Una lista civica per “un’altra Piombino”

Paolo Benesperi

PIOMBINO 15 feb­braio 2014 — È sta­ta pre­sen­ta­ta a Piom­bi­no una nuo­va lista civi­ca di sin­is­tra per le prossime elezioni comu­nali. È cos­ti­tui­ta da un grup­po etero­ge­neo di per­sone che proven­gono da for­mazioni diverse, che non con­di­vi­dono il modo attual­mente imper­ante di fare politi­ca­ma che nel­la polit­i­ca cre­dono. Pregiudizial­mente non chi­udono a nes­suno, né a movi­men­ti né a forze politiche. Cinzia Bar­tal­i­ni e Mari­na Ric­cuc­ci sono le por­tav­oce del grup­po pro­mo­tore. A loro abbi­amo riv­olto alcune domande.

Per­ché avete intrapre­so ques­ta inizia­ti­va per far nascere una nuo­va lista civi­ca?
Ques­ta è una lista civi­ca di sin­is­tra nata per spon­tanea aggregazione di per­sone che han­no volu­to incon­trar­si e che han­no deciso di lavo­rare insieme par­tendo da un man­i­festo pro­gram­mati­co: quel­lo che pone al cen­tro l’etic­ità del­la polit­i­ca.
Cre­di­amo che Piom­bi­no pos­sa essere altra, cioè diver­sa da quel­la che è oggi. Altra nel sen­so di vis­su­ta, conosci­u­ta e ammin­is­tra­ta attra­ver­so una polit­i­ca diver­sa.
Tenu­to con­to che la Piom­bi­no che si prepara alle elezioni ammin­is­tra­tive vive il dram­ma delle ques­tioni occu­pazion­ali, ha un ter­ri­to­rio che recla­ma cure e manuten­zione, van­ta un pat­ri­mo­nio ambi­en­tale che urla la pro­pria dife­sa, sof­fre di una crisi sociale che nasce dal­la crisi del sis­tema pro­dut­ti­vo sul quale fino a oggi ha imposta­to la pro­pria econo­mia, ci riconos­ci­amo nei dieci pun­ti che cos­ti­tu­is­cono la cam­pagna Mis­e­ria ladra di Don Ciot­ti.

Qual’è il sig­ni­fi­ca­to di un’ altra Piom­bi­no?
Non siamo qui a dirvi che vogliamo lavoro — salute — ambi­ente, per­ché questo lo dicono tut­ti, tut­ti lo sbandier­a­no.
Cer­to che li vogliamo, con tutte le nos­tre forze.
Ma li vogliamo in nome del­la sola polit­i­ca che si incar­di­na sui prin­cipi e sui val­ori che con­sid­e­ri­amo ed eleg­giamo come irri­n­un­cia­bili: quel­li del­la legal­ità, del­la moral­ità, del­la tutela del­la salute e del­l’am­bi­ente, del rispet­to del­l’in­di­vid­uo, di ogni diver­sità, di ogni idea.
Ques­ta polit­i­ca ha un suo statu­to e una sua iden­tità cos­ti­tuzional­mente sanci­ti: si chia­ma democrazia parte­ci­pa­ta.
La democrazia parte­ci­pa­ta è pri­ma di tut­to tre cose: aper­tu­ra, con­fron­to e prog­et­to.
Aper­tu­ra ver­so tutte quelle per­sone che lavo­ra­no su pic­coli e gran­di temi, speci­fi­ci e gen­er­ali, che spes­so non han­no incar­ichi pub­bli­ci e che trop­po spes­so non han­no voce, ma che han­no un’idea chiara e pre­cisa delle soluzioni da adottare e un’es­pe­rien­za che non può che essere ric­chez­za.
Con­fron­to per­ché con­fron­ter­e­mo le idee a cui abbi­amo dato ascolto con le infor­mazioni che avre­mo rac­colto dai cosid­det­ti ‘esper­ti’, che con­vocher­e­mo e che incar­icher­e­mo di fornir­ci stu­di mirati su ques­tioni speci­fiche che ci riguardano. Il con­fron­to pro­dur­rà un’anal­isi ogget­ti­va, tec­ni­ca e doc­u­men­ta­ta.
Prog­et­to per­chèl figlio del­la democrazia parte­ci­pa­ta è il prog­et­to per il futuro, il prog­et­to che fa futuro. Dal­l’anal­isi arriver­e­mo alla for­mu­lazione di piani di lavoro e di inter­ven­to. Sceglier­e­mo quel­li che ci offrono le garanzie mag­giori tenen­do con­to delle istanze espresse dal per­cor­so parte­ci­pa­to. Siamo agli antipo­di del­la polit­i­ca del­l’esclu­sione.
Ma siamo anche agli antipo­di del­la polit­i­ca del­l’e­mer­gen­za: quel­la che ha come prat­i­ca ordi­nar­ia i provved­i­men­ti tam­pone, che han­no effet­ti di breve dura­ta e nes­sun fon­da­men­to di prospet­ti­va. Le soluzioni che nascono da un prog­et­to con­di­vi­so in modo traspar­ente han­no la prospet­ti­va futu­ra di bene pub­bli­co, le soluzioni che nascono da un’e­si­gen­za di emer­gen­za, o peg­gio per creare solo con­sen­so, non costru­is­cono un futuro per la cit­tà ma lo dis­trug­gono.
Spes­so questi provved­i­men­ti sono legati a inter­es­si pri­vati mera­mente spec­u­la­tivi che a tut­to mira­no fuorché al bene pub­bli­co. Siamo con­tro la polit­i­ca che ha con­niven­ze con questo tipo di inter­es­si. Siamo favorevoli all’im­pre­sa pri­va­ta, vogliamo che pas­si questo mes­sag­gio.

Quali sono più speci­fi­ca­mente le vostre idee fon­da­men­tali per Piom­bi­no?
Chi arri­va a Piom­bi­no incon­tra cartel­li con la scrit­ta Piom­bi­no non deve chi­ud­ere.
Ques­ta frase è un appel­lo acco­ra­to, è la voce di una sof­feren­za, è la paro­la del­la povertà che attanaglia. In ques­ta frase si con­den­sano una sto­ria, un pre­gres­so, ma anche una prospet­ti­va.
Piom­bi­no ha da sem­pre una vocazione indus­tri­ale, emi­nen­te­mente indus­tri­ale. Piom­bi­no come fab­bri­ca, Piom­bi­no che vive sot­to la minac­cia incombente del­la fab­bri­ca che chi­ude. Oggi la situ­azione è gravis­si­ma: Piom­bi­no è caso nazionale, lo sap­pi­amo bene. Come sap­pi­amo bene che ques­ta fab­bri­ca, così com’è, non ha futuro. È una ver­ità da cui nes­suno può pre­scindere. Un tem­po di inter­ven­to che non pos­si­amo più riman­dare. Ques­ta è la realtà. La fab­bri­ca si sal­va se si ricon­verte e ricon­ver­tire sig­nifi­ca due cose: ambi­en­tal­iz­zazione, preferi­bil­mente con impianti nuovi lon­tani dal­la cit­tà, poi, prob­a­bil­mente, inno­vazione con forno elet­tri­co e corex. Rimane la ques­tione delle boni­fiche che è una con­dizione ine­ludi­bile. Ma per tut­to questo abbi­amo bisog­no di stu­di com­pe­ten­ti, di ved­er­li e di val­u­tar­li. Para­dos­salmente, oggi, si preferisce paventare lo spet­tro del­la chiusura piut­tosto che inve­stire su tut­to questo. Dici­amo bas­ta.
Poi bisogna fare un’al­tra cosa. Puntare sul­la diver­si­fi­cazione. Piom­bi­no si sal­va se si diver­si­fi­ca. E non c’è diver­si­fi­cazione sen­za una polit­i­ca ambi­en­tale rig­orosa che pon­ga al suo cen­tro il ter­ri­to­rio. Piom­bi­no è, oltre che fab­bri­ca, anche ter­ri­to­rio e questo ter­ri­to­rio cos­ti­tu­isce una risor­sa, forte, reale, su cui inve­stire.
Fare­mo nos­tro il pro­gram­ma che va sot­to la dic­i­tu­ra ‘stop al con­sumo del ter­ri­to­rio’. Per­ché le politiche ambi­en­tali por­tano ric­chez­za e a Piom­bi­no una polit­i­ca ambi­en­tale non è mai sta­ta fat­ta. Ovvio che non ci lim­iter­e­mo a oper­azioni min­i­mali e di fac­cia­ta, ma fare­mo del­la tutela e del­la val­oriz­zazione del ter­ri­to­rio uno dei perni delle scelte di gov­er­no. Siamo tor­nati indi­etro sulle politiche sovra­co­mu­nali, sui i parchi c’è sta­ta una involuzione rispet­to alla mis­sione orig­i­nale, per il tur­is­mo ci fer­mi­amo solo al peri­o­do esti­vo. Lavor­ere­mo su tut­to questo. Stes­sa cosa per i rifiu­ti: pen­si­amo a quelle cit­tà vir­tu­ose che di fronte alla ques­tione del­la ges­tione dei rifiu­ti han­no agi­to in modo con­cre­to (Capan­nori in pri­ma fila qui in Toscana). Han­no sos­ti­tu­ito la paro­la emer­gen­za con la paro­la ges­tione.
Siamo con­vin­ti che ricon­ver­sione e diver­si­fi­cazione sono la via del­la salvez­za: per­ché tute­lano i posti di lavoro e per­ché ne offrono di altri in altri set­tori. Solo così Piom­bi­no non chi­ud­erà.
Solo così Piom­bi­no tornerà a essere una cit­tà che non pro­duce più povertà. Povertà di red­di­to e povertà cul­tur­ale atter­ra­no ques­ta cit­tà. Qui oggi si reg­is­tra un altissi­mo tas­so di abban­dono sco­las­ti­co (pari a quel­lo del­la media nazionale). La povertà mino­rile pro­duce povertà cul­tur­ale, cioè anal­fa­betismo e sud­di­tan­za silente e muta. Pro­duce dis­oc­cu­pati, pre­cari, malati, soli­tu­di­ni, sof­feren­za, morte del­la sper­an­za, ostruzion­is­mi a oltran­za, sud­di­ti e non cit­ta­di­ni. Noi vogliamo inver­tire questo e lo fare­mo, lavor­ere­mo nelle scuole e con le scuole, lavor­ere­mo nei quartieri e con i quartieri. Con­traster­e­mo l’ab­ban­dono sco­las­ti­co e la cosid­det­ta fuga dei cervel­li, fare­mo le politiche di inclu­sione, accoglier­e­mo cul­ture diverse facen­dole nos­tre.
La povertà fa meno­mazione anche del­la nos­tra lin­gua: ci obbli­ga a usare frasi fat­te, a ripetere espres­sioni stereoti­pate, a uti­liz­zare sem­pre le stesse parole. Sos­ti­tu­iamo ‘emer­gen­za’ con ‘ques­tione’: nel­la sec­on­da paro­la sono con­tenute le volon­tà di capire per agire; sos­ti­tu­iamo ‘pau­ra’ con ‘curiosità’, ‘allarme’ con ‘osser­vazione’ e ‘aspet­ta­ti­va’.
Non dimen­tichi­amo mai che più il lin­guag­gio si fa povero, più le mafie di diver­so ordine e gra­do pren­dono il potere. La ric­chez­za del­l’e­spres­sione è come lo sguar­do stra­bi­co, di Don Ciot­ti, lo sguar­do che osser­va il vici­no ma che non perde di vista l’oriz­zonte allarga­to.

 

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