Clandestina a 40 anni: l’odissea di una rumena

· Inserito in Tema del mese (ar)
Niccolò Pini

Eca­te­ri­na ha 52 anni e viene dal­la Roma­nia. La sua sto­ria non è una bel­la sto­ria e purtrop­po è sim­i­le a quel­la di tan­ti immi­grati nel nos­tro Paese. Episo­di che si pos­sono com­pren­dere viven­doli, che met­tono a dura pro­va la dig­nità per­son­ale, la pro­pria forza di reazione, la resisten­za a umil­i­azioni che purtrop­po e spes­so rap­p­re­sen­tano la quo­tid­i­an­ità.  Che non sem­pre è pos­si­bile capire per chi ha gli stes­si prob­le­mi.

Come è inizia­ta la tua avven­tu­ra in Italia? 

Tut­to è inizia­to dopo la riv­o­luzione del ’89 quan­do, con la cadu­ta del regime Ceaușes­cu, si deter­minò un peri­o­do d’in­sta­bil­ità polit­i­ca e una grave crisi eco­nom­i­ca. Sono lau­re­a­ta in ingeg­ne­r­ia genet­i­ca e a quel tem­po lavo­ra­vo all’ inter­no del­l’u­ni­ver­sità; fui una delle prime ad essere licen­zi­a­ta, ave­vo tre figli da man­tenere e così mi misi subito a cer­care un altro lavoro. Otten­ni, per un peri­o­do, un impiego come riscos­sore delle imposte per i rifiu­ti ma con la crisi e il mal­con­tento svol­gere le fun­zioni di esat­tore diven­tò un lavoro peri­coloso; c’era il ris­chio di venire aggred­i­ta o addirit­tura deru­ba­ta. Quin­di fui costret­ta a smet­tere. Trovai una nuo­va occu­pazione al cen­tro anal­isi del pron­to soc­cor­so e con­tem­po­ranea­mente lavo­ra­vo al nero come opera­ia in una fab­bri­ca di calzi­ni. Ma, nonos­tante questi due lavori non rius­ci­va­mo ad avere un tenore di vita deg­no: i sol­di ci bas­ta­vano appe­na per arrivare alla sec­on­da set­ti­mana”.

Per­ché pro­prio l’I­talia?

In quel peri­o­do ci fu un grosso flus­so migra­to­rio dal nos­tro paese ver­so la Spagna e l’I­talia; ave­vo degli ami­ci in Toscana che mi con­vin­sero a par­tire. Sape­vo che venire in l’I­talia avrebbe sig­ni­fi­ca­to una vita clan­des­ti­na ed infat­ti, pri­ma scegliere, pre­si in con­sid­er­azione altre ipote­si: Tel Aviv e Vien­na. Non si las­cia il pro­prio paese e i pro­pri figli  se non si è  in una situ­azione estrema, vole­vo assi­cu­rare alle mie ragazze un futuro: la più grande fre­quen­ta­va l’u­ni­ver­sità, l’al­tra sta­va facen­do un cor­so pro­fes­sion­ale per par­ruc­chiere. Se non aves­si fat­to ques­ta scelta non avrei potu­to più garan­tire loro un futuro. Così decisi di par­tire”.

Come sei arriva­ta in Italia?

A Bucarest esiste­vano alcune agen­zie tur­is­tiche che orga­niz­za­vano viag­gi andata/ritorno in Italia; dove­vi dimostrare di avere almeno l’e­quiv­a­lente di 500 dol­lari, stip­u­lare un’as­si­cu­razione san­i­taria e richiedere un vis­to tur­is­ti­co di tre mesi. Chi orga­niz­za­va questi viag­gi, però, era ben con­sapev­ole che  col­oro che parti­vano non avreb­bero fat­to ritorno. In Roma­nia las­ci­ai i miei figli, mia madre dia­bet­i­ca, che pochi mesi dopo la mia parten­za morì, gli ami­ci, insom­ma tut­ta la mia vita. Non sape­vo cosa mi aspet­ta­va in Italia,  non conosce­vo la lin­gua: l’u­ni­ca sicurez­za era la parten­za sen­za sapere quan­do avrei riv­is­to i miei cari”.

 Qual è sta­to l’im­pat­to con l’I­talia?

 “L’im­pat­to è sta­to duro. La pri­ma cat­ti­va notizia era che i miei titoli di stu­dio qui era­no car­ta strac­cia, non parla­vo l’i­tal­iano, quin­di ero uno dei tan­ti romeni immi­grati in Italia. La cosa peg­giore è sta­ta quan­do, scadu­to il vis­to, sono divenu­ta uffi­cial­mente clan­des­ti­na. Non è facile inte­grar­si in un paese quan­do vivi clan­des­ti­na­mente, ti sen­ti un cor­po estra­neo nel­la soci­età, non hai riconosci­men­ti, non hai un lavoro rego­lare e anche il rap­por­to con gli ital­iani diven­ta dif­fi­cile; conosce­vo un po’ l’in­glese ma non mi è servi­to, quan­do cer­ca­vo di par­lare con qual­cuno ogni vol­ta che apri­vo boc­ca e capi­vano che non ero ital­iana l’e­spres­sione del viso del mio inter­locu­tore cam­bi­a­va. Non è razz­is­mo è solo dif­fi­den­za ma questo accen­tu­a­va il mio sen­so di alien­azione”.

Che lavori hai svolto?

Come dice­vo i miei titoli di stu­dio non ser­vivano a niente, quin­di ho inizia­to a fare la badante e poi ho trova­to lavoro in agri­coltura dove sono rimas­ta fino ad oggi. Qua­si tut­to quel­lo che guadag­na­vo lo spe­di­vo in Roma­nia ai miei ragazzi, cer­ca­vo di tirare la cinghia più pos­si­bile. Inizial­mente me la cava­vo, ma da quan­do è sta­to introdot­to l’eu­ro ho dovu­to fare più fat­i­ca. Come tut­ti cre­do”.

E il rap­por­to con gli ital­iani?

La mia non è un espe­rien­za pos­i­ti­va, si con­tano sulle dita di una mano quel­li che davvero mi han­no aiu­ta­to. A parte il mio attuale com­pag­no e le per­sone vicine a lui, ho rice­vu­to tante porte in fac­cia.
Capis­co che molti pensi­no che chi emi­gra rubi loro il lavoro o che addirit­tura ven­ga per delin­quere, ma bisogna met­ter­si anche nei nos­tri pan­ni, Se las­ci la famiglia, il tuo paese a 40 anni lo fai solo per­ché non hai altra scelta. Forse pro­prio l’età non mi ha aiu­ta­to, se si è gio­vani è più facile social­iz­zare ed inte­grar­si.
L’es­pe­rien­za più brut­ta che ho vis­su­to è sta­ta quan­do sono anda­ta a cer­care lavoro per la rac­col­ta nei campi, una mia ami­ca ital­iana mi disse che c’era un agri­coltore che cer­ca­va man­od­opera, io ci andai. Ma quan­do mi pre­sen­tai da lui mi disse: <Io non assumo immi­grati, li dis­prez­zo>.
<Allo­ra — gli chiesi — per­ché mi ave­va fat­to venire a par­lare con lei dal momen­to che la mia ami­ca le ave­va det­to che io ero straniera> . Lui mi rispose che queste parole me le vol­e­va dire in fac­cia”.

Hai avu­to anche espe­rien­ze pos­i­tive?

Sì, cer­to. Ho trova­to un com­pag­no ital­iano con cui mi sono sposa­ta da poco, vivo una vita nor­male e tran­quil­la e tra poco avrò anche la cit­tad­i­nan­za. l’I­talia, nonos­tante i prob­le­mi che ci sono, è anco­ra un paese civile. Sono sta­ta di recente in Roma­nia, per alcune pratiche buro­cratiche; le per­sone sono al lim­ite del­la sop­por­tazione non c’è il rispet­to per gli altri, ti ringhi­ano con­tro”.

Rifaresti la scelta di 13 anni fa?

Se pen­so al mio com­pag­no, alla situ­azione attuale, sì, ma se mi guar­do indi­etro per quel­lo che ho pas­sato, la rifarei solo se mi trovas­si in con­dizioni peg­giori di quelle in cui mi trova­vo allo­ra. Non augur­erei neanche al mio peg­gior nemi­co la vita da emi­grante, lon­tana dai tuoi figli, in clan­des­tinità, non sapen­do quan­do li potrai rivedere e sapen­do anche che non potrai fare niente se essi dovessero avere prob­le­mi. Quan­do rien­tra­vo da lavoro met­te­vo le loro foto sul tavoli­no e parla­vo con loro, spes­so piange­vo. C’è da diventare pazzi. Poi, per for­tu­na, pochi mesi pri­ma che la Roma­nia entrasse nel­la UE ho avu­to il per­me­s­so di sog­giorno e li ho potu­ti rivedere”.

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