Crisi: il vero nemico è la rassegnazione

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Matteo Feurra

PIOMBINO 12 otto­bre 2013 — E’ stori­ca­mente un dato di fat­to che quan­do ha luo­go un even­to, col­oro che si sono min­i­ma­mente preparati ad affrontar­lo riescono meglio rispet­to a col­oro che non si sono preparati affat­to.
Un sin­go­lo even­to o una serie di even­ti col­le­gati tra loro pos­sono avere un impat­to ter­ri­bile sul­la comu­nità o su un intero sta­to; come un even­to nat­u­rale di tipo cat­a­strofi­co, una guer­ra civile, un esauri­men­to delle risorse o una crisi dell’industria. Ecco, appun­to, una crisi dell’industria. Piom­bi­no sta viven­do la crisi siderur­gi­ca in modo ter­ri­bile. Era questo un even­to predi­ci­bile? Sicu­ra­mente non è un ter­re­mo­to improvvi­so. Sono in molti a credere che già da alcu­ni anni ques­ta situ­azione si sarebbe man­i­fes­ta­ta. Ma non è sem­plice, durante una con­ver­sazione con un ami­co, sparare qualche pal­lot­to­la con­tro un’in­erzia di rou­tine lavo­ra­ti­va che coin­volge così tante per­sone; soprat­tut­to in una situ­azione ital­iana glob­ale così grave. “Che cosa avrem­mo potu­to fare pri­ma?”, si odono le dis­cus­sioni tra coetanei sedu­ti a un tavo­lo nel bar sot­to casa. Eppure ogni per­sona “straniera” che visi­ta la cit­tà ne rimane affas­ci­na­to. Salta subito alla mente il pen­siero di “aprire un bag­no, un alber­go, un ris­torante indi­ano, asso­ci­azioni cul­tur­ali”. In molti da fuori, restano basiti nel vedere una cit­tà piena di sto­ria anti­ca e medio­e­vale, così bel­la e ric­ca di attrat­tive. Si doman­dano increduli “scusa­mi, ma come fa ad esser­ci il prob­le­ma del lavoro qui?”.
Il prob­le­ma c’è e come se c’è. La crisi del­la siderur­gia a Piom­bi­no è come un ictus o una lesione che abbas­sa le nos­tre fun­zion­al­ità di base, che ci per­me­tte di svol­gere comunque parzial­mente le nos­tre attiv­ità ma che inesora­bil­mente debili­ta la nos­tra quo­tid­i­an­ità, le nos­tre energie, la nos­tra car­i­ca. E il proces­so di riabil­i­tazione è sicu­ra­mente molto lento. Si deve atten­dere la soglia tem­po­rale in cui la lesione ha fat­to il suo cor­so e il momen­to in cui i neu­roni ten­tano di rior­ga­niz­zarsi. Una soglia molto dif­fi­cile da indi­vid­uare ed un tem­po di indi­vid­u­azione impredi­ci­bile.
operaiaL’impressione è che la pau­ra di perdere il lavoro e restare a casa non riesca a dare un “trig­ger”, una spin­ta rab­biosa ma pro­dut­ti­va ver­so la res­ur­rezione, la rigen­er­azione. Ben­sì sus­siste un sen­so di rasseg­nazione tra le per­sone, mesco­la­to ad una buona dose di negazione che un even­to dis­as­troso stia per accadere. Una con­sapev­olez­za di essere impreparati, uno tsuna­mi che crea quell’onda che sem­bra non così alta da creare dan­ni, non così veloce da non pot­er scap­pare ma che nasconde in sé una forza inar­resta­bile. Ques­ta forza non la vogliamo metab­o­liz­zare in spin­ta di ricresci­ta, non riesce a instil­lare rab­bia tale da indurre reazione.
Si res­pi­ra un’ aria un po’ tetra in giro. Tan­ti fan­no quel­lo che han­no sem­pre fat­to: cena fuori con gli ami­ci, gita del week­end. Però, dietro ques­ta appar­ente nor­mal­ità, passeg­gian­do tra loro riecheg­gia sem­pre ques­ta crisi nelle loro parole, questo Momen­to: in ogni negozio, super­me­r­ca­to, a spas­so con il cane. Provate ad avvic­i­narvi a quelle chi­ac­chiere, sen­tirete “acciaierie…, alto­forno…., la sper­an­za è che…”.
La crisi del­la siderur­gia colpisce emo­ti­va­mente ed eco­nomi­ca­mente tut­ti, per­sone care e ami­ci estranei alla fab­bri­ca. Tor­nan­do alle prime parole, un sin­go­lo even­to può colpire duro. Una cate­na di even­ti può sten­dere al tap­peto. Cer­to è che un colpo come quel­lo del­la siderur­gia a Piom­bi­no, in un back­ground di ques­ta situ­azione ital­iana già dev­as­tante di per sé, può essere un colpo letale. In una situ­azione ser­e­na (utopi­ca) ital­iana, ques­ta crisi locale non avrebbe sicu­ra­mente debil­i­ta­to l’animo delle per­sone che prob­a­bil­mente sareb­bero state più coin­volte atti­va­mente a rigener­ar­si. Non c’è spin­ta di cresci­ta nelle per­sone, di cam­bi­a­men­to e non è sicu­ra­mente col­pa loro. Ma qual­cosa deve pur suc­cedere. Che sia il forno elet­tri­co, il corex?
Il pun­to fon­da­men­tale è che la spin­ta al risorg­ere nell’animo ormai rasseg­na­to non deve essere solo una spin­ta dall’esterno, un ester­no fat­to da even­ti che pos­sano più o meno accadere. “Sec­on­do te pioverà?” “Arriverà la Con­cor­dia a sal­var­ci?”. Deve essere una spin­ta atti­va, armar­si di forza d’animo. Forse se già da qualche anno ci fos­se sta­ta più spin­ta da parte di quel­li che già per­cepi­vano la pau­ra di perdere il lavoro, per­ché con­sapevoli del­la pos­si­bile chiusura del­la Luc­chi­ni, e più spin­ta da parte dell’amministrazione comu­nale – arriva­ta trop­po tar­di — ver­so la comu­ni­cazione con col­oro che offrivano idee, inno­vazione nel tur­is­mo e prog­et­ti di green econ­o­my, oggi qualche sor­riso in più avrebbe sti­mo­la­to a rea­gire col­oro che adesso restano in atte­sa.

(Foto di Pino Bertel­li)

 

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