Don Andrea Gallo angelicamente anarchico

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Pino Bertelli

PIOMBINO 15 mag­gio 2014    

LETTERA IN PUNTA D’AMORE A DON ANDREA GALLO MIO AMICO E MAESTRO DI VITA, ANGELICAMENTE ANARCHICO 

Lon­tano da me la saggez­za che non piange,
la filosofia che non ride e la dig­nità che non abbas­sa la tes­ta
di fronte a un bam­bi­no che sor­ride e chiede di spez­zare il pane con lui”…
(Dal tac­cuino di una fotografo di stra­da)

FAI DI OGNI LACRIMA UNA STELLA

Mi ricor­do sì, mi ricor­do di Don Andrea Gal­lo, mio ami­co e mae­stro di vita… par­ti­giano, prete angeli­ca­mente anar­chico. Quand’anche io aves­si tut­ti i tesori del­la ter­ra e par­las­si le lingue degli uomi­ni e degli angeli, se non ho l’amore non sono nul­la… quand’ero bam­bi­no, parla­vo da bam­bi­no, sog­na­vo da bam­bi­no. Ma, divenu­to uomo, ciò che era da bam­bi­no non l’ho mai abban­do­na­to… l’amore per l’amore, per l’amicizia, per la fra­ter­nità è gioioso… non è invidioso, non si van­ta né si offende, non man­ca di rispet­to, non cer­ca il suo inter­esse, non va in collera né tiene con­to del male rice­vu­to, non conosce l’ingiustizia ma lib­era gli abbrac­ci in tra­mon­ti improb­a­bili nel­la ver­ità… e la ver­ità, come l’amore, non conosce catene.
Le let­tere si scrivono in pun­ta d’amore o sono parole da dimen­ti­care… ques­ta let­tera scrit­ta nel ven­to di mare, con una scheg­gia di can­na di fos­so e inchiostro di alghe che ho rac­colto là dove finisce il mare e com­in­cia il cielo, è per te Andrea, ami­co in utopia… che hai riconosci­u­to nell’amore dell’uomo per l’uomo la pri­ma man­i­fes­tazione di lib­ertà… hai accolto l’ultimo, il rei­et­to, lo straniero, il ribelle pres­so il tuo fuo­co e con­sid­er­a­to l’essere umano nel­la sua espres­sione indi­vid­uale (e col­let­ti­va) in cam­mi­no ver­so la felic­ità a venire… amare il prossi­mo tuo come definizione del­la pro­pria iden­tità vuol dire rompere il silen­zio dell’indecenza: “Ama e fa’ ciò che vuoi, ma quel­lo che fai fal­lo con amore”, mia non­na par­ti­giana, dice­va. L’eidetica del bene che mi hai inseg­na­to sen­za inseg­nare, vuol dire tornare a res­pi­rare l’accoglienza del diver­so da sé al di là di qual­si­asi fede e fare dell’innocenza il val­ore fon­dante dell’uguaglianza come gius­tizia. “Tut­ti gli esseri umani nascono uguali in dig­nità e dirit­ti”, si legge in una Car­ta dimen­ti­ca­ta, che tenevi sem­pre stret­ta nelle mani e agi­tavi nei tuoi stra­or­di­nari incon­tri con la gente nelle piazze di un Paese che si speg­ne.
Dolce Andrea, sul tuo bat­tel­lo ebbro di bellezze estreme, infi­nite, hai por­ta­to anche il con­cet­to di lib­ertà come dirit­to.… prete da mar­ci­apiede… cor­ag­gioso, uomo dal­la fogliante intel­li­gen­za, hai mostra­to che una per­sona è un cen­tro di pos­si­bil­ità e nel gus­cio di una vita aut­en­ti­ca, sostenu­to che la gius­tizia è la più anti­ca delle idee. Mi ricor­do sì, mi ricor­do… quan­do ci siamo conosciu­ti meglio… nel tuo archiv­io, era notte, piove­va, mi hai abbrac­cia­to e hai det­to rac­con­ta­mi di te… “Voglio lavo­rare per la Comu­nità di San Benedet­to, so fare solo fotografie”, ho rispos­to… e te: “Sono bel­li i miei ragazzi”, poi mi hai pas­sato un sigaro toscano e abbi­amo pre­so a par­lare fino al mat­ti­no. E così è sta­to per questi anni bel­li vis­su­ti alla tua tavola, con gli ulti­mi, gli esclusi, gli emar­ginati del­la “bel­la soci­età”. Il tuo sguar­do buca­va la mia curiosità e il tuo abbrac­cio frater­no avvol­ge­va la mia inadeguatez­za di ragaz­zo di stra­da, sen­za giudizio. Devo anco­ra incon­trare un “diver­so” le cui radi­ci non affondi­no nel­la mia ani­ma per­sa. Queste parole di sale e ven­to sono per te, Andrea, e tut­to il mio rac­cogli­men­to ti è ded­i­ca­to. La casa del­la paro­la can­ta­ta o del­la bellez­za dona­ta di Lil­li, Megu, Mari­no, il san­to (Don Fed­eri­co Reb­o­ra), il barone Catal­di, Domeni­co e tut­ti i ragazzi del­la Comu­nità… non ha porte né chi­avi, quel­lo che è mio è anche tuo, dice­vi… a San Benedet­to al Por­to le fav­ole non han­no con­fi­ni e la lin­gua del­la dig­nità che hai dis­sem­i­na­to tra gli uomi­ni, sen­za nul­la chiedere in cam­bio, non è una lin­gua di classe o di cas­ta… è la lin­gua di tut­ti e per tut­ti. S’impara a vivere quan­do s’impara ad amare. I bam­bi­ni con i pie­di scalzi nel sole e la piog­gia sul­la fac­cia las­ciano cadere la pol­vere d’oro dei sog­ni sul dial­o­go tra i “qua­si adat­ti” e su alta­l­ene di stelle gio­cano lag­giù dove finisce il sog­no e com­in­cia il deside­rio di amare e di essere amati. Il pane dei sog­na­tori non si taglia, si spez­za. Chi toc­ca l’amore riconosce la gioia, la bellez­za e le carezze del cuore, come te sai Andrea. Nul­la è sta­to scrit­to oltre il cielo, tut­to è invece nel­l’amore che rius­ci­amo a dar­ci. Non cer­cate di pren­dere l’amore, per­ché vi scap­perà tra le dita… il gra­do di lib­ertà di ogni per­sona in amore si misura dal­la qual­ità dei suoi sen­ti­men­ti struc­cati… chi ha pianto l’insegnamento dei i padri lun­go i mar­gi­ni dell’esistenza dolente, ha fame di sole carezze, per­ché sa che — gli eroi sono fal­si, gli dèi sono mor­ti e i boia muoiono all’alba — con i desideri d’amore real­iz­za­ti. Sei sta­to mae­stro in dig­nità, Andrea, e la dig­nità è più impor­tante del­la vita, dice­vi. L’amore per la gente non cade in pre­scrizione. Dove non c’è dig­nità alligna l’ignoranza e l’odio. Resti­tuire dig­nità agli esclusi, agli umili e agli oppres­si sig­nifi­ca fare del­la pro­pria esisten­za un’opera d’arte.
L’amore è sem­pre nudo sul­la fac­cia dei cav­a­lieri che fecero l’impresa, come te, Andrea… i can­ti dei liu­tai ten­gono in gran con­to le let­tere d’amore e il fir­ma­men­to dei poeti del deside­rio di vivere tra liberi e uguali… non han­no pau­ra dell’indifferenza degli stolti e nem­meno delle promesse tra­dite degli stre­go­ni del­la polit­i­ca… ci sono not­ti e aurore che non accadono mai e l’inaudita dol­cez­za del­lo stu­pore e del­la mer­av­iglia dei “fuori gio­co” è il più bel teatro da guardare del­la nos­tra vita. L’amore abi­ta dove lo si las­cia entrare. Andare in “direzione uguale e con­traria” e fare pro­prio il quin­to Van­ge­lo, quel­lo di Fab­rizio De Andrè, che decla­mavi di fronte a vescovi sor­di e politi­ci medioc­ri, sig­nifi­ca­va amare la gius­tizia del tuo essere uomo nel mon­do e dove c’è gius­tizia c’è anche la bellez­za dell’intera uman­ità.
Ciao a te Andrea, ami­co caro, mae­stro di vita piena… siamo anco­ra insieme nel viati­co delle nos­tre coscien­ze lib­er­tarie… fai di ogni lacrima una stel­la e del­l’amore un fiore di vetro col­orato che accom­pa­gna i tuoi sor­risi nel tem­po. Con­seg­na il tuo sog­no alla sen­su­al­ità delle ani­me belle e i tuoi silen­zi inzup­pati d’amore pro­fumer­an­no di dol­cez­za e di rosa. Amare sig­nifi­ca cam­biare per qual­cuno e insieme a qual­cuno. L’amore vio­la i lim­i­ti del­la sof­feren­za, per fiorire sui sor­risi del­la lib­ertà. L’amore si mostra solo all’amore. La sur­re­altà del­l’amore affer­ra ciò che ci sfugge e inseg­na a lottare nel­la trasparen­za dei sog­ni. Il cor­ag­gio di amare sig­nifi­ca vivere anche la diver­sità, accettare la soli­tu­dine di noi e tra noi, che si fa vita. Il genio com­in­cia sem­pre col dolore. Ti puoi dimen­ti­care con chi hai riso, ma non ti dimen­ticherai mai con chi hai pianto. Chi ha molto ama­to, ama­to sarà sem­pre.

Piom­bi­no, dal vico­lo dei gat­ti in amore, 22 volte mag­gio 2013

 

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