Una mostra ed un libro: “Uomo e macchina. Il lavoro in Toscana”

Dietro e davanti a quei volti di lavoratori

· Inserito in Sotto la lente
Paolo Benesperi

PIOMBINO 9 set­tem­bre 2015Nel dicem­bre 2014 Pino Bertel­li mi chiese di scri­vere una pre­mes­sa alla mostra, ed al rel­a­ti­vo libro, “Uomo e macchi­na. Il lavoro in Toscana” orga­niz­za­ta dal LWL-Indus­triemu­se­um ǀ West­fälis­ches Lan­desmu­se­um für Indus­triekul­tur. Lo feci ben volen­tieri non solo per l’am­i­cizia che ci lega da anni ma anche per­ché nel 2004 ave­va­mo lavo­ra­to insieme ad un libro “la toscana del lavoro” dal quale era­no state trat­te molte fotografie pre­sen­ti nel­la mostra. La pre­mes­sa non è sta­ta poi uti­liz­za­ta e dunque la pro­poni­amo oggi (Pino ed io) quan­do il libro è sta­to ter­mi­na­to, edi­to e pre­sen­ta­to pub­bli­ca­mente. La ripro­poni­amo tale e quale per­ché i due inter­rog­a­tivi che lì si ponevano

  •  è pos­si­bile pen­sare che quegli impianti ormai dismes­si spariscano, mag­a­ri per­ché ven­du­ti, e siano sos­ti­tu­iti da anon­i­mi capan­noni con fun­zioni com­mer­ciali?
  • è pos­si­bile, per con­ver­so, pen­sare ad una loro riu­ti­liz­zazione tur­is­ti­ca e cul­tur­ale inte­gra­ta nel ter­ri­to­rio, aper­ta ai cit­ta­di­ni europei e non, nel­la quale pos­sano riconoscer­si quelle espe­rien­ze e quelle cul­ture di cui par­lano le foto dei lavo­ra­tori già impeg­nati in quei luoghi e in quelle strut­ture pro­dut­tive?

sem­bra­no sci­olti a van­tag­gio purtrop­po del pri­mo. Sem­bra che le demolizioni can­celler­an­no un immen­so pat­ri­mo­nio indus­tri­ale (un alto­forno e tut­to il ciclo pro­dut­ti­vo fino all’ac­ciaeria) sen­za che si sia sen­ti­ta l’e­si­gen­za di uno stu­dio pub­bli­co sia dal pun­to di vista urban­is­ti­co sia dal pun­to di vista eco­nom­i­co che ne potesse garan­tire la con­ser­vazione e la val­oriz­zazione, così come avvenu­to pro­prio in quel­la Ruhr, e non solo, con la quale si dice di vol­er sta­bilire rap­por­ti. Si è opta­to invece per l’ac­cettazione pedis­se­qua di pro­poste di inse­di­a­men­to di un pri­va­to che dal pun­to di vista urban­is­ti­co sono solo delle mac­chie su una car­ta e niente più. E non bas­ta cer­to l’as­si­cu­razione che tut­to sarà doc­u­men­ta­to con stru­men­ti mul­ti­me­di­ali. Ciò che era in gio­co era in realtà un ten­ta­ti­vo di capire la pos­si­bil­ità del­la riu­ti­liz­zazione di questi impianti, non più pro­dut­tivi, per fini cul­tur­ali e tur­is­ti­ci in sin­er­gia con ciò che già esiste, frut­to di un lavoro lun­go di anni, pro­prio nel­la Val di Cor­nia, nel­la Colline Met­al­lif­ere e nel­l’Iso­la d’El­ba e che ha come pun­to di rifer­i­ment l’es­trazione e la lavo­razione dei min­er­ali. Del resto nem­meno esclu­den­do l’even­tu­al­ità di una com­pat­i­bil­ità tra le diverse attiv­ità eco­nomiche.
Pote­va essere fat­to e non si è fat­to. Pec­ca­to.

 

Toscana del lavoro BertelliQuan­do nel 2004 pub­bli­cam­mo il libro fotografi­co di Pino Bertel­li, con testi a cura di Mau­ro Lom­bar­di, (1) dal quale sono trat­te alcune fotografie del­la attuale mostra Uomo e Macchi­na. Arbeit in der Toskana e del rel­a­ti­vo libro forse com­met­tem­mo un errore. Lo inti­to­lam­mo infat­ti “la toscana del lavoro” quan­do le sue immag­i­ni in realtà doc­u­men­ta­vano “la toscana dei lavori”. Effet­ti­va­mente era pro­prio questo che vol­e­va­mo, così come emerge chiara­mente dalle domande che scrivem­mo nel­la pre­fazione:
“Siamo rius­ci­ti a ren­dere cor­posa­mente intel­li­gi­bile ciò che il lavoro davvero è?
O meglio, ciò che i lavori sono?
O meglio, anco­ra, chi oggi sono i lavo­ra­tori?”.
Vol­e­va­mo met­tere in evi­den­za la plu­ral­ità, assai supe­ri­ore al pas­sato, dei tipi di lavori e di lavo­ra­tori che allo­ra cos­ti­tu­i­va l’u­ni­ver­so di rifer­i­men­to con le sue divi­sioni per attiv­ità, per genere, per età delle per­sone, per set­tori e per dimen­sione delle imp­rese: di questo parla­vano e par­lano tut­to­ra quelle fotografie.
Del resto dietro le fotografie sta­vano i numeri, ogget­to par­al­le­lo di altre pub­bli­cazioni toscane:
il tas­so di occu­pazione dal 1998 al 2004 era pas­sato dal 57,1 al 63,7,
il tas­so di dis­oc­cu­pazione dal 7,8 al 5,2,
il tas­so di occu­pazione fem­minile dal 44,5 al 52,9
il tas­so di dis­oc­cu­pazione fem­minile dal 12,3 al 7,3.
Tut­ti dati pos­i­tivi anche se si com­in­ci­a­vano a intravedere altri fenomeni che sareb­bero poi esplosi negli anni seguen­ti:
il tas­so di dis­oc­cu­pazione gio­vanile dal 2000 al 2004 era pas­sato dal 12,8 al 16,0,
il tas­so di occu­pazione dal 34,7 al 27,9.
Gli anni suc­ces­sivi, a par­tire dal 2008, sono sta­ti quel­li del­la crisi i cui effet­ti prin­ci­pali sul mon­do del lavoro e del non lavoro sono ben descrit­ti dall’ Isti­tu­to Regionale Pro­gram­mazione Eco­nom­i­ca Toscana e dall’ Union­camere Toscana in maniera chiaris­si­ma nel Rap­por­to sul­la Situ­azione Eco­nom­i­ca del­la Toscana Con­sun­ti­vo anno 2013 Pre­vi­sioni 2014 – 2015 (2):
“È soprat­tut­to la situ­azione del lavoro a pre­sentare le più for­ti crit­ic­ità: il tas­so di dis­oc­cu­pazione, pur restando ben al di sot­to del­la media nazionale, ha rag­giun­to l’8,7% (12,2% il dato ital­iano). Rispet­to al 2008 si sono reg­is­trati a fine del­lo scor­so anno, qua­si 22 mila occu­pati in meno, 65 mila dis­oc­cu­pati in più rag­giun­gen­do, quin­di, le 150 mila unità (il val­ore più alto del­la nos­tra sto­ria recente). Al di là dell’intensità, tale da far sì che effet­ti del­la crisi si siano sen­ti­ti prati­ca­mente in tut­ti gli strati del­la popo­lazione, dob­bi­amo sot­to­lin­eare però che ques­ta lun­ga sta­gione non ha col­pi­to tut­ti nel­lo stes­so modo. Ad essere col­pi­ti dal­la debolez­za del­la doman­da di lavoro sono sta­ti più i gio­vani rispet­to ad altre fasce di popo­lazione (con un tas­so di dis­oc­cu­pazione degli under 30 al 22 per cen­to). È questo il risul­ta­to di una doman­da di lavoro in rip­ie­ga­men­to e di un sis­tema di ammor­tiz­za­tori sociali forte­mente squili­bra­to a favore delle garanzie acquisite dagli insid­ers, preva­len­te­mente lavo­ra­tori maturi, rispet­to agli out­siders, qua­si sem­pre gio­vani.
bertelli-3Nel 2013 si sono ridotte com­p­lessi­va­mente le oppor­tu­nità di ingres­so nel mon­do del lavoro, con una dis­tribuzione delle occa­sioni più sbi­lan­ci­a­ta ver­so le modal­ità di lavoro più flessibili, e si è ridot­ta soprat­tut­to tra i gio­vani la prob­a­bil­ità di essere occu­pati, men­tre l’area del­la dis­oc­cu­pazione e inat­tiv­ità, le due fac­ce del fenom­e­no Neet (Not in Edu­ca­tion, Employ­ment or Train­ing), è pas­sa­ta dal 12,5% al 20,2%, superan­do le 100 mila unità: tra questi poco più di 50 mila sono i dis­oc­cu­pati, men­tre 30 mila sono gli scor­ag­giati. Essere gio­vani è dunque uno svan­tag­gio.”.
Si arri­va così al prob­le­ma cen­trale che emerge dalle stesse fotografie. Quei volti sono l’i­cono­grafia di un pas­sato che non ci sarà più o sono l’em­ble­ma di una risor­sa che, ricol­lo­ca­ta in una realtà cam­bi­a­ta anzi rad­i­cal­mente cam­bi­a­ta, può cos­ti­tuire ener­gia, conoscen­za, ric­chez­za cul­tur­ale ed anche eco­nom­i­ca a dis­po­sizione anche di col­oro che più sono sta­ti col­pi­ti dal­la crisi, quel­li che il lavoro han­no per­so o col­oro che il lavoro non l’han­no mai avu­to e ad esso pen­sano come a un mirag­gio forse irrag­giun­gi­bile o addirit­tura non ci pen­sano più?
I non pro­tet­ti, insom­ma, ed in par­ti­co­lare i gio­vani.
Tema ter­ri­bil­mente dif­fi­cile per­ché la rispos­ta chia­ma in causa per­cor­si tor­tu­osi di ristrut­turazioni pro­dut­tive, ricon­ver­sioni pro­fes­sion­ali, prog­et­tazioni e impeg­ni eco­nomi­ci con i loro rischi ed il peri­co­lo sem­pre pre­sente di eccedere nel­la dife­sa di un esistente indifendibile o di immag­inare un futuro impos­si­bile.
E sono pro­prio quelle fotografie che ci indi­cano il prob­le­ma, ma con­tem­po­ranea­mente anche il per­cor­so, rilas­cian­do tal­vol­ta volti seg­nati da un lavoro che affon­da le radi­ci in pro­duzioni iniziate addirit­tura nell’ otto­cen­to, anche se ricostru­ite mod­er­na­mente nel pri­mo e sec­on­do dopoguer­ra, e talal­tra fac­ce e vesti proi­et­tate nel lavoro che più ha a che fare con la conoscen­za e la ricer­ca di oggi e di domani.
Là dove poi è l’in­dus­tria pesante ad aver seg­na­to interi ter­ri­tori lì la con­trad­dizione rischia di esplodere. Ma sia chiaro che è un ris­chio, non una neces­sità mec­ca­ni­ca­mente deter­mi­na­ta. È ciò che è suc­ces­so in ogni parte d’ Europa là dove la dife­sa del­l’e­sistente indifendibile ha avu­to come con­seguen­za la deser­ti­fi­cazione eco­nom­i­ca e cul­tur­ale, ma non è accadu­to ovunque per­ché altri esem­pi dimostra­no invece che l’im­mag­i­nazione di nuovi mod­el­li eco­nomi­ci e cul­tur­ali ed il real­is­mo al servizio del cor­ag­gio han­no prodot­to nuovi stili di vita anche attra­ver­so la mes­sa in val­ore delle risorse del pas­sato riu­ti­liz­zate in modal­ità diverse.
In Europa alcune zone di vec­chia indus­tri­al­iz­zazione trasfor­mate­si in soci­età dei servizi attra­ver­so l’in­trec­cio tra cul­tura e tur­is­mo ne sono un esem­pio.
Bertelli_28.4.2015_WickelfalzIl prob­le­ma oggi è di grande attual­ità a Piom­bi­no.
Con la chiusura dell’altoforno e dell’acciaieria è ces­sa­ta la pro­duzione di acciaio sec­on­do il mod­el­lo del ciclo inte­grale, un proces­so pro­dut­ti­vo rigi­do che una vol­ta avvi­a­to, sal­vo manuten­zioni, non pote­va più fer­mar­si. Ed invece si è fer­ma­to per­ché non com­pet­i­ti­vo cau­san­do la più grave crisi eco­nom­i­ca del­la Val di Cor­nia dal dopoguer­ra ad oggi.
È pos­si­bile pen­sare che quegli impianti ormai dismes­si spariscano, mag­a­ri per­ché ven­du­ti, e siano sos­ti­tu­iti da anon­i­mi capan­noni con fun­zioni com­mer­ciali?
È pos­si­bile, per con­ver­so, pen­sare ad una loro riu­ti­liz­zazione tur­is­ti­ca e cul­tur­ale inte­gra­ta nel ter­ri­to­rio, aper­ta ai cit­ta­di­ni europei e non, nel­la quale pos­sano riconoscer­si quelle espe­rien­ze e quelle cul­ture di cui par­lano le foto dei lavo­ra­tori già impeg­nati in quei luoghi e in quelle strut­ture pro­dut­tive?
Non può sfug­gire che al di fuori di quelle officine si con­cen­tra­no anche le trac­ce di una duratu­ra attiv­ità di estrazione e lavo­razione dei met­al­li dall’antichità fino alla fase con­tem­po­ranea, pas­san­do per la fase etr­usco-romana, il medio­e­vo, il rinasci­men­to e l’in­dus­tri­al­iz­zazione del XIX° sec­o­lo. I gran­di impianti siderur­gi­ci dismes­si del­lo sta­bil­i­men­to Luc­chi­ni sono il cuore del­la fase con­tem­po­ranea di ques­ta sto­ria.
È un pat­ri­mo­nio cul­tur­ale uni­co, di ril­e­van­za euro­pea e mon­di­ale che meri­ta la dovu­ta atten­zione, tan­to più se si con­sid­era che per la sua val­oriz­zazione sono state intrap­rese nei decen­ni pas­sati molte elab­o­razioni e inizia­tive da parte di isti­tuzioni europee, nazion­ali, region­ali e locali e da isti­tu­ti di ricer­ca uni­ver­si­tari nazion­ali ed esteri a par­tire da quel con­veg­no piom­bi­nese del 1984 che non a caso si inti­tola­va “I beni cul­tur­ali in una zona di crisi siderur­gi­ca” (3). Non è un even­to for­tu­ito che qui abbiano pre­so vita il sis­tema dei parchi cul­tur­ali del­la Val di Cor­nia (di cui sono parte cos­ti­tu­ti­va l’antica cit­tà etr­usca di Pop­u­lo­nia e il vil­lag­gio minerario medievale di San Sil­ve­stro), il par­co tec­no­logi­co arche­o­logi­co delle Colline Met­al­lif­ere, il par­co minerario dell’Isola d’Elba, fino alla recente aper­tu­ra del museo del fer­ro e del­la ghisa a Fol­loni­ca (4).
In ques­ta parte del­la Toscana merid­ionale esistono pecu­liar­ità cul­tur­ali come la con­ti­nu­ità mil­lenar­ia delle lavo­razioni met­al­lur­giche e un soli­do con­testo tur­is­ti­co rap­p­re­sen­ta­to dal­la stes­sa Val di Cor­nia, dall’ Alta Marem­ma e dall’isola d’Elba che cos­ti­tu­is­cono indub­bi fat­tori com­pet­i­tivi. L’altoforno e l’acciaieria dismes­si a Piom­bi­no dis­tano pochi chilometri dai quartieri indus­tri­ali dell’antica Pop­u­lo­nia dove gli etr­uschi fonde­vano il fer­ro oltre duemi­la anni fa e poche centi­na­ia di metri dal por­to da cui tran­si­tano annual­mente cir­ca tre mil­ioni di passeg­geri.
L’in­trec­cio tra val­oriz­zazione cul­tur­ale e tur­is­mo, con i risul­tati eco­nomi­ci pos­si­bili, viene da sé. È pos­si­bile ma richiede una coeren­za sul­la quale purtrop­po i prece­den­ti non tes­ti­mo­ni­ano favorevol­mente.
Nel 2010 è sta­to demoli­to il più vec­chio alto­forno del­lo sta­bil­i­men­to Luc­chi­ni, l’ AFO 1, spen­to da decen­ni. Al suo pos­to è sta­to costru­ito un nuo­vo impianto per la fran­tu­mazione delle scorie inau­gu­ra­to nel 2012 e chiu­so nel 2014 con la ces­sazione del ciclo inte­grale. Per effet­tuare quel­la demolizione furono rimossi i vin­coli urban­is­ti­ci che ven­ti anni pri­ma era­no sta­ti posti a tutela di un impianto che già allo­ra veni­va con­sid­er­a­to pat­ri­mo­nio cul­tur­ale.
Invece di met­tere al pri­mo pos­to il riu­so del pat­ri­mo­nio indus­tri­ale esistente in una visione inte­gra­ta dei rap­por­ti tra cit­tà e fab­bri­ca, fu con­cepi­to nel 2008 un faraon­i­co e insosteni­bile prog­et­to per 15 ettari di Cit­tà Futu­ra, ques­ta la denom­i­nazione del­la zona più vic­i­na alla cit­tà che gli stru­men­ti urban­is­ti­ci ave­vano tolto alla des­ti­nazione indus­tri­ale, (mai real­iz­za­to, il prog­et­to prevede­va tra l’al­tro un Par­co sci­en­tifi­co e tec­no­logi­co, un Par­co del fer­ro e dell’acciaio, un Museo lega­to alla siderur­gia, un Par­co del­la musi­ca e del­la dan­za) che nul­la ave­va a che vedere con un serio riordi­no urban­is­ti­co delle aree indus­tri­ali nel momen­to stes­so in cui nel 2009 veni­va mod­i­fi­ca­to il piano rego­la­tore ricon­seg­nan­do alla Luc­chi­ni altri 15 ettari di Cit­tà Futu­ra sui quali, pro­prio al con­fine con il pre­vis­to Museo del Fer­ro, sarebbe dovu­ta sorg­ere una nuo­va grande acciaieria. Alla fine niente è avvenu­to ma le pre­vi­sioni urban­is­tiche sono rimaste.
Le pre­messe, quin­di, non sono buone, ma nes­suno può can­cel­lare l’op­por­tu­nità, forse la neces­sità, di un prog­et­to di ricon­ver­sione di Piom­bi­no nel quale la com­po­nente stori­co cul­tur­ale non sia con­cepi­ta come risor­sa resid­uale ma piut­tosto come pat­ri­mo­nio del­la sto­ria pro­dut­ti­va da met­tere in val­ore nel pre­sente e nel futuro prossi­mo.
Forse questo può essere il ponte tra i volti dei lavori che ci sono o c’er­a­no ed i volti invis­i­bili dei lavori che anco­ra non ci sono ai quali ci richia­ma la realtà dieci anni dopo che quelle foto sono state impresse sul­la car­ta. (5)

(1) Pino Bertel­li, la toscana del lavoro, plus pisa uni­ver­si­ty press, 2004
(2) Irpet, La situ­azione eco­nom­i­ca del­la Toscana. Con­sun­ti­vo 2013. Pre­vi­sioni 2014–2015 (http://www.irpet.it/index.php?page=pubblicazione&pubblicazione_id=505)
(3) I beni cul­tur­ali in una zona di crisi siderur­gi­ca, Rasseg­na di arch­e­l­o­gia N° 4, All’in­seg­na del giglio, 1994
(4) Regione Toscana – Giun­ta regionale, Parchi cul­tur­ali in Toscana, Ange­lo Pon­tecor­boli Edi­tore, Firen­ze, 1994
(5) Nel pre­sente scrit­to è sta­to parzial­mente riu­ti­liz­za­to un arti­co­lo di Pao­lo Benes­peri e Mas­si­mo Zuc­coni “Un par­co di arche­olo­gia indus­tri­ale nel­la Luc­chi­ni” pub­bli­ca­to il 1° set­tem­bre 2014 nel­la riv­ista on line Stile libero Idee dal­la Val di Cor­nia (https://www.stileliberonews.org/parco-archeologia-industriale/)

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