Il caldo rifugio del finanziamento pubblico

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Paolo Benesperi

PIOMBINO 12 otto­bre 2013 — Fra retor­i­ca, difese di un esistente che non esiste più, ipote­si irre­al­iz­z­abili e rifi­u­to di guardare in fac­cia la realtà si sta avvic­i­nan­do la fine o il forte ridi­men­sion­a­men­to del­la siderur­gia piom­bi­nese sen­za nes­suna idea seria e già vagli­a­ta di pos­si­bile rein­dus­tri­al­iz­zazione.
Brut­to fat­to che nat­u­ral­mente non ha niente a che vedere con le pre­oc­cu­pazioni, la buona volon­tà i pen­sieri dei lavo­ra­tori e dei cit­ta­di­ni, ai quali però bisogna essere vici­ni con la cru­da paro­la fat­ta di realtà e di ver­ità non con la descrizione di affres­chi che, sen­za il cor­ag­gio del­l’as­sun­zione di respon­s­abil­ità, dipin­gono sog­ni impos­si­bili, nat­u­ral­mente con l’ag­giun­ta del­la stuc­chev­ole pre­cauzione che se i sog­ni non si avver­eran­no il colpev­ole starà sem­pre da altre par­ti.
Il ciclo inte­grale piom­bi­nese è indifendibile sia per­ché sof­fo­ca­to oggi da oneri che lo ren­dono impro­dut­ti­vo sia per­ché ricostruzione ed ammod­er­na­men­to richiedereb­bero costi insop­porta­bili da qualunque investi­tore.
La soci­età com­mis­sari­a­ta è oppres­sa da deb­iti, sen­za sol­di e in uno sta­to fal­li­menta­re non can­cel­la­to dal­la pro­ce­du­ra del­l’am­min­is­trazione stra­or­di­nar­ia.
L’azien­da è strut­tural­mente in perdi­ta e dunque non può che essere ven­du­ta.
Dif­fi­cile trovare un investi­tore pri­va­to e così qual­cuno aggi­ra il prob­le­ma pen­san­do e dicen­do che comunque ci può essere il pub­bli­co a met­tere i denari sen­za pen­sare che quan­do il pub­bli­co ha finanzi­a­to imp­rese di questo tipo, e non solo recen­te­mente e non solo qui, ha prodot­to un dis­as­tro, tan­t’è che non a caso l’U­nione euro­pea, che vuol dire noi non altri, ha vieta­to gli aiu­ti di sta­to e sta­bil­i­to che i finanzi­a­men­ti pub­bli­ci pos­sono essere uti­liz­za­ti solo per la ricer­ca indus­tri­ale o sper­i­men­tale, comunque per pro­totipi e non cer­to per la loro indus­tri­al­iz­zazione. Da cui deri­va che quan­do si affer­ma con prosopopea che la siderur­gia non può essere las­ci­a­ta al mer­ca­to o quan­do si spac­cia come impianto inno­v­a­ti­vo finanzi­a­bile ciò che da altre par­ti già fun­ziona da anni nel mer­ca­to si rac­con­tano sto­rie.
OPERAIO GIOVANEPer non par­lare delle com­ple­men­tar­ità legate ad un polo per la rot­ta­mazione delle navi che si pre­sume addirit­tura impos­to e mag­a­ri finanzi­a­to dal­l’U­nione euro­pea sen­za dire che il ruo­lo del­l’U­nione euro­pea, bas­ta leg­gere la pro­pos­ta di rego­la­men­to che abbi­amo già a suo tem­po pub­bli­ca­to (per leg­gere clic­ca qui), non è cer­to quel­lo di indi­care né finanziare siti ma solo quel­lo di dettare stan­dard e poi chi ha più filo tes­sa.
Tralas­ci­amo le ten­tate sin­ergie con altri sta­bil­i­men­ti buone solo a far perdere tem­po, così come è sta­to.
Il prob­le­ma vero è che tra la volon­tà più o meno man­i­fes­ta di man­tenere gli asset­ti pro­dut­tivi esisten­ti e la mai venu­ta meno cre­den­za nel­l’aiu­to salv­i­fi­co del­lo Sta­to non si è affronta­to il prob­le­ma vero e cioè quel­lo di pen­sare ad un prog­et­to di sis­tema nel­l’am­bito del quale trovare le con­ve­nien­ze per gli investi­tori.
Fac­ciamo un solo esem­pio di con­ve­nien­ze e di com­pat­i­bil­ità.
Se qualche investi­tore volesse per caso costru­ire un forno elet­tri­co com­pet­i­ti­vo bisognerebbe, tra l’al­tro, assi­cu­rare sia l’en­er­gia a bas­so cos­to sia le infra­strut­ture ma in questo caso occor­rerebbe fare i con­ti con la ricon­ver­sione delle cen­trali pro­dut­tri­ci di ener­gia elet­tri­ca esisten­ti den­tro lo sta­bil­i­men­to, des­ti­nate a chi­ud­ere sen­za i gas di risul­ta del­l’alto­forno e del­la cock­e­ria, e con la real­iz­zazione di infra­strut­ture che avessero un nes­so con lo sta­bil­i­men­to, non cer­to con una parte di por­to che non si sa bene a cosa servirà dato che il suo scopo era quel­lo di accogliere i fanghi di Bag­no­li, poi diven­ta­to quel­lo di sman­tel­lare un rifi­u­to peri­coloso come la Cos­ta Con­cor­dia sen­za porre tutte le pre­messe, al di là di un molo e di qualche piaz­za­le, per portare avan­ti un lavoro com­p­lesso come quel­lo.
Ci fer­mi­amo qui dato che abbi­amo già a suo tem­po par­la­to delle dif­fi­coltà da super­are per una rein­dus­tri­al­iz­zazione che non sia solo decla­ma­ta (per leg­gere clic­ca qui), ma vale la pena di sot­to­lin­eare che, a propos­i­to delle fun­zioni e delle respon­s­abil­ità delle isti­tuzioni, il pub­bli­co, questo sì lo pote­va fare, avrebbe dovu­to pro­muo­vere il coor­di­na­men­to e la piani­fi­cazione real­is­ti­ca, non improvvisa­ta, per il risana­men­to e il riu­so pro­dut­ti­vo delle aree indus­tri­ali da bonifi­care, ma in questo pro­prio il suo ruo­lo non l’ha eserci­ta­to.
La vicen­da del­la siderur­gia piom­bi­nese non è anco­ra chiusa e nat­u­ral­mente ci auguri­amo che si sia anco­ra in tem­po per chi­ud­er­la sen­za troppe perdite. Non vor­rem­mo che dan­do per scon­ta­ta sem­pre la retor­i­ca del “non pos­si­amo las­ciar decidere al mer­ca­to” si sia costret­ti un giorno a implo­rare il mer­ca­to di non essere trop­po severo per rac­cogliere anco­ra qualche brici­o­la.

(Foto di Pino Bertel­li)

 

3 risposte a “Il caldo rifugio del finanziamento pubblico”

  1. controcorrente says:

    Otti­mo arti­co­lo, com­ple­mentare a quel­lo usci­to sul Sole giove­di’
    Il Mise non sia solo un ospedale da cam­po

    STRATEGIE D i SISTEMA CERCANSI.

    Il min­is­tero del­lo Svilup­po Eco­nom­i­co non deve essere una mer­chant bank. Non ne ha le risorse. Non ne ha le com­pe­ten­ze. E, nem­meno, il pro­fi­lo isti­tuzionale. Il min­is­tero del­lo Svilup­po eco­nom­i­co, però, non può essere assim­i­la­to a un ospedale da cam­po. Una strut­tura buona per (provare a) curare i mor­ti e i fer­i­ti di una crisi eco­nom­i­ca che viene da lon­tano. Una patolo­gia che, nel sec­on­do Paese più man­i­fat­turiero d’Eu­ropa, si chia­ma dein­dus­tri­al­iz­zazione e ha la sua radice stor­i­ca nel­la fine del par­a­dig­ma del­la grande impre­sa, in quegli anni Novan­ta che — fra deca­den­za delle gran­di famiglie e pri­va­tiz­zazioni del­la vec­chia econo­mia pub­bli­ca non sem­pre ese­gui­te a rego­la d’arte — sem­bra­no non pas­sare mai. Ecco che cosa fa, da trop­po tem­po, il Mise. E non solo con questo Gov­er­no-Tavoli di crisi. Gesti­ti con gen­erosità. Ma seg­nati- in maniera inevitabile — dal­la log­i­ca del­l’e­mer­gen­za e dal­la osses­sione occu­pazionale. Come è suc­ces­so con la Luc­chi­ni di Piom­bi­no. Dove la pres­sione del­la polit­i­ca locale e dei sin­da­cati, e in gen­erale l’an­sia con­ser­v­a­ti­va tut­ta ital­iana del man­ten­i­men­to del­lo sta­tus quo dimen­sion­ale delle imp­rese in via di, dis­mis­sione, han­no fat­to sì che il ciclo inte­grale fos­se — con­tro ogni evi­den­za empir­i­ca — ritenu­to un bene non negozi­a­bile. Così, cinque anni dopo, l’ac­ciaieria ha un pro­fi­lo pat­ri­mo­ni­ale e finanziario «esaus­to», nelle parole di chi la gestisce. Ques­ta osti­nazione sul­la con­ser­vazione per la con­ser­vazione non riguar­da soltan­to Piom­bi­no. Vale anche per mille altre crisi indus­tri­ali. Dal Sul­cis Igle­siente in avan­ti. Ma, così, la “polit­i­ca indus­tri­ale” si riduce a una sala di rian­i­mazione. (Pao­lo Bric­co)

  2. Luciano Giannoni says:

    Caro Pao­lo,
    leg­go sem­pre con piacere i tuoi scrit­ti poichè ti ho sem­pre riconosci­u­to — pur pen­san­dola diver­sa­mente — seri­età e onestà intel­let­uale. Tut­tavia sta­vol­ta sono forte­mente per­p­lesso: dipinge un quadro a tinte fos­che sulle prospet­tive future non solo delle acciaierie piom­bi­ne­si, ma si dimen­ti­ca(?) di dire come ed a causa di chi siamo arrivati a questo pun­to. Non si può dimen­ti­care infat­ti la folle fre­n­e­sia pri­va­tiz­za­to­ria che afflisse negli anni ’90 (ma non solo) quel­la sin­is­tra deco­mu­nis­tiz­za­ta che vol­e­va accred­i­tar­si pres­so lor­sig­nori come bravi gestori del loro (di lor­sig­nori) potere. Quin­di si è ven­du­to — meglio dire sven­du­to o regala­to — quelle che era­no le ric­chezze eco­nomiche e strate­giche del nos­tro sis­tema indus­tri­ale ed eco­nom­i­co (ci si ricor­da ad esem­pio il D’Ale­ma del­la Tele­com e dei “cap­i­tani cor­ag­giosi”?). Che le Acciaierie di Piom­bi­no siano state regalate — e ripeto” regalate” — a Luc­chi­ni con l’ag­giun­ta di un lau­to pre­mio è cosa nota. I mantra di allo­ra era­no all’in­cir­ca e . Ora sono sot­to gli occhi di tut­ti i dis­as­tri del pri­va­to (con rare eccezioni), in ter­mi­ni di inca­pac­ità di ricer­ca e inno­vazione, ed il cui scopo preva­lente è rias­sim­i­bile con il mot­to . Intan­to nei pae­si europei (solo per citarne alcu­ni e non minori: Fran­cia, Aus­tria, Ger­ma­nia) dove al gov­er­no non c’era chi dove­va far­si per­donare un tris­to pas­sato comu­nista si con­tin­u­a­va — e si con­tin­ua — a man­tenere indus­trie e aziende strate­giche in mano allo Sta­to. Ora, così come se si tro­va per stra­da un bam­bi­no che piange con in mano un gio­cat­to­lo rot­to si inter­ro­ga su chi sia sta­to e quin­di se è sta­to lui a romper­lo lo si rim­provera e mag­a­ri gli si dà uno scap­pel­lot­to, ma se è sta­to un giov­inas­tro fac­ciamo di tut­to per costringer­lo a ricom­prar­lo e mag­a­ri gli diamo anche un sonoro e mer­i­ta­to cef­fone, così cre­do che, nel­l’in­ter­esse di tut­ti, dob­bi­amo chedere alla Sta­to (anche se mi piac­erebbe chieder­lo diret­ta­mente all’es­imio giu­dice cos­ti­tuzionale Ama­to impeg­nan­do le sue mul­ti­ple e laute prebende) di recu­per­are al pat­ri­mo­nio pub­bli­co quan­to è indis­pens­abile per­chè l’I­talia non sia solo il paese che pro­duce cen­ci (fir­mati, ma sem­pre cen­ci) e veline. Non si trat­terebbe di un “…inter­ven­to salv­i­fi­co del­lo Sta­to…” ma di una doverosa pre­sa di coscien­za degli sbagli commes­si.
    Aggiun­go infine, e con­clu­do, che pro­prio per l’on­està intel­let­tuale che ti riconosco, mi sarei aspet­ta­to un min­i­mo di aut­o­crit­i­ca, vis­to e con­sid­er­a­to che hai per decen­ni mil­i­ta­to — e cer­to non da sem­plice iscrit­to — in un par­ti­to che mal­gra­do le con­tin­ue peripezie nom­i­nal­is­tiche (PDS, DS, Uli­vo, PD) por­ta pesan­ti respon­s­abil­ità in tut­to questo.
    Con immu­ta­ta sti­ma e ami­cizia
    L. Gian­noni

    • Paolo Benesperi says:

      Caro Luciano,
      ti ringrazio delle osser­vazioni che hai volu­to inviare. Il con­fron­to è sem­pre utile. Nel mer­i­to è perfi­no super­fluo che man­i­festi la non con­cor­dan­za: il mio arti­co­lo ed il tuo com­men­to sono molto chiari e dunque i let­tori han­no gli stru­men­ti per far­si una pro­pria opin­ione. Esplic­i­to solo una mia con­vinzione e uso le stesse parole che, riflet­ten­do sul­l’I­talia, han­no espres­so in un libro recente, non a caso inti­to­la­to GRANDI ILLUSIONI, Giu­liano Ama­to e Andrea Graziosi: “.. .Molti dei nos­tri prob­le­mi sono nati anche da questo rifi­u­to di pren­dere atto di una realtà sgrade­v­ole … e dai ten­ta­tivi di varia ispi­razione di esor­ciz­zarla…”. Ecco, il sen­so del mio arti­co­lo era pro­prio quel­lo di invitare a non colti­vare illu­sioni con il rifi­u­to del­la pre­sa d’at­to del­la realtà.
      In questo sen­so accol­go il tuo invi­to all’au­t­o­crit­i­ca (per quan­to il ter­mine por­ti a dram­mi di sapore shake­spear­i­ano anche questi da non esor­ciz­zare), ammes­so che tal­vol­ta abbia assec­onda­to il “rifi­u­to di pren­dere atto di una realtà sgrade­v­ole”.
      Con analo­ga sti­ma ed ami­cizia.
      Pao­lo Benes­peri

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