Dopo la chiusura di altoforno e acciaieria

Un parco di archeologia industriale nella Lucchini

· Inserito in Sotto la lente
Paolo Benesperi e Massimo Zucconi

PIOMBINO 1 set­tem­bre 2014 — Con la chiusura dell’altoforno e del­l’ac­ciaieria a Piom­bi­no è ces­sa­ta la pro­duzione di acciaio sec­on­do il mod­el­lo del ciclo inte­grale, un proces­so pro­dut­ti­vo rigi­do che una vol­ta avvi­a­to, sal­vo manuten­zioni, non pote­va più fer­mar­si. Ed invece si è fer­ma­to, cau­san­do la più grave crisi eco­nom­i­ca del­la Val di Cor­nia dal dopoguer­ra ad oggi.
È pos­si­bile pen­sare che quegli impianti ormai dismes­si spariscano, mag­a­ri per­ché ven­du­ti, e diventi­no solo l’ogget­to di un qualche roman­zo, per quan­to pregev­ole, così come lo sono diven­tati quel­li di Bag­no­li pro­tag­o­nisti, insieme all’operaio dell’Ilva-Italsider Vin­cen­zo Buono­core, de “La dis­mis­sione” di Erman­no Rea?
È pos­si­bile pen­sare che non pos­sano pas­sare inesora­bil­mente tren­t’an­ni per ritrovare anco­ra un prob­le­ma inso­lu­to cos­ti­tu­ito da enor­mi aree indus­tri­ali non più uti­liz­zate, né indus­trial­mente né per altri usi, ma sem­plice­mente abban­do­nate dopo essere diven­tate l’ogget­to di infi­nite prog­et­tazioni, pres­soché tutte mis­era­mente fal­lite, come è già accadu­to a Piom­bi­no con il pro­gram­ma di riqual­i­fi­cazione urbana di Cit­tà Futu­ra?
È pos­si­bile che il ter­mine rein­dus­tri­al­iz­zazione ambi­en­tal­mente com­pat­i­bile non riman­ga o non diven­ti l’en­nes­i­mo argo­men­to per con­veg­ni e sem­i­nari, ma pos­sa essere un proces­so real­mente prat­i­ca­bile? E in questo caso, quale futuro per impianti enor­mi e ter­reni una vol­ta pro­dut­tivi ed oggi non più?
È pos­si­bile uscire dal­la log­i­ca che prevede nec­es­sari­a­mente ven­dite o demolizioni degli impianti, mag­a­ri gius­tifi­cate, solo teori­ca­mente, dal­l’impiego degli operai che han­no per­so il lavoro?
È pos­si­bile par­lare del­la val­oriz­zazione di queste realtà come par­ti com­ple­men­tari di un prog­et­to com­p­lessi­vo di arche­olo­gia indus­tri­ale (absit ini­uria ver­bis) del resto già in parte real­iz­za­to per gli inse­di­a­men­ti indus­tri­ali e minerari antichi e non solo in Val di Cor­nia, all’iso­la d’El­ba e nelle Colline Met­al­lif­ere, tut­ti con­nes­si alla met­al­lur­gia?email hid­den; JavaScript is required“>email hid­den; JavaScript is required” alt=“lucchini-siderurgia-007-kdMI–258x258@IlSole24Ore-Web” width=“258” height=“258” />
Il cen­tro siderur­gi­co di Piom­bi­no è sta­to parte del­lo svilup­po del­la siderur­gia euro­pea a par­tire dal­la ricostruzione post­bel­li­ca, pas­san­do per la ristrut­turazione degli ultimis­si­mi anni ’70/primi anni ’80 con­dot­ta dal com­mis­sario europeo Éti­enne Davi­gnon, per la cresci­ta ed il decli­no delle parte­ci­pazioni statali e per la con­seguente fase delle pri­va­tiz­zazioni. Piom­bi­no ha resis­ti­to con il suo ciclo inte­grale fino al 2014 quan­do i cen­tri siderur­gi­ci ital­iani (Gen­o­va-Cornigliano, Piom­bi­no, Bag­no­li e Taran­to) da quat­tro sono pas­sati a due ( nel 1989 chiuse l’area a cal­do di Bag­no­li e tra il 2002 e il 2005 la cok­e­ria e l’altoforno del­lo sta­bil­i­men­to di Cornigliano a Gen­o­va), ma non ha colto le sfide del­la qual­i­fi­cazione dei suoi prodot­ti, del­la neces­sità di arrivare a indis­pens­abili economie di scala, che non ha mai avu­to, del­l’ob­bli­go di fare i con­ti con la neg­a­ti­va par­ti­co­lar­ità ital­iana del cos­to del­l’en­er­gia o con la con­cor­ren­za del forno elet­tri­co. Sarebbe sta­to pos­si­bile affrontare le defi­cien­ze strut­turali del­lo sta­bil­i­men­to di Piom­bi­no, ma sareb­bero sta­ti nec­es­sari prog­et­ti e inves­ti­men­ti. Quan­do si è pen­sato di real­iz­zarli era ormai trop­po tar­di. Le stesse diverse forme di assis­ten­zial­is­mo pub­bli­co, non con­nesse a pro­ces­si di ristrut­turazione e qual­i­fi­cazione, han­no con­tribuito a pro­l­un­gare una situ­azione che non pote­va non con­durre alla crisi eco­nom­i­ca e finanziaria, all’ insol­ven­za e, infine, al fal­li­men­to gesti­to nelle forme del­la pro­ce­du­ra di ammin­is­trazione stra­or­di­nar­ia non anco­ra con­clusa. Anche in quest’ul­ti­ma fase, aver con­fida­to sul­la pos­si­bil­ità di difend­ere inte­gral­mente un proces­so pro­dut­ti­vo che accu­mula­va perdite eco­nomiche e finanziarie ha solo bru­ci­a­to risorse e tem­po, tem­po prezioso. Vedremo a cosa porterà l’u­ni­ca offer­ta oggi pre­sente, quel­la di JSW Steel Lim­it­ed, ma in ogni caso il vero prob­le­ma è quel­lo di com­in­cia­re a ragionare nel modo in cui fino ad oggi non si è fat­to, anzi si è volu­ta­mente evi­ta­to: par­tire dal pre­sup­pos­to che si pone con­tem­po­ranea­mente sia un prob­le­ma di man­ten­i­men­to (pur lim­i­ta­to ad una dimen­sione che per ora non è dato sapere) di un’at­tiv­ità indus­tri­ale siderur­gi­ca, sia un prob­le­ma di riu­so di vaste aree inuti­liz­zate e di gran­di impianti dismes­si che non potran­no più avere la fun­zione per la quale furono costru­iti. Si trat­ta di muta­men­ti rad­i­cali che, sen­za las­cia­r­si andare a sem­pli­fi­cazioni e illu­sioni, impon­gono di aprire una fase cor­ag­giosa di riprog­et­tazione del futuro dell’area indus­tri­ale di Piom­bi­no in un con­testo ter­ri­to­ri­ale ed eco­nom­i­co molto diver­so da quel­lo conosci­u­to fino ad oggi. 4 fotografico copiaLa crisi (non solo quel­la del­la Luc­chi­ni, basti pen­sare alla Mag­o­na e alla chiusura del­la cen­trale ter­moelet­tri­ca dell’ ENEL) ed i suoi svilup­pi (alcu­ni dei quali anco­ra inde­cisi) bastereb­bero da soli a gius­ti­fi­care la revi­sione di piani strut­turali, per­al­tro solo parzial­mente coor­di­nati tra i Comu­ni del­la Val di Cor­nia (San Vin­cen­zo e Sas­set­ta non han­no più ader­i­to al coor­di­na­men­to), con­cepi­ti pri­ma del­la crisi del 2008, mod­i­fi­cati con vari­anti sostanziali ancorché set­to­ri­ali non dis­cusse col­le­gial­mente (tra cui pro­prio quelle rel­a­tive agli asset­ti indus­tri­ali e por­tu­ali di Piom­bi­no) e, infine, attuati con rego­la­men­ti urban­is­ti­ci comu­nali di dura­ta quin­quen­nale che anco­ra oggi con­fi­dano sul­la cresci­ta quan­ti­ta­ti­va delle costruzioni civili, com­mer­ciali e pro­dut­tive con rel­a­tivi con­su­mi di suo­lo. Sarebbe sta­ta nec­es­saria una rif­les­sione ed una prog­et­tazione a 360 gra­di che rifug­gisse da visioni set­to­ri­ali, da improvvisazioni e da soluzioni con­tin­gen­ti sen­za prospet­tive cred­i­bili di sosteni­bil­ità e util­ità sociale nel tem­po. Abbi­amo invece assis­ti­to a infini­ti accor­di ed intese isti­tuzion­ali cir­co­scrit­ti al solo Comune di Piom­bi­no, spes­so costru­iti con approc­ci e pro­ce­dure emer­gen­ziali gius­tifi­cate dal­la crisi indus­tri­ale, ma in realtà con­nes­si ad even­ti esterni come il naufra­gio del­la Con­cor­dia. C’è da augu­rar­si che si tro­vi una uti­liz­zazione per le gran­di opere marit­time in cor­so di real­iz­zazione nel por­to di Piom­bi­no, ma non è cer­to un buon viati­co l’aver con­cepi­to una legge (24 giug­no 2013, n. 71), i suc­ces­sivi accor­di isti­tuzion­ali e un inves­ti­men­to di oltre 130 mil­ioni di euro (molti dei quali sot­trat­ti alle boni­fiche) per rot­ta­mare a Piom­bi­no la “Con­cor­dia” naufra­ga­ta al Giglio quan­do era­no evi­den­ti le incon­gruen­ze tem­po­rali e logis­tiche per rag­giun­gere quell’obiettivo, tant’è che quel­la nave sarà sman­tel­la­ta a Gen­o­va. L’emergenza vera di Piom­bi­no è ques­ta: col­mare il vuo­to prog­et­tuale gen­er­a­to dai trop­pi anni in cui ci si è affi­dati a soluzioni estem­po­ra­nee e decon­tes­tu­al­iz­zate e per questo prive di fon­da­men­to, dai fanghi di Bag­no­li del 2007 alla rot­ta­mazione del­la Con­cor­dia del 2014, pas­san­do nel 2009 per le illu­sioni di una nuo­va acciaieria den­tro la cit­tà (il min­imill nelle aree non più uti­liz­zate per fini indus­tri­ali di Cit­tà Futu­ra), fino alle ultime chimere del “sog­no arabo” che con­tem­pla­vano la con­ti­nu­ità pro­dut­ti­va dell’altoforno fino a quan­do non fos­se sta­to costru­ito un nuo­vo sta­bil­i­men­to a ciclo inte­grale a Ischia di Cro­ciano per poi real­iz­zare alberghi e por­ti tur­is­ti­ci nelle aree indus­tri­ali dismesse, dopo aver demoli­to alto­forno, cok­e­ria e acciaieria esisten­ti. Nat­u­ral­mente il tut­to avrebbe dovu­to con­vi­vere con l’ipotesi di costru­ire nel mare anti­s­tante un “polo europeo per la rot­ta­mazione delle gran­di navi”, oggi ridi­men­sion­a­to a por­to in cui demolire alcune navi del­la mari­na mil­itare ital­iana. Questi proposi­ti, alla luce dei fat­ti, appaiono ora inim­mag­in­abili, ma fino a pochi mesi fa, purtrop­po, han­no cos­ti­tu­ito la base di un’ illu­sione col­let­ti­va (alla quale era dif­fi­cile oppor­si sen­za incor­rere in lin­ci­ag­gi morali), per molti indot­ta dal­la dis­per­azione del­la perdi­ta del lavoro e per altri da un deficit di capac­ità di gov­er­no o, peg­gio anco­ra, dall’uso politi­co del­la crisi per costru­ire effimeri con­sen­si elet­torali. 5 fotografico copiaSe una nuo­va piani­fi­cazione ter­ri­to­ri­ale in Val di Cor­nia è dunque urgente, lo è anco­ra di più inter­venire per cor­reg­gere accor­di isti­tuzion­ali che, anco­ra in nome del­la crisi indus­tri­ale, rischi­ano di aggravare la situ­azione. Mol­ta atten­zione, ad esem­pio, deve essere ripos­ta al tema delle boni­fiche (tan­to decla­mate quan­to non prat­i­cate anche in pre­sen­za di reali risorse finanziarie pub­bliche), sia per garan­tire razion­al­ità prog­et­tuale nei pro­ces­si di risana­men­to ambi­en­tale, sia per rac­cor­dare le boni­fiche a sce­nari sosteni­bili di riu­so dei ter­reni. Serve un pro­gram­ma com­p­lessi­vo dove boni­fiche e riu­so delle aree indus­tri­ali siano stret­ta­mente con­nes­si e inte­grati nel­la visione che si ha del futuro di Piom­bi­no, del­la Val di Cor­nia e dell’area vas­ta che com­prende almeno l’isola d’Elba e le Colline Met­al­lif­ere. In ques­ta visione dovran­no nat­u­ral­mente trovare un ruo­lo la con­ti­nu­ità pro­dut­ti­va delle par­ti delle indus­trie siderur­giche in gra­do di stare sul mer­ca­to, la creazione di aree boni­fi­cate e urban­iz­zate per l’insediamento di nuove attiv­ità pro­dut­tive e di servizio, lo svilup­po del por­to com­mer­ciale e passeg­geri. Non può sfug­gire, però, come sem­bra stia acca­den­do, che in questi ter­ri­tori si con­cen­tra­no anche le trac­ce di una stra­or­di­nar­ia e duratu­ra attiv­ità di estrazione e lavo­razione dei met­al­li dall’antichità fino alla fase con­tem­po­ranea, pas­san­do per la fase etr­usco-romana, il medio­e­vo, il rinasci­men­to e l’ìn­dus­tri­al­iz­zazione del XIX° sec­o­lo. E’ un pat­ri­mo­nio cul­tur­ale uni­co, di ril­e­van­za euro­pea e mon­di­ale, che meri­ta la dovu­ta atten­zione, tan­to più se si con­sid­era che per la sua val­oriz­zazione sono state intrap­rese nei decen­ni pas­sati molte inizia­tive da parte di isti­tuzioni nazion­ali, region­ali e locali e da isti­tu­ti di ricer­ca uni­ver­si­tari nazion­ali ed esteri. Non è un caso che qui abbiano pre­so vita il sis­tema dei Parchi del­la Val di Cor­nia (di cui sono parte cos­ti­tu­ti­va l’antica cit­tà etr­usca di Pop­u­lo­nia e il vil­lag­gio minerario medievale di San Sil­ve­stro), il Par­co Tec­no­logi­co Arche­o­logi­co delle Colline Met­al­lif­ere, il Par­co Minerario dell’Isola d’Elba, fino alla recente aper­tu­ra del Museo del Fer­ro e del­la Ghisa a Fol­loni­ca. I gran­di impianti siderur­gi­ci dismes­si del­lo sta­bil­i­men­to Luc­chi­ni sono il cuore del­la fase con­tem­po­ranea di questo pat­ri­mo­nio e pos­sono cos­ti­tuire uno stra­or­di­nario val­ore aggiun­to stori­co e doc­u­men­tale. Pen­sare alla loro demolizione per creare, ammes­so che sia pos­si­bile, occu­pazione tem­po­ranea sen­za nes­suna idea di cosa accadrà su quei ter­reni una vol­ta rasi al suo­lo i vec­chi impianti è sem­plice­mente un crim­ine cul­tur­ale. Scon­cer­tano il silen­zio delle isti­tuzioni e del­lo stes­so mon­do acca­d­e­mi­co, un tem­po, anche se non sem­pre, più vig­ile nell’evitare scem­pi e dis­truzioni del pat­ri­mo­nio cul­tur­ale, com­pre­sa l’archeologia indus­tri­ale. Scon­cer­ta che non si pon­ga atten­zione alle espe­rien­ze europee che, a par­tire da crisi analoghe, han­no saputo ricostru­ire iden­tità ter­ri­to­ri­ali, econo­mia e nuo­va occu­pazione. 3 fotografico copiaVen­ti anni fa, quan­do in Italia veni­va sman­tel­la­ta l’Italsider di Bag­no­li, la Ger­ma­nia dice­va addio alle miniere del­la Ruhr, cuore dell’industria pesante tedesca, per dare avvio ad un pro­gram­ma di ricon­ver­sione di un’area vas­ta che com­pren­de­va 53 comu­ni con cir­ca 5 mil­ioni e mez­zo di abi­tan­ti. Quell’area è oggi un insieme di mon­u­men­ti indus­tri­ali, di musei, di miniere aperte al pub­bli­co, di strut­ture per even­ti cul­tur­ali, di pae­sag­gi recu­perati e ricostru­iti, tant’è che nel 2010 la Ruhr è sta­ta elet­ta cap­i­tale euro­pea del­la cul­tura. Tra fon­di europei e pri­vati si sti­ma che siano sta­ti investi­ti qua­si 600 mil­ioni di euro; una som­ma non molto diver­sa da quel­la che era sta­ta pre­ven­ti­va­ta per trasferire a Piom­bi­no i fanghi di Bag­no­li. La dif­feren­za è che quei sol­di sono sta­ti spe­si davvero, rap­i­da­mente e bene. In quel­la ter­ra boni­fi­ca­ta, dove perfi­no le colline di detri­ti sono diven­tate pun­ti panoram­i­ci, sono sta­ti creati oltre 20 mila nuovi posti di lavoro, molti dei quali asseg­nati a figli e nipoti di operai e mina­tori e ogni anno si con­tano cir­ca 17 mil­ioni di pre­sen­ze tur­is­tiche. A Pom­pei i vis­i­ta­tori super­a­no di poco i 2 mil­ioni. Meri­ta citare il com­men­to di Heinz Dieter Klink, gov­er­na­tore del­la Ruhr dal 2005 al 2011: “Abbi­amo cre­ato una attraente metropoli del­la cul­tura del ter­zo mil­len­nio, dove l’aria è buona, gli abi­tan­ti vivono bene e han­no vici­no casa molti sti­moli per il loro tem­po libero. Abbi­amo cre­ato un pilas­tro del tut­to nuo­vo per il futuro del­la nos­tra ter­ra: l’industria del tur­is­mo. Questo vuol dire che, recu­peran­do la memo­ria degli ulti­mi due sec­oli, abbi­amo investi­to bene sul futuro”. Dall’esperienza del­la Ruhr ci sep­a­ra­no molte cose, a par­tire dal­la dimen­sione ter­ri­to­ri­ale (ma anche qui è pos­si­bile creare un dis­tret­to cul­tur­ale molto este­so) e dal fat­to che il pat­ri­mo­nio cul­tur­ale ital­iano è molto più vas­to e dif­fu­so di quel­lo tedesco. Non c’è dub­bio, però, che in ques­ta parte del­la Toscana merid­ionale esistono stra­or­di­nar­ie pecu­liar­ità cul­tur­ali come la con­ti­nu­ità mil­lenar­ia delle lavo­razioni met­al­lur­giche e un soli­do con­testo tur­is­ti­co rap­p­re­sen­ta­to dal­la stes­sa Val di Cor­nia, dall’ Alta Marem­ma e dall’isola d’Elba che cos­ti­tu­is­cono indub­bi fat­tori com­pet­i­tivi. L’altoforno e l’ac­ciaieria  dismes­si a Piom­bi­no dis­tano pochi chilometri dai quartieri indus­tri­ali dell’antica Pop­u­lo­nia dove gli etr­uschi fonde­vano il fer­ro oltre duemi­la anni fa e poche centi­na­ia di metri dal por­to da cui tran­si­tano annual­mente cir­ca tre mil­ioni di passeg­geri. Con­dizioni queste non rin­veni­bili nel­la Ruhr come in molte altre realtà europee che, a par­tire dal­la crisi, han­no avvi­a­to pro­ces­si di ricon­ver­sione eco­nom­i­ca basati sul­la val­oriz­zazione del pat­ri­mo­nio stori­co-indus­tri­ale. La dif­feren­za, quin­di, più che nei con­testi ter­ri­to­ri­ali, deve essere ricer­ca­ta nel deficit di visione polit­i­ca e nel­la capac­ità di affrontare prog­et­ti com­p­lessi e inter­set­to­ri­ali di cui il pat­ri­mo­nio cul­tur­ale cos­ti­tu­isce parte non mar­ginale. Persi­no la memo­ria difet­ta, bas­ta pen­sare che ques­ta tem­at­i­ca non è estranea alla elab­o­razione polit­i­ca ed isti­tuzionale del­la Val di Cor­nia se è vero che fin dal 1984, dopo la sta­gione dei piani rego­la­tori coor­di­nati e con­tem­po­ranea­mente alla elab­o­razione dei loro stru­men­ti attua­tivi, si ragion­a­va, non solo in ter­mi­ni teori­ci ma anche oper­a­tivi, sui beni cul­tur­ali in una zona di crisi siderur­gi­ca. Di questo a Piom­bi­no oggi non si par­la, come non se ne par­la negli infini­ti e non attuati accor­di isti­tuzion­ali dove l’autorità dei sogget­ti sot­to­scrit­tori ha fat­to spes­so da con­traltare alla vaghez­za dei proposi­ti enun­ciati. Nel frat­tem­po nel 2010 è sta­to demoli­to il più vec­chio alto­forno del­lo sta­bil­i­men­to Luc­chi­ni, l’ AFO 1, spen­to da decen­ni. Al suo pos­to è sta­to costru­ito un nuo­vo impianto per la fran­tu­mazione delle scorie, prob­a­bil­mente des­ti­na­to anch’esso alla dis­mis­sione. Per effet­tuare quel­la demolizione l’amministrazione comu­nale in car­i­ca rimosse i vin­coli urban­is­ti­ci che ven­ti anni pri­ma altre ammin­is­trazioni ave­vano pos­to a tutela di un impianto che già allo­ra veni­va con­sid­er­a­to pat­ri­mo­nio cul­tur­ale. Le pre­messe, quin­di, non sono buone, ma c’è anco­ra un mar­gine per agire. Si apra seri­amente un con­fron­to urgente con tutte le com­po­nen­ti politiche, eco­nomiche, sociali e cul­tur­ali, nazion­ali ed europee, inter­es­sate ad un prog­et­to di ricon­ver­sione di Piom­bi­no nel quale la com­po­nente stori­co cul­tur­ale non sia con­cepi­ta come risor­sa resid­uale, ma come pat­ri­mo­nio del­la nos­tra sto­ria pro­dut­ti­va da val­oriz­zare nel pre­sente e nel futuro prossi­mo. Un’ ennes­i­ma omis­sione sarebbe imper­don­abile e allon­tanerebbe ulte­ri­or­mente le sper­anze di una cit­tà e di un ter­ri­to­rio che devono rein­ventare il pro­prio futuro con le idee, pri­ma anco­ra che con accor­di for­mali des­ti­nati ad ali­menta­re la copiosa quan­to incon­clu­dente pro­duzione di atti ammin­is­tra­tivi inat­tuati. DSC_5453Ovvi­a­mente non si trat­ta solo di preser­vare impianti non più uti­liz­za­ti, anche se per la ver­ità la con­ser­vazione sarebbe già buona cosa. Il tema, così come per tut­ti i beni cul­tur­ali, è la con­tes­tuale prat­i­ca del­la con­ser­vazione e del­la val­oriz­zazione. Che gli impianti indus­tri­ali dismes­si, ancorché mod­erni, pos­sano deg­na­mente rien­trare in un prog­et­to di arche­olo­gia indus­tri­ale non solo è sosteni­bile con argo­men­tazioni teoriche, ma anche con espe­rien­ze con­crete come la già cita­ta Ruhr, la Saar e altre anco­ra. Questi proposi­ti, del resto, era­no già pre­sen­ti negli stu­di sui parchi cul­tur­ali pro­mossi dal­la Regione Toscana nel 1994 e han­no cos­ti­tu­ito la base per la real­iz­zazione del sis­tema dei parchi del­la Val di Cor­nia, tutt’oggi con­sid­er­a­ta una delle migliori pratiche ital­iane in mate­ria di val­oriz­zazione del pat­ri­mo­nio cul­tur­ale, con una visione inte­gra­ta che unisce le valen­ze cul­tur­ali con quelle ter­ri­to­ri­ali e le une e le altre con quelle eco­nomiche, inten­den­do con ciò la sosteni­bil­ità ges­tionale e la capac­ità di pro­durre ricadute sull’economia e sull’occupazione. Di tut­to ciò non c’è trac­cia nel­l’ac­cor­do di pro­gram­ma per la rein­dus­tri­al­iz­zazione dell’ aprile 2014 la cui filosofia nien­t’al­tro è che la mes­sa a dis­po­sizione di un po’ di finanzi­a­men­ti pub­bli­ci a tito­lo di incen­ti­vazione e chi vivrà vedrà. A Piom­bi­no e in Val di Cor­nia serve un prog­et­tazione ben più com­p­lessa con una strate­gia nel­la quale la val­oriz­zazione cul­tur­ale sia sol­i­da­mente anco­ra­ta alla sosteni­bil­ità eco­nom­i­co-finanziaria, con un approc­cio metodologi­co nel quale i finanzi­a­men­ti pub­bli­ci sono l’ul­ti­ma eve­nien­za e con­ve­nien­za, non cer­to la pri­ma. Qui, a par­tire da quel­lo che è già sta­to real­iz­za­to negli anni pas­sati e di fronte alla ril­e­van­za stor­i­ca degli impianti dismes­si nelle acciaierie di Piom­bi­no nel 2014, è pos­si­bile immag­inare lo svilup­po di un dis­tret­to cul­tur­ale vas­to, este­so almeno all’isola d’Elba e alle Colline Met­al­lif­ere, superan­do mod­el­li orga­niz­za­tivi fram­men­tati e ges­tioni trop­po spes­so dipen­den­ti dai trasfer­i­men­ti pub­bli­ci. Cosa molto diver­sa dal pro­porre, come fan­no talu­ni espo­nen­ti dei Comu­ni, la trasfor­mazione del­la Soci­età Parchi Val di Cor­nia ( l’u­ni­ca, per­al­tro, che ha una mag­giore propen­sione all’autofinanziamento) in un altro ente par­co con l’unico inten­to di trasferire su altri enti pub­bli­ci l’onere di coprire le perdite d’esercizio, molte delle quali gen­er­ate dal fat­to che sono sta­ti gli stes­si Comu­ni a sot­trarre alla loro soci­età di ges­tione le risorse finanziare gen­er­ate pro­prio nei parchi, come è sta­to il caso degli introiti dei parcheg­gi del par­co nat­u­rale del­la Ster­pa­ia e del par­co arche­o­logi­co di Barat­ti e Pop­u­lo­nia a Piom­bi­no.
E’ una sfi­da com­p­lessa ma poten­zial­mente capace di rilan­cia­re lo svilup­po di un prog­et­to cul­tur­ale in gra­do di creare nuo­va econo­mia e di con­no­tare il futuro di una parte ril­e­vante del­la Toscana. Impeg­no dif­fi­cile, cer­ta­mente, ma se gli enti pub­bli­ci ter­ri­to­ri­ali e nazion­ali non si assumessero quest’ onere cos’al­tro dovreb­bero fare?

Foto di Pino Bertel­li)

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