di sper­anze e di ricer­ca di una soluzione. L’inserimento di Piom­bi­no nel decre­to delle aree di crisi, la fir­ma degli accor­di di pro­gram­ma del 2013 e del 2014 e persi­no la velleità di portare la Cos­ta Con­cor­dia a Piom­bi­no per lo sman­tel­la­men­to sono servi­ti a creare le con­dizioni di oggi. Solo mesi fa la cit­tà ha assis­ti­to col fia­to sospe­so all’inizio del­la gara per la ces­sione del­la Luc­chi­ni. Fino all’ultimo istante pre­oc­cu­pa­ta che nes­suno si pre­sen­tasse con una pur mis­era bus­ta con un’offerta dal notaio. I lavori in por­to sono andati avan­ti in modo sor­pren­dente gra­zie anche a una pos­si­bil­ità che alcu­ni ave­vano subito bol­la­to come una pia illu­sione.
Oggi la sper­an­za è tor­na­ta. Si riven­di­cano mer­i­ti, sia da parte di chi ha ogget­ti­va­mente lavo­ra­to, sia pur tra incertezze e sban­date, e chi è sta­to a lun­go a guardare. Mi chiedo chi avrebbe invece avu­to, nel caso con­trario, il cor­ag­gio di assumer­si la respon­s­abil­ità di una stor­i­ca scon­fit­ta. A chi il mer­i­to? Cias­cuno in ques­ta vicen­da ha mes­so a dis­po­sizione ciò che possede­va. Chi l’intelligenza e la caparbi­età di ricer­care un risul­ta­to nei vari tavoli min­is­te­ri­ali, il gov­er­na­tore Rossi, l’ex sin­da­co Ansel­mi, il pres­i­dente dell’Autorità por­tuale Guer­ri­eri ed altri. Chi ha man­tenu­to la forza di bat­ter­si. Ho osser­va­to bene quei volti di lavo­ra­tori dis­perati, rimasti per mesi sen­za stipen­dio, conosco le gri­da di dolore di impren­di­tori che han­no per­so qua­si tut­to per man­tenere in vita quel­la fonte di lavoro che è la grande fab­bri­ca. Per questo dico, las­ci­ate che almeno una vol­ta questo mer­i­to vada a una intera cit­tà che ha saputo rea­gire ad una delle crisi più dram­matiche del suo dopoguer­ra. La com­pe­tizione polit­i­ca, le cam­pagne elet­torali in questo momen­to pas­sano in sec­on­do piano. La cit­tà ha vin­to la sua sec­on­da Resisten­za, las­ci­amo­la fes­teggia­re in atte­sa di una ricostruzione che non sarà sem­plice né indo­lore e richiederà cer­to altri sac­ri­fi­ci.

Gior­gio Pasquin­uc­ci

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