Una missione nella parrocchia difficile

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Roberto Marini

Il loro vac­ci­no era ed è anche oggi l’Africa delle mis­sioni, la dura realtà del Con­go, la lot­ta quo­tid­i­ana per soprav­vi­vere con l’essenziale e spes­so neanche con quel­lo. Chi par­lò loro del Cotone spese parole dure: “Una par­roc­chia dif­fi­cile dove i preti non van­no volen­tieri, anzi non vogliono pro­prio andare”. Era il 1986 e quel­la fu la par­roc­chia scelta da padre Car­lo e dal­la mis­sion­ar­ia Emma. Ci ten­gono a pre­cis­ar­lo: non cer­ca­vano una par­roc­chia, vol­e­vano solo un luo­go adat­to per portare avan­ti la loro opera, per con­tin­uare a lavo­rare dall’Italia per le mis­sioni preparan­do chi fos­se dis­pos­to a par­tire ani­ma­to dal­lo spir­i­to del­la più aut­en­ti­ca sol­i­da­ri­età cris­tiana. Una pre­sen­za reli­giosa forte in una zona dove anco­ra oggi chi ti indi­ca con dovizia di par­ti­co­lare la stra­da per arrivare alla chiesa pre­cisa – è cap­i­ta­to a noi – che comunque non ti accom­pa­g­n­erà.
Non lo ammet­ter­an­no mai ma Car­lo e Emma non han­no incon­tra­to dif­fi­coltà africane ma di cer­to han­no dovu­to affrontare più di un osta­co­lo nel­la nuo­va comu­nità dove il con­fine tra la fab­bri­ca e la casa non è mai net­to, dove lo spolveri­no nero per anni è rius­ci­to a coprire tut­to ma non la fierez­za e la deter­mi­na­ta volon­tà di gente abit­u­a­ta al sac­ri­fi­cio. Car­lo par­la di “uman­ità sana”. E sta pro­prio in ques­ta ogget­ti­va val­u­tazione il seg­re­to di Pul­cinel­la di un incon­tro che non pote­va non esser­ci.  Un anno appe­na e la pre­sen­za del­la par­roc­chia del Cotone nel quartiere divenne una realtà, per pochi anche un pun­to di rifer­i­men­to.
Non solo l’opera mis­sion­ar­ia per le mis­sioni lon­tane del ter­zo mon­do ma anche un’attività instan­ca­bile di parte­ci­pazione e di pre­sen­za nel quartiere, tra i bisog­ni e le neces­sità quo­tid­i­ane degli abi­tan­ti al di là delle con­vinzioni e delle fedi. Emma, con una bel­la espres­sione, li ha defin­i­ti “le dif­fi­coltà del­la vita”.
E nelle “dif­fi­coltà del­la vita” la minus­co­la par­roc­chia del quartiere dif­fi­cile non è mai man­ca­ta. In una bor­ga­ta opera­ia è qua­si sem­pre il lavoro, l’opera prat­i­ca, il deside­rio di costru­ire qual­cosa, che alla fine cemen­ta con­vinzioni ideal­mente lon­tane e abbat­te ogni pos­si­bile rifi­u­to sociale. Non c’è mai sta­to – dice Car­lo – che spes­so è diven­ta­to non il prete ma un operaio tra gli altri per lavori anche intorno alla chiesa.
L’esperienza esti­va dei campi di lavoro è sta­ta essen­ziale in ques­ta direzione. Uno stru­men­to aper­to soprat­tut­to ai gio­vani che ha defin­i­ti­va­mente spi­ana­to strade impor­tan­ti. Oggi ormai la par­roc­chia, aper­ta per la for­mazione ver­so le mis­sioni lon­tane, eserci­ta di fat­to una nor­male mis­sione evan­gel­i­ca e di sol­i­da­ri­età anche e soprat­tut­to nel­la realtà in cui è rius­ci­ta ad inserir­si a pieno tito­lo. Non c’è inizia­ti­va in cui i due reli­giosi mis­sion­ari non siano rius­ci­ti a parte­ci­pare. “Mai da pro­tag­o­nisti ma sem­pre insieme”. Ci ten­gono a pun­tu­al­iz­zar­lo. Il con­cet­to tipi­ca­mente mis­sion­ario di non imporre ma di esser­ci ha impronta­to e sta tut­to­ra carat­ter­iz­zan­do l’attività del­la par­roc­chia che dis­deg­na pri­mo­gen­i­ture pur offren­do la pro­pria piena col­lab­o­razione a tante inizia­tive sociali.
E la vita di oggi richia­ma soprat­tut­to alla sol­i­da­ri­età prat­i­ca.  La volon­tà di rim­boc­car­si le maniche è ali­men­ta­ta dal bisog­no. “Siamo – dicono Car­lo ed Emma – al cinquan­ta e cinquan­ta”. Ovvero il 50 per cen­to di chi ci chiede aiu­to viene dal sud del mon­do, l’altro cinquan­ta per cen­to arri­va dal ter­ri­to­rio”. Una con­dizione nuo­va nel­la quale a bus­sare alla por­ta non sono ormai più solo col­oro che Car­lo chia­ma “gli ami­ci di stra­da”. Anche qui il dram­ma delle nuove povertà si riv­ela in tut­ta la sua dram­mat­i­ca e cres­cente con­sis­ten­za. Ed anche qui si fa, con il cuore, con la dedi­zione e con l’intelligenza, quel che si può fare. Sì anche con l’intelligenza per­ché non bas­ta dare. Anche nel­la dif­fi­coltà c’è soprat­tut­to da capire, da scegliere e da inve­stire. Niente di nuo­vo rispet­to all’antichissimo con­cet­to del pesce da offrire nel bisog­no ma anche dal­la can­na da pesca da porg­ere per vin­cere il bisog­no. Anche per­ché – Car­lo ne è con­vin­to – il futuro nel­la zona non si pre­sen­ta roseo. Questo prete che ha inten­sa­mente vis­su­to tra lo spolveri­no del­la fab­bri­ca, con­fes­sa a bas­sa voce che per “questo tipo di realtà indus­tri­ale non c’è futuro. La fab­bri­ca che è sta­ta una ric­chez­za potrebbe diventare addirit­tura un peso per la cit­tà”.
Ovvi­a­mente non è com­pi­to di una par­roc­chia, per quan­to atti­va e partecipe, dare rispos­ta a tan­to gran­di prob­le­mi. Ma un pen­siero il prete del Cotone si sente di esprimer­lo: “Bisogna sti­mo­lare e rilan­cia­re l’iniziativa pri­va­ta, incor­ag­gia­re i gio­vani a impeg­nar­si in ciò in cui cre­dono, affi­an­car­li e seguir­li sen­za vol­er­li pre­cedere”.

(foto di Pino Bertel­li)

 

 

Una risposta a “Una missione nella parrocchia difficile”

  1. Carlo Talamo says:

    Car­lo ed Emma due belle per­sone !
    Loro sono la chiesa di DIO .… ma poi ci sono le ger­erchie eccle­siali che aus­pi­cano il tri­on­fo del­l’a­gen­da Mon­ti. Questo no dimen­tichi­amo­lo.

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