Ferro, Fuoco, Terra! 50 anni di lavoro in Maremma

· Inserito in Bertelli, Da non perdere

PIOMBINO 20 feb­braio 2017Dal 25 feb­braio al 30 aprile 2017 pres­so il Mag­ma, Museo delle Arti e del­la Ghisa, a Fol­loni­ca sarà vis­i­bile la Mostra fotografi­ca di Pino Bertel­li Fer­ro, Fuo­co, Ter­ra! 50 anni di lavoro in Marem­ma.

Fer­ro, Fuo­co, Ter­ra! 50 anni di lavoro in Marem­ma
Mostra fotografi­ca di Pino Bertel­li

La mostra di Pino Bertel­li “Fer­ro, Fuo­co, Ter­ra! 50 anni di lavoro in Marem­ma” rac­con­ta con lo sguar­do lib­er­tario di questo autore di fama inter­nazionale il lavoro di ieri e di oggi del­la Marem­ma toscana. L’iniziativa fa parte del prog­et­to di col­lab­o­razione tra Irta Leonar­do (Isti­tu­to di Ricer­ca sul Ter­ri­to­rio e l’Ambiente) e Mag­ma Fol­loni­ca, museo che fa dell’attenzione al mon­do del lavoro e del­la memo­ria stor­i­ca locale uno dei suoi prin­ci­pali ful­cri. Da sem­pre sen­si­bile e recetti­vo alle ques­tioni del lavoro e del­la soci­età, dell’emarginazione, del­la diver­sità e del­la lib­ertà, Pino Bertel­li rac­coglie in ques­ta mostra ritrat­ti, ambi­en­ti, luoghi di lavoro e di memo­ria in trenta foto in grande for­ma­to seguen­do un per­cor­so che unisce gli ele­men­ti del­la ter­ra, del mare, del fer­ro e del fuo­co. La pri­ma dimen­sione ambi­en­tale è quel­la dei lavori agri­coli e del bosco, l’elemento del­la ter­ra è cat­tura­to nel­la sua trasfor­mazione che negli anni Set­tan­ta è già arriva­ta a mod­i­fi­care la fisiono­mia delle cam­pagne. I lavo­ra­tori dell’agricoltura in questo peri­o­do sono ormai ridot­ti a pro­porzioni mar­gin­ali, ma in Marem­ma, ter­ri­to­rio agri­co­lo, ci sono per­sis­ten­ze ed ele­men­ti di con­ti­nu­ità che fan­no anco­ra resisten­za. Le nuove gen­er­azioni agri­cole saran­no più spe­cial­iz­zate, più attente al prodot­to, fino all’agricoltura bio­log­i­ca e alla creazione degli agri­t­ur­is­mi. L’altra fon­da­men­tale dimen­sione che rac­con­ta le terre di Marem­ma è quel­la delle miniere che negli anni Set­tan­ta /Ottanta vivono gli ulti­mi momen­ti di vita, come la miniera di Campiano/Boccheggiano: si trat­ta di un mon­do che scom­par­irà total­mente nel giro di pochissi­mi anni, e di cui le foto di Bertel­li con­ser­vano una fon­da­men­tale trac­cia. Par­lare di lavoro in Marem­ma sig­nifi­ca anche par­lare di grande indus­tria pesante, dal polo chim­i­co di Scar­li­no, a quel­lo siderur­gi­co di Piom­bi­no. Gli anni Ottan­ta e Novan­ta porter­an­no for­ti trasfor­mazioni moti­vate da esi­gen­ze ambi­en­tali, e dal mer­ca­to mon­di­ale che porterà a un pro­fon­do proces­so di ristrut­turazione. I poli del­la grande indus­tria diver­ran­no sem­pre più mar­gin­ali, trasfor­man­dosi da indus­trie propul­sive che assor­bivano man­od­opera ed era­no anche un sim­bo­lo politi­co, a roc­cafor­ti dis­sec­ca­te e sospese anche nell’immaginario col­let­ti­vo. Accan­to ai mod­el­li da “sec­on­da riv­o­luzione indus­tri­ale” si pone il set­tore terziario, da quel­lo tur­is­ti­co bal­n­eare di mas­sa, al tur­is­mo cul­tur­ale e gas­tro­nom­i­co delle colline, ai per­cor­si di arche­olo­gia indus­tri­ale che cer­cano di recu­per­are la memo­ria e farne un motore di svilup­po futuro. Infine i nuovi mestieri legati alla quar­ta riv­o­luzione indus­tri­ale, quel­la infor­mat­i­ca, ma soprat­tut­to la pre­cariz­zazione pro­gres­si­va ed inci­si­va del lavoro, che sem­i­na i suoi vuoti, le sue ques­tioni aperte e le sue ferite e poi le migrazioni del mon­do che si unis­cono a for­mare i nuovi ritrat­ti di ques­ta Marem­ma che rac­con­ti­amo attra­ver­so il lavoro, attra­ver­so l’identità del pas­sato e quel­la in costruzione del futuro.

Sil­via Trova­to
Tiziano Arrigo­ni

Le strade del­la fotografia
Car­lo Arturo Quin­tavalle — Ordi­nario di Sto­ria dell’Arte, Uni­ver­sità di Par­ma

Pino Bertel­li è uno dei fotografi più impor­tan­ti del nos­tro tem­po, è un fotografo di con­sapev­olezze com­p­lesse, di qual­ità molto alta, di pas­sioni anche estreme. Comunque le sue immag­i­ni sono di quelle che restano nel­la sto­ria del­la fotografia, e non solo in quel­la del nos­tro paese. Se siano davvero real­is­tiche non impor­ta, i real­is­mi sono molti e pro­prio Bertel­li ne ha sper­i­men­tati diver­si per giun­gere alla qual­ità delle sue raf­fig­u­razioni, ma ha anche vis­su­to da vici­no, ne sono cer­to, la fotografia del­la astrazione, quel­la delle avan­guardie. Che esse siano borgh­e­si non cre­do, come non cre­do al filo rosso del real­is­mo stac­ca­to da queste ricerche non di seg­no diver­so, cre­do. Ma tut­to questo non impor­ta, anche le avan­guardie, quelle dell’astrazione, han­no con­tribuito a dis­trug­gere le immag­i­ni piani­fi­cate di ogni uffi­cial­ità, dai futur­isti ai costrut­tivisti, da Dada al Sur­re­al­is­mo, e par­lo di fotografia. Così forse un giorno potremo meglio riper­cor­rere le matri­ci del­la ricer­ca di Bertel­li pro­prio den­tro l’astrazione, come cer­to non sarebbe piaci­u­to a Zdanov e ai suoi poveri evo­ca­tori. Ma ques­ta, forse, sarà altra sto­ria. La fotografia di Bertel­li ha dialoga­to e dialo­ga anco­ra oggi con le immag­i­ni scat­tate da alcu­ni gran­di pro­tag­o­nisti del­la fotografia, e sopratut­to con Hen­ri Carti­er-Bres­son, e con alcu­ni altri fotografi del­la Mag­num, ma anche con altri attori sul­la sce­na stor­i­ca del­la fotografia, quel­li legati alla Farm Secu­ri­ty Admin­is­tra­tion. Come pen­sare dunque che siano nate queste foto che anal­iz­zano le per­sone, non i mestieri delle per­sone, se non da una parte­ci­pazione atten­ta allo spazio del loro lavoro, dal­la com­pren­sione del­la loro fat­i­ca? Come non pen­sare a quel­lo che sug­gerivano Stryk­er e gli altri del­la FSA, dunque a Dorothea Lange e a Walk­er Evans, sul modo di por­si di fronte a un even­to, sul come anal­iz­zar­lo, sul come rac­con­tar­lo per immag­i­ni? Bertel­li ha una sapien­za diver­sa rispet­to a tan­ti fotografi impeg­nati, sa fer­mare il tem­po e sa con­den­sar­lo nelle fotografie.

Pino Bertel­li

Mina­tore

Pino Bertel­li è nato in una cit­tà-fab­bri­ca del­la Toscana, tra “Il mio cor­po ti scalderà” e “Roma cit­tà aper­ta”. Dot­tore in niente, fotografo di stra­da, film-mak­er, criti­co di cin­e­ma e fotografia. I suoi lavori sono affab­u­lati su tem­atiche del­la diver­sità, dell’emarginazione, dell’accoglienza, del­la migrazione, del­la lib­ertà, dell’amore dell’uomo per l’uomo come utopia pos­si­bile. È uno dei pun­ti cen­trali del­la crit­i­ca rad­i­cale neo-situ­azion­ista ital­iana. L’International Writ­ers Asso­ci­a­tion (Sta­ti Uni­ti), l’ha riconosci­u­to scrit­tore dell’anno 1995, per la “non-fic­tion”. È diret­tore respon­s­abile del­la riv­ista di crit­i­ca rad­i­cale “Trac­ce” e del gior­nale on-line “Stile libero”, diret­tore edi­to­ri­ale del­la casa editrice “Trac­cedi­zioni”, col­lab­o­ra con “Le monde diplo­ma­tique”, “Fotographia”, “Sicil­ia Lib­er­taria” e altre tes­tate. Pier Pao­lo Pasoli­ni, mae­stro e ami­co, gli ha regala­to­la pri­ma macchi­na fotografi­ca quan­do ave­va quindi­ci anni. Nel 2004 ha rice­vu­to il “Pre­mio Inter­nazionale Orvi­eto”, per il miglior libro di reportage, “Cher­nobyl. Ritrat­ti dall’infanzia con­t­a­m­i­na­ta”. Nel 2014 l’Associazione di

Taglia­tore nel bosco

bioar­chitet­tura BACO gli ha asseg­na­to il Pre­mio Inter­nazionale Vit­to­rio Giorgi­ni. Alessan­dro Allar­ia ha fat­to un reportage (per la tele­vi­sione tedesca), “Pino Bertel­li. Il fotografo e le donne di Napoli”, 2008. Nel 2014 il reg­ista Anto­nio Man­co ha real­iz­za­to a Buenos Aires, “Pino Bertel­li. Ritrat­to di un fotografo di stra­da”, prodot­to dal Fes­ti­val del Cin­e­ma dei Dirit­ti umani di Napoli e Buenos Aires. I suoi fotori­trat­ti si trovano in gal­lerie inter­nazion­ali, musei, accad­e­mie e collezioni pri­vate. L’Archivio Inter­nazionale di Fotografia Sociale di Pino Bertel­li è cura­to dal­la doc­u­men­tal­ista Pao­la Gril­lo. Una parte del suo archiv­io fotografi­co è deposi­ta­to all’Università di Par­ma. Una selezione delle sue fotografie è pres­so la Gal­le­ria degli Uffizi di Firen­ze. La sua opera “Con­tro tutte le guerre” è sta­ta espos­ta alla Mostra d’Arte Bien­nale di Venezia (2011) e adesso è nel­la Gal­le­ria degli Uffizi di Firen­ze. Fa parte di Reporters sans fron­tières.

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