Aspettando Godot

Dalla siderurgia all’archeologia industriale

· Inserito in Sotto la lente
Rossano Pazzagli

PIOMBINO 9 set­tem­bre 2014 — Piom­bi­no è rimas­ta a lun­go una cit­tà-fab­bri­ca sen­za mai rius­cire a diventare una bel­la cit­tà indus­tri­ale, in gra­do di trasfor­mare la ingom­brante e deci­si­va pre­sen­za siderur­gi­ca in un pat­ri­mo­nio ril­e­vante non solo dal pun­to di vista eco­nom­i­co, ma anche sul piano cul­tur­ale, sociale e tur­is­ti­co. Forse ques­ta sfi­da per­du­ta può essere rilan­ci­a­ta ora che la siderur­gia sta vol­gen­do ver­so un amaro tra­mon­to. Del resto spes­so ci si accorge dell’effettiva impor­tan­za delle cose quan­do queste van­no in crisi o non ci sono più. È già tar­di, ma pri­ma che diven­ti trop­po tar­di sarebbe bene provare a sal­vare, se non lo sta­bil­i­men­to nel suo com­p­lesso, almeno i val­ori fon­dan­ti, reali e sim­bol­i­ci, che esso ha assun­to nel tem­po per la cit­tà e per il ter­ri­to­rio. In assen­za di una polit­i­ca indus­tri­ale nazionale, che ha ridot­to ai min­i­mi ter­mi­ni la pur com­p­lessa espe­rien­za indus­tri­ale ital­iana, servirebbe a Piom­bi­no un prog­et­to di ter­ri­to­rio elab­o­ra­to in autono­mia, con il con­cor­so di tutte le energie endo­gene e i sogget­ti locali, non con l’atteggiamento di chi aspet­ta che ven­ga dall’esterno il sal­va­tore del­la patria. Bisogna smet­ter­la di aspettare Godot.
Forse pos­si­amo ritrovare qui un vizio stori­co di Piom­bi­no che, stret­ta tra la Marem­ma e il mare, in una posizione per cer­ti ver­si strate­gi­ca ma per altri strut­tural­mente crit­i­ca, sul lun­go peri­o­do ha sem­pre vis­su­to di svolte subite, gui­date dall’esterno, ali­men­tate spes­so da risorse eso­gene e rara­mente anco­rate a forme di auto­gov­er­no; qua­si una ges­tione eterodi­ret­ta che ha lim­i­ta­to lo svilup­par­si non soltan­to di una dif­fusa cul­tura d’impresa, ma anche l’affermarsi di un effet­ti­vo sen­so di comu­nità oltre – finché è dura­ta – la comune coscien­za opera­ia. Almeno dal cos­ti­tuir­si del­la Sig­no­ria degli Appi­ani, pas­san­do per il prin­ci­pa­to dei Ludovisi e dei Bon­com­pag­ni, il reg­no napoleon­i­co di Elisa Bacioc­chi, fino alla col­lo­cazione sostanzial­mente per­ifer­i­ca nel­lo Sta­to nazionale, poi in qualche misura anche nel con­testo regionale toscano, dal­la grande pro­pri­età cit­tad­i­na che per sec­oli ha posse­du­to e quin­di gov­er­na­to buona parte del ter­ri­to­rio rurale, fino alla vicen­da mod­er­na dell’Ilva… in tut­ti questi pas­sag­gi noi pos­si­amo con­statare – sia sul piano del potere politi­co che di quel­lo eco­nom­i­co, ma potrem­mo aggiun­gere anche quel­lo reli­gioso o quel­lo cul­tur­ale – una costante e ricor­rente delo­cal­iz­zazione dei cen­tri e dei sogget­ti deci­sion­ali. Qua­si una maledi­zione che Piom­bi­no potrebbe e dovrebbe oggi scrol­lar­si di dos­so, pro­prio gra­zie alla neces­sità di una rispos­ta alla crisi che non ripro­d­u­ca gli usati par­a­dig­mi.
3 fotografico copia Non bas­ta pen­sare allo sta­bil­i­men­to. Occorre ripen­sare la cit­tà e il ter­ri­to­rio, e in ques­ta direzione elab­o­rare un prog­et­to imper­ni­a­to sul­la rigen­er­azione dell’area indus­tri­ale e sul­la con­sid­er­azione degli impianti anche come beni cul­tur­ali; un prog­et­to di respiro nazionale ed europeo, ma elab­o­ra­to da una comu­nità locale con­sapev­ole e cre­ati­va, sen­za scor­ci­a­toie come la cen­trale a car­bone, per­al­tro effimere dal pun­to di vista occu­pazionale e dis­cutibili sul piano ambi­en­tale. La pro­pos­ta avan­za­ta su “Stile Libero” da Pao­lo Benes­peri e Mas­si­mo Zuc­coni per un prog­et­to strate­gi­co di arche­olo­gia indus­tri­ale, che al pari dell’esperienza di altre regioni europee (Rhur, Saar, ecc.) sia in gra­do di rian­i­mare eco­nomi­ca­mente e cul­tural­mente l’area piom­bi­nese, non rin­un­cian­do all’identità indus­tri­ale, ma aggior­nan­done i sig­ni­fi­cati e met­ten­dola a frut­to sec­on­do la fil­iera conoscen­za-tutela-val­oriz­zazione, dovrebbe entrare a pieno tito­lo nel­la revi­sione del­la piani­fi­cazione ter­ri­to­ri­ale e da subito nelle trat­ta­tive per il des­ti­no futuro dell’acciaieria. Il carat­tere di cit­tà por­tuale, che ne fa la por­ta di acces­so all’Arcipelago toscano, la sua col­lo­cazione nel­la media regione che unisce mirabil­mente tradizioni rurali, marit­time e indus­tri­ali, ren­dono Piom­bi­no anco­ra più adat­to a una sim­i­le prog­et­tazione, ren­den­do­lo suscettibile di divenire in prospet­ti­va una delle cap­i­tali del pat­ri­mo­nio indus­tri­ale ital­iane.
In tale con­testo gli ele­men­ti di forza di uno svilup­po endogeno ter­ri­to­ri­ale dovreb­bero essere pro­prio i beni cul­tur­ali (dif­fusi o pun­tu­ali, nei quali rien­tra a pieno tito­lo l’archeologia indus­tri­ale), le pro­duzioni agri­cole, il pae­sag­gio, i boschi e i cen­tri stori­ci, le tradizioni e, sul­la cos­ta, spi­agge anco­ra in gran parte libere o attrez­zate nel­la for­ma di par­co. Tut­to ciò deve essere mag­gior­mente inte­gra­to con l’obiettivo di pro­muo­vere un tur­is­mo equi­li­bra­to e con­sapev­ole, in sim­biosi con le attiv­ità e la cul­tura locale. Una visione del tur­is­mo non set­to­ri­ale, dunque, che superi l’idea di sem­pre nuovi inse­di­a­men­ti edilizi e di un mer­ca­to del lavoro sostanzial­mente pre­cario e dequal­i­fi­ca­to.
Per Piom­bi­no, la crisi del­la grande indus­tria non può essere iden­ti­fi­ca­ta con la fine del­la cit­tà come entità autono­ma, anche dal pun­to di vista cul­tur­ale: insieme all’archeologia indus­tri­ale, il pat­ri­mo­nio di conoscen­ze ed espe­rien­ze, di cul­tura del lavoro, che si è accu­mu­la­to nel cor­so del Nove­cen­to gra­zie a diri­gen­ti, tec­ni­ci e operai non deve andare dis­per­so. È una ric­chez­za che la cit­tà deve saper sfruttare per i suoi prog­et­ti strate­gi­ci, per super­are i momen­ti crit­i­ci, per ricon­quistare fidu­cia e per rilan­cia­r­si come impor­tante polo eco­nom­i­co-pro­dut­ti­vo nell’ottica del­lo svilup­po sosteni­bile dell’intera area che dalle Colline Met­al­lif­ere degra­da ver­so il mare e che funge da cerniera tra la Toscana clas­si­ca e la Marem­ma. Non si trat­ta di rin­negare un’esperienza, ma di far prevalere un mod­el­lo inte­gra­to e sosteni­bile di svilup­po locale, imper­ni­a­to sul rilan­cio in chi­ave pro­dut­ti­va ed occu­pazionale delle vocazioni aut­en­tiche e delle risorse ambi­en­tali del ter­ri­to­rio, superan­do la mono­coltura indus­tri­ale ed evi­tan­do di ricrearne un’altra.
Non si parte da zero. Già negli ulti­mi decen­ni, accan­to alla neces­sità di ridefinire il ruo­lo del­la cit­tà si è assis­ti­to ad un proces­so di riscop­er­ta e val­oriz­zazione del ter­ri­to­rio inter­no. Ulte­ri­ori pos­si­bil­ità di cresci­ta del red­di­to locale sono venute dal­lo svilup­po agri­t­ur­is­ti­co e dei com­par­ti agri­coli col­le­gati ai prin­ci­pali prodot­ti locali (vino, olio, ortag­gi, frut­ta) e dal­la pre­sen­za di una delle poche fasce costiere non urban­iz­zate, di cui il Gol­fo di Barat­ti rap­p­re­sen­ta il sim­bo­lo più elo­quente. Si sono così dis­eg­nate relazioni in parte inedite, che van­no dal­la cos­ta ver­so l’interno, attra­ver­so la riu­ti­liz­zazione di quei per­cor­si che in prece­den­za era­no sta­ti tradizion­ali vie del pen­dolar­is­mo ver­so Piom­bi­no, e pri­ma anco­ra ver­so le aree minerarie. Da con­nes­sioni del pas­sato, questi cir­cuiti interni stan­no ride­finen­do nuove relazioni del tur­is­mo e del­la res­i­den­za, lun­go le quali si van­no affer­man­do anche espe­rien­ze pro­dut­tive di tipo agri­co­lo-rurale di qual­ità, che in modo sin­er­gi­co aggiun­gono val­ore al ter­ri­to­rio e da questo trag­gono van­tag­gio.
4 fotografico copiaL’archeologia indus­tri­ale si pro­pone di sal­va­guardare i resti del­la civiltà indus­tri­ale con final­ità cul­tur­ali ed eco­nomiche. La doc­u­men­tazione del pas­sato può rap­p­re­sentare così una impor­tante base per il tur­is­mo, ma anche una con­dizione ine­ludi­bile per pro­gram­mare il nuo­vo svilup­po. Sot­to questo aspet­to, per Piom­bi­no in par­ti­co­lare, l’o­bi­et­ti­vo pri­mario deve essere quel­lo di doc­u­mentare e tes­ti­mo­ni­are il per­cor­so di lun­ga trasfor­mazione del­la cit­tà (bor­go marit­ti­mo, cap­i­tale, comu­nità rurale, cit­tà fab­bri­ca…). In questo modo, attra­ver­so per­cor­si muse­ali o di arche­olo­gia indus­tri­ale, si potrebbe rispon­dere alla sfi­da tra moder­nità e memo­ria stor­i­ca e dare un con­trib­u­to impor­tante al proces­so di riqual­i­fi­cazione urbana sen­za rin­negare il pro­prio pas­sato. Il sis­tema dei parchi del­la Val di Cor­nia – che ha rap­p­re­sen­ta­to una delle espe­rien­ze piani­fi­cate più sig­ni­fica­tive e coer­en­ti del­la diver­si­fi­cazione eco­nom­i­ca — può essere imple­men­ta­to con ulte­ri­ori e sig­ni­fica­tivi obi­et­tivi, fino­ra rimasti sostanzial­mente estranei dal proces­so di val­oriz­zazione dei beni cul­tur­ali ter­ri­to­ri­ali, fino a pre­fig­u­rare una evoluzione del sis­tema stes­so ver­so il con­cet­to di dis­tret­to cul­tur­ale e di eco­museo, inte­so non come prog­et­to sta­ti­co, ma come proces­so dinam­i­co ispi­ra­to ai prin­cipi del­lo svilup­po durev­ole. Tra le risorse non anco­ra uti­liz­zate sta pro­prio la ric­ca ered­ità dell’archeologia indus­tri­ale, alla quale pro­prio le per­ma­nen­ze indus­tri­ali potreb­bero portare un con­trib­u­to di rilie­vo, mal­gra­do le dis­sennate demolizioni di sig­ni­fica­tivi impianti siderur­gi­ci dismes­si (il vec­chio agglom­er­a­to, gli alti­forni), che avreb­bero potu­to invece cos­ti­tuire un arric­chi­men­to del pat­ri­mo­nio cul­tur­ale locale ed entrare a far parte del sis­tema dei parchi. Ripren­den­do anche la lezione di Ivan Tog­nar­i­ni, che alla sto­ria dell’industria e all’archeologia indus­tri­ale ave­va ded­i­ca­to buona parte dei suoi stu­di, c’è la neces­sità di un grande impeg­no per con­ser­vare il pas­sato indus­tri­ale e di evitare quel­li che lui stes­so defini­va “cri­m­i­ni cul­tur­ali” inter­ve­nen­do a propos­i­to del­la dis­truzione dell’Altoforno n. 1, che era il più vec­chio e uni­co super­stite del­la bat­te­ria di alti­forni per la pro­duzione del­la ghisa nel cor­so del XX sec­o­lo, il cui des­ti­no sem­bra ormai inevitabil­mente seg­na­to. In questo caso, di fronte alla volon­tà azien­dale di demolire sen­za esi­tazioni l’altoforno, aval­la­ta dal gov­er­no locale, si levò qualche anno fa la voce dell’AIPAI, l’Associazione ital­iana per il pat­ri­mo­nio arche­o­logi­co indus­tri­ale, che tut­tavia dovette alla fine accettare di abban­donare l’obiettivo del­la sal­va­guardia del mon­u­men­to, per pas­sare alla più blan­da prospet­ti­va del­la “sal­va­guardia del­la memo­ria”. Qui non bisogna sal­vare solo la memo­ria, ma il pat­ri­mo­nio che com­p­lessi­va­mente ha rap­p­re­sen­ta­to e può anco­ra rap­p­re­sentare l’industria per la cit­tà e il ter­ri­to­rio di Piom­bi­no. È un prob­le­ma ital­iano e addirit­tura europeo, ma richiede soluzioni che devono par­tire dal bas­so, dal­la coscien­za di una comu­nità che deve ritrovare sé stes­sa, la coscien­za delle pro­prie poten­zial­ità e la capac­ità polit­i­ca (vor­rei dire il gus­to e la fidu­cia) di prog­ettare il pro­prio futuro, ritrovan­do su nuove prospet­tive quel sen­so di moder­nità, ora sfu­ma­to, che ave­va accom­pa­g­na­to il decol­lo indus­tri­ale.

(Foto di Pino Bertel­li)

Una risposta a “Dalla siderurgia all’archeologia industriale”

  1. Luca Rossi says:

    Piom­bi­no non è sta­ta solo “eterodi­ret­ta” dal­l’ester­no. Pen­si­amo solo al fat­to che una realtà impor­tante come la coop­er­azione di con­suma­tori ha pre­so il via pro­prio da Piom­bi­no, dagli operai e par­ti­giani piom­bi­ne­si. Dunque sarebbe ora che di recu­per­are lo spir­i­to e la capac­ità di autono­mia cul­tur­ale e sociale in quel caso espresse dai piom­bi­ne­si. Stes­so dis­cor­so potrebbe valere per la com­pag­nia por­tu­ali altra espe­rien­za di autoor­ga­niz­zazione dei lavo­ra­tori, ecc ecc. Il prob­le­ma è che in un quadro di neoliberis­mo e di vit­to­ria del­la log­i­ca del prof­it­to e del­la ren­di­ta tut­to ciò che nel pas­sato ha rap­p­re­sen­ta­to qual­cosa di “diver­so” deve essere spaz­za­to via e ci stan­no rius­cen­do anche a Piom­bi­no. Per questo ci affidi­amo tut­ti più o meno con­sapevol­mente al cap­i­tal­ista di turno, ital­iano, rus­so o indi­ano che sia. C’è qual­cuno a Piom­bi­no che si pone il prob­le­ma di avviare espe­rien­ze di auto­ges­tione di aziende che stan­no chi­u­den­do ? Cer­to bisognerebbe che in questo sen­so chi per sua natu­ra sarebbe del­e­ga­to a questo (pen­so per esem­pio al cosid­det­to movi­men­to coop­er­a­ti­vo o anche al sin­da­ca­to) si ponesse in ques­ta otti­ca invece di soprav­vi­vere stan­ca­mente al servizio del potere locale.

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