Strumenti urbanistici: un mare infinito di sigle

· Inserito in Leggi e normative
Fiorenzo Bucci

All’inizio era il Prg, ovvero il Piano rego­la­tore gen­erale. Ne abbi­amo sen­ti­to par­lare per anni per­ché il Prg non è una scop­er­ta recente. Sec­on­do una definizione cor­rente il Piano rego­la­tore è sta­to lo stru­men­to che ha rego­la­to l’at­tiv­ità edi­fi­ca­to­ria all’in­ter­no di un ter­ri­to­rio comu­nale. Pote­va essere quin­di pre­dis­pos­to da un sin­go­lo Comune o anche da più Comu­ni con­fi­nan­ti o comunque lim­itrofi. In questo caso si parla­va comune­mente di Piano rego­la­tore gen­erale inter­co­mu­nale.
Il padre del Piano rego­la­tore è sta­to un provved­i­men­to leg­isla­ti­vo addirit­tura del 1865: Con esso si vol­e­va rego­la­mentare l’espansione edilizia urbana e dis­ci­pli­nare la cresci­ta del­la cit­tà fuori delle mura, nel cosid­det­to cir­con­dario ester­no. Nac­quero così, dal nome dei prog­et­tisti, il Piano Pog­gi a Firen­ze, il Piano Viviani a Roma, il Piano Beruto a Milano. Roba che però non inter­essò mai pic­cole comu­nità come quel­la del­la Val di Cor­nia.
Il vero Prg, come è sta­to conosci­u­to fino a qualche anno fa, è nato però da un legge del  1943 con­cepi­ta per gestire l’incremento urbano e uti­liz­za­ta a par­tire dagli anni set­tan­ta come rifer­i­men­to per la piani­fi­cazione gen­erale di un ter­ri­to­rio. Quel­la vec­chia nor­ma­ti­va indi­ca­va pedis­se­qua­mente i momen­ti di stu­dio e di elab­o­razione tec­ni­ca di un Prg definen­do nell’ambito di una stes­sa zona le norme di attuazione, i costi e i tem­pi.
In epoca più recente, con l’approvazione di altri provved­i­men­ti (vedi decre­to del 1968), i Prg si arric­chi­rono di nuovi stru­men­ti molti usati ed oggi ormai noti anche al grande pub­bli­co: i Piani attua­tivi. Essi ven­nero con­cepi­ti per ren­dere più agile, più imme­di­a­ta e mag­gior­mente defini­ta la pre­vi­sione dei Prg rel­a­ti­va ad una speci­fi­ca zona. Così tut­ti abbi­amo conosci­u­to la nutri­ta serie di sigle che han­no iden­ti­fi­ca­to i Piani attua­tivi: i Piani Par­ti­co­lareg­giati, i Peep, cioè i Piani per l’edilizia eco­nom­i­ca e popo­lare, i Pip ovvero i Piani per gli inse­di­a­men­ti pro­dut­tivi, i Pdr, cioè i Piani di recu­pero. Alcu­ni di inizia­ti­va pub­bli­ca, altri di inizia­ti­va mista o anche solo pri­va­ta.

Siamo andati avan­ti così fino alla rifor­ma del 1995 quan­do il leg­is­la­tore ha coin­volto le Regione nel­la redazioni di piani comu­nali e inter­co­mu­nali che tenessero con­to di una più vas­ta esi­gen­za ter­ri­to­ri­ale.
Sono nati in questo modo il Piano strut­turale, che ormai si conosce come il figlio più o meno legit­ti­mo del vec­chio Prg, e, come con­seguen­ti stru­men­ti oper­a­tivi, i Piani oper­a­tivi e i Rego­la­men­ti urban­is­ti­ci e edilizi.
Il Piano strut­turale, a dif­feren­za del vec­chio Prg, non è pre­scrit­ti­vo. Esso ha la carat­ter­is­ti­ca di stru­men­to pro­gram­mati­co di ind­i­riz­zo che definisce le indi­cazioni del gov­er­no del ter­ri­to­rio. Con un esem­pio si può dire che esso non indi­ca, come avveni­va col Prg, dove si costru­irà ma dove si potrà costru­ire al net­to di imped­i­men­ti che su un’area pos­sono gravare. In questo sen­so il Piano strut­turale è con­cepi­to come rac­cor­do tra gli ind­i­rizzi dei Ptc (Piani ter­ri­to­ri­ali di coor­di­na­men­to) a valen­za provin­ciale e le scelte espresse dalle comu­nità locali. Non crea vin­coli ma appun­to li recepisce dai Ptc, dai Ppar (Piani pae­sis­ti­ci ambi­en­tali region­ali) e da analoghi stru­men­ti di ges­tione. Al momen­to dell’adozione di un Psc (Piano strut­turale comu­nale) se ne indi­ca anche la valen­za nel tem­po.
Chiara­mente l’avvento dei Piani strut­turali è sta­to accom­pa­g­na­to dal­la con­tem­po­ranea intro­duzione di stru­men­ti esec­u­tivi. Sono nati così i Piani oper­a­tivi che han­no invece carat­ter­is­tiche  pre­scrit­tive, nel sen­so che, facen­do rifer­i­men­to alle indi­cazioni dei Piani strut­turali, definis­cono tas­sati­va­mente la stra­da da seguire negli inter­ven­ti urban­is­ti­ci definen­do pri­or­ità, tem­pi di attuazione e risorse nec­es­sarie alle real­iz­zazioni. Sono i Piani del­la giun­ta nel sen­so che han­no soli­ta­mente la stes­sa dura­ta del manda­to dei sin­daci e degli esec­u­tivi comu­nali.
Accan­to ai Piani strut­turali e ai Piani oper­a­tivi (sigla Poc, cioè Piani oper­a­tivi comu­nali) il leg­is­la­tore ha pre­vis­to i Rego­la­men­ti urban­is­ti­ci ed edilizi  (sigla Rue). Sono la croce e (spes­so) assai meno la delizia delle imp­rese di costruzione alle quale ven­gono det­tate dai Rue le modal­ità per i nuovi inter­ven­ti ed anche e soprat­tut­to per quel­li che riguardano il pat­ri­mo­nio edilizio stori­co, le trasfor­mazioni in ambito rurale e comunque le diverse ristrut­turazioni.

Negli arti­coli che abbi­amo ded­i­ca­to alla pro­gram­mazione urban­is­ti­ca e comunque agli inter­ven­ti per garan­tire lo svilup­po del ter­ri­to­rio si è incon­tra­ta (decre­to che riconosce Piom­bi­no come area di crisi indus­tri­ale com­p­lessa) la sigla Apq (cioè Accor­do di pro­gram­ma quadro).
Per capire di cosa si trat­ta bisogna speci­fi­care che esso è uno stru­men­to del­la cosid­det­ta Pro­gram­mazione negozi­a­ta, defini­ta da una legge del 1996 che al riguar­do tes­tual­mente recita: “la pro­gram­mazione negozi­a­ta è la rego­la­men­tazione con­cor­da­ta tra sogget­ti pub­bli­ci o tra il sogget­to pub­bli­co com­pe­tente e la parte o le par­ti pub­bliche o pri­vate per l’at­tuazione di inter­ven­ti diver­si, rifer­i­ti ad un’u­ni­ca final­ità di svilup­po, che richiedono una val­u­tazione com­p­lessi­va delle attiv­ità di com­pe­ten­za”.  In parole povere per Pro­gram­mazione negozi­a­ta si intende una sor­ta di accor­do che  con­sente alle Regioni di con­cor­dare col Gov­er­no, set­tori e aree in cui effet­tuare inter­ven­ti per lo svilup­po di un ter­ri­to­rio regionale.
Tra gli stru­men­ti per real­iz­zare la Pro­gram­mazione negozi­a­ta esiste appun­to l’Accordo di pro­gram­ma Quadro con si definisce, per un deter­mi­na­to set­tore di inter­ven­to, le opere ed i finanzi­a­men­ti, nonché le pro­ce­dure per vig­i­lare sull’attuazione degli inves­ti­men­ti che appun­to si sono con­cor­dati in ques­ta inte­sa isti­tuzionale (sono di soli­to sot­to­scrit­ti dalle Regioni, dal Min­is­tero del­l’e­cono­mia e delle finanze, e dalle Ammin­is­trazioni cen­trali e locali com­pe­ten­ti). Gli inter­ven­ti pre­visti dagli Accor­di di pro­gram­ma quadro sono finanziati con risorse di diver­sa natu­ra: nazion­ali, region­ali, comu­ni­tarie o anche pri­vate.
Accan­to agli Accor­di di pro­gram­ma quadro, la legge che definisce la Pro­gram­mazione negozi­a­ta, prevede altri quat­tro stru­men­ti oper­a­tivi: l’Intesa isti­tuzionale di pro­gram­ma (è un sem­plice accor­do di col­lab­o­razione tra isti­tuzioni sen­za par­ti­co­lari vin­coli (Sta­to, Regioni ecc.), i Pat­ti ter­ri­to­ri­ali (Sono intese che nascono nell’ambito di uno speci­fi­co Accor­do di pro­gram­ma quadro per ulte­ri­or­mente favorire il persegui­men­to di obbi­et­tivi defin­i­ti. Essi coin­vol­go­no enti locali, par­ti sociali e sogget­ti inter­es­sati pub­bli­ci e pri­vati), il Con­trat­to di pro­gram­ma (è  un con­trat­to che lega lo Sta­to, le imp­rese e rap­p­re­sen­tan­ti dei dis­tret­ti indus­tri­ali coin­vol­gen­doli nel con­segui­men­to degli scopi del­la Pro­gram­mazione negozi­a­ta) e infine il Con­trat­to di area (è un accor­do attra­ver­so il cui le par­ti sociali, le isti­tuzioni e gli altri sogget­ti inter­es­sati perseguono l’o­bi­et­ti­vo di aumentare l’oc­cu­pazione in aree def­i­nite di crisi).

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