La foto del bambino annegato e i sensi di colpa

· Inserito in Spazio aperto
Giada Lo Cascio

PIOMBINO 5 set­tem­bre 2015 — È bas­ta­ta una fotografia per far soll­e­vare il web, per smuo­vere le coscien­ze di politi­ci e cit­ta­di­ni: la fotografia di una crea­tu­ra di pochi anni mor­ta annega­ta e river­sa sul­la spi­ag­gia, un’im­mag­ine che nes­suno avrebbe volu­to, né dovu­to vedere e che tut­tavia sem­bra ess­er sta­ta più effi­cace di anni di reso­con­ti e reportage. Un’im­mag­ine che rap­p­re­sen­ta quel­la che ormai è divenu­ta la quo­tid­i­an­ità, a segui­to di flus­si migra­tori sem­pre più inten­si, e che altro non fa che pro­porre, con un impat­to volu­ta­mente scioc­cante, una sola delle centi­na­ia di migli­a­ia di vit­time che han­no per­so la vita nel­la tom­ba d’ac­qua che oggi è il Mar Mediter­ra­neo. Vit­time sen­za volto, sen­za nome, sen­za età, che se ne sono andate nel migliore dei casi nel­l’in­dif­feren­za gen­erale, nel peg­giore tra le stru­men­tal­iz­zazioni politiche del­l’u­na o del­l’al­tra fazione. Era quin­di nec­es­saria la foto del­l’in­no­cente per scatenare la reazione indig­na­ta e con­tri­ta di migli­a­ia di uten­ti del web, sen­si di col­pa ad orologe­ria des­ti­nati a svanire non appe­na dis­con­nes­si, mag­a­ri tra un aper­i­ti­vo e un giro in dis­cote­ca. Per quan­ti si siano effet­ti­va­mente impeg­nati per anni nelle cause uman­i­tarie, sia a liv­el­lo politi­co che sociale, per tan­ti, tan­tis­si­mi, con­di­videre un trafilet­to su un social ha lo stes­so effet­to di una con­fes­sione in chiesa. Sal­vo poi spen­gere il computer/uscire dal con­fes­sion­ale e las­cia­r­si tut­to dietro le spalle. Com’è ovvio che sia, del resto. Razional­mente non c’è nes­sun moti­vo per­ché un comune cit­tadi­no deb­ba accusar­si di quel­lo che sta acca­den­do. Nes­suno ha di fat­to la pos­si­bil­ità di agire (né da solo, né in grup­po) per fer­mare queste tragedie. Altret­tan­to razional­mente sap­pi­amo che ogni even­to è frut­to di una causa sca­tenante e un fenom­e­no macro­scop­i­co come questo non può che sca­turire da una plu­ral­ità di con­cause, trop­po antiche, com­p­lesse ed ele­vate che nes­suno, meno che mai in poche righe, potrebbe ricostru­ire o sin­te­tiz­zare sen­za appog­gia­r­si a decen­ni di ricerche e stu­di in mate­ria.
Se si vuol par­lare di respon­s­abil­ità, queste andreb­bero cer­cate altrove, non cer­to nel­la caren­za di sen­si­bil­ità, di spir­i­to di accoglien­za o di empa­tia: chi­unque, forse, tro­verebbe di che rim­prover­ar­si. E a buon dirit­to.
I sen­si di col­pa dovreb­bero allo­ra venire pri­ma di tut­to a chi anni fa, in occa­sione dei pri­mi sbarchi, rifi­utò tout-court l’idea che l’im­mi­grazione potesse cos­ti­tuire un prob­le­ma: con­vin­to (per inge­nu­ità o per inter­esse) che gli arrivi sareb­bero sta­ti lim­i­tati o, comunque, non avreb­bero avu­to alcun impat­to sul­la nos­tra soci­età. Anzi, sareb­bero sta­ti una grande oppor­tu­nità per la costruzione di un’u­topi­ca civiltà mul­ti­cul­tur­ale. Del resto, gli stes­si sen­si di col­pa dovreb­bero venire a chi cre­de­va che l’in­te­grazione sarebbe sta­ta nat­u­rale con la col­lab­o­razione degli “autoc­toni” e quin­di igno­ran­do com­ple­ta­mente il gap cul­tur­ale tra per­sone che proveni­vano da con­testi di estrema povertà, abit­u­ate a regi­mi politi­ci total­i­tari di tipo spes­so teo­crati­co, a una reli­gione tal­mente per­va­si­va da con­dizionare i sis­te­mi leg­isla­tivi stes­si, e per­sone abit­u­ate alle lib­ertà per­son­ali e ai dirit­ti, col­let­tivi e indi­vid­u­ali, che sca­turi­vano dal­la sec­o­lar­iz­zazione e dal pen­siero laico di matrice illu­min­ista e quin­di un cer­to liv­el­lo di eman­ci­pazione dai dog­mi som­min­is­trati dalle autorità reli­giose. I sen­si di col­pa dovreb­bero venire a chi, dieci o quindi­ci anni fa, ave­va già intu­ito questo dram­mati­co trend migra­to­rio e si è com­ple­ta­mente dis­in­ter­es­sato alla ricer­ca di soluzioni pre­ven­tive, mag­a­ri preve­den­do che quel­lo dei dis­perati avrebbe potu­to diventare un busi­ness par­ti­co­lar­mente red­di­tizio. I sen­si di col­pa dovreb­bero venire a chi è vis­su­to net­ta­mente al di sopra delle pro­prie esi­gen­ze, ero­den­do in pochi decen­ni le risorse che avreb­bero dovu­to essere nec­es­sarie al sos­ten­ta­men­to di un piane­ta intero e alle future gen­er­azioni, inca­pace di vedere al di là del­l’im­me­di­a­ta con­tin­gen­za. I sen­si di col­pa dovreb­bero venire a chi­unque, igno­rante e mis­ero, abbia inneg­gia­to all’af­fon­da­men­to dei bar­coni, fes­teggia­to di fronte alle stra­gi di mas­sa, come se lo ster­minio fos­se una soluzione, come se gli ulti­mi cen­to anni non ci fos­sero mai sta­ti, come se la vita umana avesse un val­ore deter­minabile in base alla prove­nien­za o, mag­a­ri, al portafoglio. I sen­si di col­pa dovreb­bero venire a chi non ha deciso di inter­venire quan­to pri­ma con­tro i pro­feti di un fon­da­men­tal­is­mo cieco, nutri­ti da un odio inestin­guibile ver­so l’oc­ci­dente “infedele” e pro­mo­tori di un’in­ter­pre­tazione bar­bara di un’an­ti­ca e com­p­lessa reli­gione, tal­mente ret­ro­gra­di e fero­ci da vio­lentare tor­tu­rare mas­sacrare i loro stes­si fratel­li, annientare polver­iz­zare le ves­ti­gia del­la loro stes­sa civiltà (e del­la sto­ria del­l’u­man­ità intera). Per questo forse sì, tut­to il mon­do ha una parte di respon­s­abil­ità in quel­lo che sta succe­den­do: per questo non pos­si­amo con­tin­uare a far fin­ta di nul­la e ad arra­battare soluzioni pre­carie, impan­ta­nati in un immo­bil­is­mo deci­sion­ale, men­tre sem­bra dis­cuter­si solo su quan­ti migranti accogliere in cias­cun Paese, men­tre le fron­tiere si trasfor­mano in muri imbrat­tati di sangue e le cronache gior­naliere dipin­gono un’im­mag­ine del­l’Eu­ropa insi­cu­ra, debole, inet­ta, come regred­i­ta ai momen­ti più bui del­la sua sto­ria recente.

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