Il passaggio dal piano programma al piano disegnato

· Inserito in Spazio aperto
Stefano Giommoni

La cul­tura urban­is­ti­ca e la dis­ci­plina del­la piani­fi­cazione ter­ri­to­ri­ale in Toscana stan­no affrontan­do un peri­o­do di tran­sizione, alla ricer­ca di elab­o­razioni teoriche e pratiche in gra­do di rin­no­vare il pri­ma­to un po’ appan­na­to di Regione mod­el­lo nelle politiche di gov­er­no del ter­ri­to­rio. Il per­cor­so di revi­sione del­la Legge 1 è in fase avan­za­ta e il testo è in via di per­fezion­a­men­to dopo la dis­cus­sione nel­la com­mis­sione region­ali. L’implementazione pae­sag­gis­ti­ca del PIT, adot­ta­ta nel 2009, dopo la pro­fon­da riv­is­i­tazione frut­to dell’avvento dell’assessore Mar­son sta per con­clud­er­si con con­tenu­ti più improntati alla con­ser­vazione che alla strate­gia ter­ri­to­ri­ale, tipi­ci di un piano pae­sis­ti­co vero e pro­prio. E’ evi­dente che i piani e i prog­et­ti urban­is­ti­ci attuali e futuri sono chia­mati a mis­urar­si con il fer­men­to, le novità e anche le incertezze del momen­to.
Tra i prin­ci­pali ele­men­ti di novità che sti­molano e ind­i­riz­zano il dibat­ti­to, c’è sen­za dub­bio la cresci­u­ta sen­si­bil­ità delle comu­nità locali per il bene comune del ter­ri­to­rio. La con­seguen­za è che il giudizio comune sull’efficacia degli stru­men­ti di piani­fi­cazione non viene più mis­ura­to solo sug­li effet­ti nei pro­ces­si eco­nomi­ci o sulle dinamiche sociali che riesce ad avviare, ma sem­pre di più sul­la natu­ra delle trasfor­mazioni fisiche del ter­ri­to­rio. E’ la qual­ità mor­fo­log­i­ca e for­male del prodot­to del­la piani­fi­cazione che deter­mi­na il giudizio sul­la bon­tà del piano. Pos­si­amo dire che anche per i pro­ces­si del­la piani­fi­cazione ter­ri­to­ri­ale la percezione estet­i­ca diviene sem­pre più moti­vo prin­ci­pale di val­u­tazione del­la qual­ità del­lo stru­men­to. Tor­na così d’attualità, anche se in forme più raf­fi­nate, una dico­to­mia che ha seg­na­to la cul­tura urban­is­ti­ca degli anni ’80 e ’90. La con­trap­po­sizione tra il “piano pro­gram­ma” e il “piano dis­eg­na­to”.
Leonar­do Benevo­lo sostene­va che i ten­ta­tivi di intro­durre nei piani gli ele­men­ti del dis­eg­no urbano altro non era che il ten­ta­ti­vo di nascon­dere sot­to dei bei dis­eg­ni nefan­dezze urban­is­tiche. Viene da chieder­si se i piani tradizion­ali “non dis­eg­nati”, anche quel­li di ulti­ma gen­er­azione, han­no evi­ta­to nefan­dezze e oper­azioni di trasfor­mazione ter­ri­to­ri­ali quan­to meno dis­cutibili. Io cre­do di no. Anzi, sono con­vin­to che l’urbanistica fon­da­ta sul­la zoniz­zazione clas­si­ca del ter­ri­to­rio sia anch’essa causa dei lim­i­ti evi­den­ti del­la cit­tà mod­er­na, del pro­lif­er­are di spazi e luoghi mono­fun­zion­ali, del­la rar­efazione dei tes­su­ti, del­lo sfran­gia­men­to dei mar­gi­ni urbani e del dis­perder­si dell’identità del ter­ri­to­rio. E gli effet­ti non si vedono solo sul­la man­ca­ta definizione dei tes­su­ti, sul­la perdi­ta dell’isolato orga­niz­za­to per maglie viarie e sul pro­lif­er­are delle vil­lette iso­late, ma anche sul regredire del­la qual­ità del­lo spazio pub­bli­co. Ed è pro­prio su questo ele­men­to, quel­lo del­la prog­et­tazione del­lo spazio pub­bli­co, che si mis­ura­no tut­ti i lim­i­ti del­la piani­fi­cazione attuale.
La leg­is­lazione urban­is­ti­ca recente, fon­da­ta spes­so sul rispet­to “matem­ati­co” degli stan­dards urban­is­ti­ci ha fat­to si che nei pezzi di cit­tà di nuo­va for­mazione il solo req­ui­si­to richiesto agli spazi pub­bli­ci fos­se quel­lo di essere pre­visti in quan­tità tale da sod­dis­fare alla per­centuale impos­ta per legge. E’ man­ca­to, invece, ogni cri­te­rio di val­u­tazione fonda­to sul­la qual­ità prog­et­tuale degli spazi e sul­la loro fun­zione di “armatu­ra”, di “strut­tura” e di “con­nes­sione” del con­testo urbano. Si è ragion­a­to solo sul­la quan­tità degli spazi pub­bli­ci, non sul­la loro fun­zione, come se la dimen­sione delle aree da des­tinare al verde urbano fos­se di per sè garanzia del­la loro util­ità alla comu­nità, o del­la pos­si­bil­ità di usufruirne vera­mente o di divenire stru­men­to del­la qual­ità inse­dia­ti­va.
C’è allo­ra bisog­no che, pro­prio in una fase di revi­sione com­p­lessi­va come quel­la odier­na, si ragioni anche sulle fun­zioni del piano urban­is­ti­co, in modo tale da carat­ter­iz­zar­lo, fino dal­la definizione delle strate­gie da perseguire, come un ragion­a­men­to anche sulle forme e sui carat­teri delle trasfor­mazioni ter­ri­to­ri­ali, in relazione ai con­no­tati dei val­ori inse­dia­tivi con­sol­i­dati. Un piano in gra­do di pro­durre un dis­eg­no urbano che dia con­cretez­za a una cit­tà aper­ta, fat­ta di relazioni, di fun­zioni inte­grate, di spazi e luoghi che diventi­no sim­boli di apparte­nen­za alla comu­nità locale. In defin­i­ti­va un piano che sap­pia coni­u­gare la prat­i­ca dell’urbanistica alla qual­ità dell’architettura.

 

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