Handala e la rivoluzione palestinese

· Inserito in Bertelli, Spazio aperto
Pino Bertelli

PIOMBINO 31 gen­naio 2015 -

E fal­sa sia per noi ogni ver­ità, che non sia sta­ta accom­pa­g­na­ta da una risa­ta”.
Friedrich W. Niet­zsche

Io mil­i­to per la causa palesti­nese e non per le sin­gole fazioni palesti­ne­si.
Non dis­eg­no per con­to di qual­cuno, dis­eg­no solo per la Palesti­na, che per me si estende
dal­l’O­ceano Atlanti­co fino al Gol­fo (si intende tut­to il mon­do arabo n.d.r.)…
“I miei per­son­ag­gi sono pochi, il ric­co e il povero, l’op­pres­sore e gli oppres­si…
e non mi sem­bra che la realtà si dis­costi molto da questo”.
Naji Al-Ali

Can­tan­do per le strade
“Can­tan­do per le strade, per i campi, /il nos­tro sguar­do farà sca­turire l’osser­va­to­rio
dal pos­to più lon­tano /dal pos­to più pro­fon­do
dal pos­to più bello,/dove non si vede che l’au­ro­ra,
e non si sente che la vit­to­ria. /Usciremo dai nos­tri campi
Uscire­mo dai nos­tri rifu­gi in esilio /Usciremo dai nos­tri nascondigli,
non avre­mo più ver­gogna, se il nemi­co ci offende.
Non arrossire­mo: /sappiamo maneg­gia­re una falce,
sap­pi­amo come si difende un uomo dis­ar­ma­to. /Sappiamo anche costru­ire
Una fab­bri­ca mod­er­na, /una casa,
un ospedale, /una scuo­la, /una bom­ba, /un mis­sile.
E sap­pi­amo scri­vere le poe­sie più belle”.
Mah­mud Dar­wish

1. Ouver­ture al veleno

Di nes­suna chiesa è l’arte del fumet­to. La mer­av­iglia e lo stu­pore sono i fuochi del­la conoscen­za e dell’intelligenza. Per evitare la stu­pid­ità, in arte come nel­la vita quo­tid­i­ana, bas­ta sapere che il pro­fu­mo del bian­cospino influisce sulle costel­lazioni, dice­va… il solo nemi­co dell’arte non è l’originalità (prete­sa), ben­sì l’insignificante (accer­ta­to). La fumet­tografia ereti­cale è un modo di filoso­fare e tende alla sovver­sione di tut­ta la figurazione/comunicazione ordi­na­ta nel lievi­to del mer­can­tile e sec­oli di soggezione… a par­tire dal­la sacra sin­done a tut­ta la pub­blicis­ti­ca come for­ma pro­pe­deu­ti­ca (non solo) popo­lare che cemen­ta la demen­za di pochi con la demen­za di molti. Quan­do arrivano gli artisti veri, si alzano le forche. Mot­to di spir­i­to: L’arte del fumen­to infat­ti, non serve a niente, pro­prio come la musi­ca di Mozart.
L’esercizio del­la fumet­tografia è sta­to, qua­si sem­pre, pura con­tem­plazione del seg­no… il grande fumet­tista è colui che è con­sapev­ole di rap­p­re­sentare una minac­cia per l’ordine cos­ti­tu­ito… il suo veleno immag­i­nario vagabon­da nei cieli in utopia del lib­er­tario e mostra che “val­ori comu­ni gen­er­a­no donne e uomi­ni comu­ni… si tollera quel­lo che non si ama, e solo quan­do non lo si con­sid­era peri­coloso per la costel­lazione dei pro­pri pregiudizi” (Giulio Giorello)1. La crit­i­ca del­la fumet­tografia non è solo cor­ro­si­va — se essa scioglie nel cia­nuro di chi­na i val­ori e i cod­i­ci cor­ren­ti —… è una vera e pro­pria minac­cia con­tro chi minac­cia la lib­ertà di pen­siero. Chi è di nes­suna chiesa non si ritro­va nep­pure in una chiesa di ereti­ci… l’odio ha un recin­to e la rete spina­ta, l’amore dell’uomo per l’uomo sco­pre che la fra­ter­nità ha uno sguar­do, l’accoglienza un abbrac­cio. La sto­ria del fumet­to è sto­ria di gen­u­f­les­sioni o d’intemperanze che fan­no scan­da­lo.
I fumet­ti davvero gran­di, si scagliano con­tro ogni for­ma di sud­di­tan­za e inven­tano la poet­i­ca del­la rêver­ie di una soci­età lib­era e aper­ta. Si trat­ta di accedere al reale attra­ver­so l’irriverenza dell’immaginario e fare di un gio­co di segni/specchi il risveg­lio di una volon­tà cre­ati­va: “Il diventare opa­co del mon­do appare così, più che un allen­ta­men­to del­la coscien­za, come una con­dizione per il ridestar­si del­la coscien­za atti­va­mente immag­i­nante. Il cre­pus­co­lo del­la rêver­ie è il cre­pus­co­lo del­la realtà stes­sa, non è un decadere dell’io nel­la pas­siv­ità del son­no e del sog­no, ma un emerg­ere dell’io «irre­al­iz­zante» nell’allontanamento del­la dimen­sione del­la realtà” (Gas­ton Bachelard)2. Il reale è sem­pre sul­la soglia del vero e in arte, come in amore o nel­la riv­ol­ta, tut­to è per­me­s­so. Dove non c’è l’ebbrezza dell’oltrepassamento non c’è ver­ità né arte… si trat­ta di minare la base, scuotere la cima dell’essere e fare dell’interrogazione il pri­mo segno/gesto di dis­obbe­dien­za.
Nel­la cul­la con­so­la­to­ria dell’infanzia ame­na, infe­lice o imbe­cille, i fumet­tari del mer­ci­mo­nio, sem­pre proni alla qual­i­fi­cazione del fumet­to in “opera d’arte” ed essere riconosciu­ti nelle cloache del tem­pio del con­sumo medi­ati­co come apos­toli del­la stu­pid­ità eidet­i­ca… restano degli eterni bam­bi­ni con la ten­den­za, sovente demen­ziale, di chi non si accorge del­la dolente uman­ità e preferisce dis­eg­nare lo stu­p­idario d’immagini utili ai gior­nali, lib­ri, riv­iste, tele­vi­sione, cin­e­ma, pub­blic­ità… sulle quali sor­rid­ere per un po’, cosci­en­ti che tut­to resterà come pri­ma e mag­a­ri qual­cuno dei bersagli/uomini politi­ci scher­ni­ti pos­sa acquistare una tavola e appen­der­la nel bag­no dove gli ospi­ti la pos­sono ammi­rare in intim­ità. I fumet­tari dell’avanguardia stan­no al gio­go né più né meno di quel­li più bla­sonati. Restano al palo del­la sto­ria (non solo del fumet­to) in atte­sa di essere “scop­er­ti” da qualche “mer­cante illu­mi­na­to” e intan­to si dan­no da fare a sputac­chiare dis­eg­ni a destra e sin­is­tra, sem­pre in nome del­la lib­ertà d’espressione.
I gran­di del fumet­to (Quino/Mafalda, Pratt/Corto Mal­tese o le schegge ever­sive di Volin­sky o Vau­ro) san­no che ciò che con­tin­ua a durare igno­ra la dura­ta… “dif­fi­da di col­oro che arringano le masse. Di quel­li che per ascoltar se stes­si han­no bisog­no di riv­ol­ger­si alla fol­la dei loro seguaci.
Il tuo volto resterà loro sconosci­u­to, sem­pre… Non tarder­an­no a can­cel­lare dalle loro tav­o­lette il tuo nome.
Con un trat­to di pen­na” (Edmond Jabès)3. L’arte, tut­ta l’arte, cam­bia quan­do cam­bia il padrone che la smer­cia. Vi sono catene che soltan­to l’uomo in riv­ol­ta spez­za… il cielo stel­la­to, da lon­tano, è una notte stel­la­ta. Da vici­no, è niente. Un buco nero nell’universo dei poeti. — “Mae­stro, tu non pren­di niente da me, disse il dis­ce­po­lo.
— Da te pren­do quel che t’insegno, rispose il mae­stro” (Edmond Jabès, anco­ra). L’arte che non ci attra­ver­sa la pelle è un cam­po d’inutilità dis­sem­i­na­to di facezie… l’espressività del libero vol­ere è cosa di uomi­ni che san­no dire la mia paro­la è no! Gli uomi­ni del no! fan­no del­la pro­pria dis­obbe­dien­za, la pro­pria arte. Lo schi­a­vo, il tiran­no e il prete si coag­u­lano nell’odio per la vita e solo gli scellerati dell’eresia costru­is­cono il risen­ti­men­to nec­es­sario con­tro una vita non vis­su­ta. Rifug­gire una soci­età vol­gare, spet­ta­co­lar­iz­za­ta, con­sumerista, sig­nifi­ca vio­lare con­trol­li e divi­eti e fare del­la trasgres­sione il viati­co che por­ta alla vio­lazione e la dis­truzione delle forme espres­sive imposte. Al crim­ine orga­niz­za­to occorre rispon­dere con l’organizzazione del crim­ine e al di sopra delle rovine delle isti­tuzioni, lavo­rare a un’eguaglianza peri­colosa per l’ordine cos­ti­tu­ito. Incor­ag­gia­re la dis­obbe­dien­za civile, la riv­ol­ta sociale, inseg­nare al povero a derubare al ric­co. Ren­dere deplorev­ole ogni sor­ta di geno­cidio per­pet­u­a­to dai pae­si ric­chi con­tro i popoli impov­er­i­ti. Dis­ve­lare l’infame farsa di Dio, del­lo Sta­to e dare ai pagli­ac­ci del potere la sorte che mer­i­tano. Niente più. La res­ur­rezione dell’umanità è nel ritrovare il piacere a spese di chi­unque (Sade, march­ese) e mostrare il riso del boia sul cre­pus­co­lo degli dèi.

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2. No! al silen­zi­a­tore!

Nel­la sto­ria dell’arte a fumet­ti, Naji Al-Ali ha un pos­to cen­trale, anche se per molti ver­si poco conosci­u­to o cela­to dal­la sto­ri­ografia dom­i­nante. Naji Al-Ali del resto non era artista di facili ingab­bia­ture… la sua opera (vignette, car­i­ca­ture, dis­eg­ni), tra le più alte e impeg­nate nel­la sto­ria del fumet­to, esprime la grazia e la pesan­tez­za del­la realtà incise sul­la car­ta… nelle sto­rie che rac­con­ta in pun­ta di pen­na si legge l’impossibilità di per­donare chi ha fat­to del male (lo Sta­to di Israele) e con­tin­ua a far­lo con la fero­cia inau­di­ta del più arma­to… gli ebrei han­no subito, è vero, la cat­a­strofe del­la Shoah, tut­tavia sem­bra che gli israeliani (non tut­ti gli ebrei) l’abbiano dimen­ti­ca­ta e si com­por­tano con uguale effer­atez­za nei con­fron­ti del popo­lo palesti­nese.
pastedGraphic3La grazia sparsa nei fumet­ti del dis­eg­na­tore non è con­so­lazione, è luce. È la realtà calpes­ta­ta dei palesti­ne­si trasporta­ta in migli­a­ia di strisce (oltre quar­an­tami­la). L’immaginazione di Naji Al-Ali lavo­ra per aprire le fes­sure sociali dove la grazia fa il covo e con­tro­bat­te l’odio, l’amarezza, il ran­core dei preda­tori israeliani. “Nel male, come nel sog­no, non ci sono let­ture mul­ti­ple. Da ciò la sem­plic­ità dei crim­i­nali” (Simone Weil)4. I dis­eg­ni, le vignette, le tav­ole di Naji Al-Ali ci inseg­nano a ben morire come ben vivere. La sua opera intera è un atto d’amore e di lib­ertà mai can­ta­to pri­ma con ques­ta forza e ques­ta bellez­za auto­ri­ale. Qui la grazia dell’esistente diven­ta pane e chi desidera vera­mente la salvez­za di un popo­lo e la pace can­ta la gioia dell’uomo, non di Dio. Il velario del­la mis­e­ria umana che taglia si rad­i­ca nel­la trasfig­u­razione del­la ver­ità, inneg­gia con­tro il silen­zio dei poten­ti e fa del­la dis­obbe­dien­za una luce che illu­mi­na i giusti e gli ingiusti. La dis­obbe­dien­za è la virtù supre­ma che ama il rispet­to dell’individuo e nell’azione estrema figu­ra la neces­sità uni­ver­sale di un popo­lo lib­er­a­to.
In No al silen­zi­a­tore, la pri­ma edi­zione euro­pea di Naji Al-Ali pub­bli­ca­ta da mio figlio Pier Pao­lo per la nos­tra casa editrice (Traccedizioni)5, Saad Kiwan e Vau­ro Sen­e­si han­no scrit­to:
— “L’han­no assas­si­na­to. Col silen­zi­a­tore. Con quel­l’ar­ma vile che ha fat­to zit­tire per sem­pre decine e decine di uomi­ni che cer­ca­vano la luce del­la lib­ertà sfi­dan­do il buio cala­to sul mon­do arabo. Era l’ar­ma (e lo è tut­to­ra) di chi ha il potere, ma non il cor­ag­gio di ascoltare la voce del­la ragione. L’ar­ma con­tro la quale Naji ha lot­ta­to con tutte le sue forze, con la sua mati­ta e le sue vignette. Il ful­cro di tut­ta la democrazia, ama­va ripetere il grande vignettista nelle sue poche inter­viste che rilas­ci­a­va o nelle sue rare apparizioni in pub­bli­co. Quan­do mi è sta­to chiesto di scri­vere queste parole di pre­sen­tazione ho avu­to un atti­mo di esi­tazione per­ché Naji non era un vignettista qual­si­asi e non era solo un bra­vo artista. Agli altri vignettisti non man­ca­va il sen­so del­lo humour, o la bat­tuta piacev­ole. Ma Naji era sem­plice­mente un genio.
E’ dif­fi­cile quin­di inquadrare in poche righe, ma il mio amore-bisog­no quo­tid­i­ano del­la sua vignetta mi spinge a provare. Era­no gli anni più fero­ci del­la guer­ra civile in Libano. Una guer­ra che ha seg­na­to forse, irri­me­di­a­bil­mente il des­ti­no dei palesti­ne­si, dei libane­si e di tut­to l’as­set­to regionale. I risul­tati di oggi sono in gran parte il frut­to di quel­la ama­ra e forse stor­i­ca scon­fit­ta subi­ta da uno schiera­men­to libano-palesti­nese che si vol­e­va pro­gres­sista e per il riscat­to nazionale.
Oggi il Libano sta cer­can­do di soll­e­var­si non si sa come, men­tre i palesti­ne­si si avviano divisi e lacerati ver­so un qualche regime di autono­mia, risul­ta­to di un dis­cutibilis­si­mo accor­do che nasce da lon­tano, pro­prio da quel dis­eg­no che con la guer­ra ha volu­to dis­trug­gere il sog­no di decine di migli­a­ia di libane­si e palesti­ne­si. Sono sta­ti anni pien­amente vis­su­ti, con le bombe, i can­noni e… tante vit­time inno­cen­ti. Ma anche con la sper­an­za di sveg­liar­si la mat­ti­na con una buona notizia che proveni­va dal “fronte”, ascoltan­do la radio e divo­ran­do i gior­nali. Ecco, per me, e per decine di migli­a­ia come me, la vignetta di Naji era il caf­fè del mat­ti­no. Naji era il vignettista di Assafir, quel quo­tid­i­ano libanese, nato come foglio del­la sin­is­tra libanese ed ara­ba, ma che deve la sua fama gra­zie anche alla rubri­ca di Naji. I let­tori di Assafir leggevano il gior­nale al rovescio: anco­ra pri­ma di gettare lo sguar­do al tito­lo di aper­tu­ra e all’ed­i­to­ri­ale del diret­tore, guar­da­vano subito l’ul­ti­ma pag­i­na per godere la vignetta e capire da dove tira­va il ven­to.
La sua vignetta rap­p­re­sen­ta­va la bus­so­la per una nave che dove­va affrontare il mare in tem­pes­ta. La nave palesti­nese sul­la quale a Naji piace­va immag­inare che fos­sero imbar­cati tut­ti i poveri e i dis­ere­dati di ques­ta ter­ra. Il suo era uno stile sem­plice, chiaro e pun­gente. La sua visione era ampia e glob­ale ed il suo impeg­no era fer­mo e lin­eare. Era un vignettista politi­co per eccel­len­za; parti­va da un fat­to par­ti­co­lare per affrontare il con­testo del momen­to. Emblem­ati­ci i suoi per­son­ag­gi; dal pic­co­lo e pen­sieroso Han­dala che rispec­chi­a­va spes­so gli umori di Naji alla zia Han­i­fa, la sag­gia don­na che rap­p­re­sen­ta­va la coscien­za del popo­lo palesti­nese.
La sua era una vignetta-com­men­to, una vignetta-mes­sag­gio.

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Ecco per­ché parec­chi di noi, in deter­mi­nate gior­nate dif­fi­cili, si accon­tenta­vano di leg­gere la vignetta o di far­la rac­con­tare dal­l’am­i­co. Naji non dis­eg­na­va solo per mestiere, ma per­ché ci cre­de­va. Cre­de­va nel­la giustez­za del­la causa. La ter­ra era qua­si sem­pre pre­sente nei suoi dis­eg­ni, per­ché ave­va un gran­dis­si­mo richi­amo su di lui; richia­ma­va le sue radi­ci, la sua sto­ria.
Anche lui, come tan­ti altri palesti­ne­si, è sta­to costret­to ad abban­donare il paese natale, all’età di dieci anni. Dis­eg­nare per lui non era solo una pas­sione, ma soprat­tut­to un mez­zo per esprimere i suoi pen­sieri, per gri­dare alto la sua rab­bia con­tro chi ha usurpa­to la sua ter­ra, con­tro l’oc­cu­pazione israeliana. Era un per­son­ag­gio errante per eccel­len­za; pen­na e car­ta sot­to brac­cio, appro­da­va dove annusa­va un po’ di lib­ertà per con­tin­uare a dis­eg­nare: Beirut, Kuwait, Beirut e poi Lon­dra, il suo ulti­mo esilio dove è sta­to zit­ti­to per sem­pre. La sua sfi­da ai regi­mi era impla­ca­bile. «Quan­do non tro­vo piu un gior­nale che mi ospi­ta, pos­so con­tin­uare a dis­eg­nare sul­la spi­ag­gia, sug­li alberi o sul ven­to». Di lui, il grande poeta Mah­mud Dar­wish ha scrit­to: «Solo lui riesce a scegliere per poi dis­trug­gere e far esplodere. Nes­suno assomiglia a lui… però lui assomiglia a mil­ioni di cuori per­ché è sem­plice; è un even­to stra­or­di­nario… di ecces­si­va uman­ità». La democrazia era un suo tor­men­to; le sue critiche non han­no risparmi­a­to nem­meno la diri­gen­za palesti­nese. Negli anni suc­ces­sivi all’in­va­sione israeliana del Libano (1982) e la cac­cia­ta dei palesti­ne­si, Naji era diven­ta­to forte­mente criti­co nei con­fron­ti del­la lin­ea assun­ta dal­la lead­er­ship dell’ Olp. La sua pre­sen­za in Kuwait, da dove ave­va con­tin­u­a­to a lan­cia­re le sue vignette non era più toller­a­bile. Fu costret­to quin­di a pren­dere la via di Lon­dra. Forse a Naji piac­erebbe essere ricorda­to come il pri­mo ad aver pre­vis­to lo scop­pio del­l’In­tifa­da, esplosa pochi mesi dopo la sua scom­parsa” —6.
Il per­son­ag­gio cen­trale dell’opera di Naji Al-Ali, Han­dala, dis­eg­na­to con le spalle riv­olte al let­tore e il volto ver­so il dolore del popo­lo palesti­nese, dice che l’uomo nasce libero e dovunque è in catene… è un atto di accusa con­tro l’arroganza del potere israeliano e del silen­zio com­plice dei pae­si ric­chi… la lot­ta per la lib­ertà, l’identità, la memo­ria del popo­lo palesti­nese ci guar­da attra­ver­so lo sdeg­no e il cor­ag­gio di un bam­bi­no rat­top­pa­to che ci vol­ta le spalle e diven­ta tes­ti­mone di cri­m­i­ni commes­si con­tro l’umanità… Han­dala dis­vela la dis­uman­ità del­la civiltà del­lo spet­ta­co­lo e deplo­ra il cat­ti­vo uso del­la democrazia dis­pen­sa­ta sul filo del­la man­na­ia… Naji lo dice chiaro… i piani di col­o­niz­zazione delle mafie finanziarie/politiche sono sem­pre andati a rimor­chio del prof­it­to e la ragione delle armi è sem­pre sta­ta  appli­ca­ta al com­mer­cio degli esseri… Han­dala figu­ra l’indignazione e l’insurrezione dell’intelligenza con­tro la clemen­za e l’indifferenza che assi­cu­ra­no i div­i­den­di ai cri­m­i­ni del potere.
Han­dala si oppone alla gius­tizia dei tri­buni, dei buro­crati, dei man­giamer­da che legifer­a­no i mas­sac­ri del popo­lo palesti­nese e nel cul­to mor­tif­ero del denaro per­pet­u­ano la bar­barie uni­ver­sale (ovunque le gio­vani gen­er­azioni cer­cano di rompere l’ossatura del­la repres­sione). Naji dis­eg­na il lin­ci­ag­gio dei palesti­ne­si e sver­gogna l’impostura e l’ipocrisia degli isti­tu­ti inter­nazion­ali sui dirit­ti dell’uomo. Date­mi un qual­si­asi rap­p­re­sen­tante dell’Onu e io

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mi dichiaro capace di far­lo impic­care per com­plic­ità con i geno­ci­di che le multi­nazion­ali han­no commes­so (e com­met­tono) con­tro i popoli impov­er­i­ti, dice­va… la macchi­na uman­i­taria dei gov­erni ha bisog­no del­la delin­quen­za per com­met­tere i pro­pri mis­fat­ti e i suoi man­dan­ti o ambas­ci­a­tori del prof­it­to (le gran­di banche inter­nazion­ali) sono i peg­giori fau­tori del­la fero­cia colo­nial­ista e andreb­bero sepolti sot­to una risa­ta ed esposti al pub­bli­co ludib­rio.
Di Han­dala Vau­ro Sen­e­si scrive7:
“È un bam­bi­no, pic­co­lo, un po’ spelac­chi­a­to, pie­di nudi e toppe sui vesti­ti, dif­fi­cile ved­erne il volto per­ché sta sem­pre di spalle. È così che Naji Al-Ali dis­eg­na­va Han­dala, il suo per­son­ag­gio prin­ci­pale. Han­dala c’è in qua­si tutte le vignette di Naji, una pre­sen­za muta, ma osti­na­ta.
Come quel­la del popo­lo palesti­nese al quale si vuole negare iden­tità, ma come Han­dala, c’è.
Han­dala sen­za volto riesce a gri­dare con­tro la negazione.
Vol­ta le spalle a chi ha volta­to le spalle al dolore dei palesti­ne­si e guar­da, guar­da le vicis­si­tu­di­ni del­la sua gente che Nagji dis­eg­na con amore.
Se sul volto di Han­dala ci sono lacrime o sor­risi solo quel­la gente potrà scorg­er­li, per­ché è gira­to costan­te­mente ver­so di loro. Voglio immag­inare anche Naji di spalle, men­tre dis­eg­na con quel trat­to sot­tile ed insin­u­ante come la sab­bia del deser­to, cur­vo sul foglio sul quale tesse il rac­con­to del suo popo­lo, mis­chi­an­do il dolore e l’ironia, la rab­bia e la poe­sia.
Tut­ta la sua intel­li­gen­za e la sua fan­ta­sia costrette dall’amore a con­cen­trar­si su un dram­ma. Quan­ti fogli ha riem­pi­to! E Han­dala, con la sua schiena, sem­pre lì, forse per ten­er­ci un po’ dis­tan­ti da quei dis­eg­ni di cui fa parte e che gli apparten­gono. È lui il pri­mo a guardar­li. Noi pos­si­amo solo sbir­cia­re da dietro le sue spalle impara­n­do la dig­nità. Noi occi­den­tali, noi gli israeliani, noi gli emiri o pic­coli dit­ta­torel­li dei regi­mi ara­bi, per­ché il popo­lo di Palesti­na è d’all’altra parte del foglio e può vedere il volto di Han­dala in quel­lo di tan­ti bam­bi­ni, suoi figli che col­mano le loro risa, i loro giochi e trop­po spes­so con le loro mor­ti, le strade polverose dei campi profughi, i vicoli antichi di Gerusalemme e gli uliveti d’argento del­la Cis­gior­da­nia.

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Naji ave­va la for­tu­na degli artisti, pote­va usare il foglio come una por­ta mag­i­ca, attra­ver­sar­lo e rag­giun­gere la sua ter­ra anche dall’esilio.
Naji ave­va la gen­erosità dei poeti e cer­ca­va di portar­ci con sé, per aiutar­ci a capire.
Naji è mor­to, è sta­to ucciso, rimane solo Han­dala.
Chissà forse se impar­ere­mo a guardar­lo con gli occhi di un palesti­nese un giorno si gir­erà ver­so di noi”.
La cre­ativ­ità di Naji non teme bavagli di nes­sun genere… riget­ta l’inumanità del sac­cheg­gio e del lucro… antic­i­pa i crol­li del­la bol­la finanziaria che impov­erisce il mon­do e vede nel petro­lio, nelle armi e nei tri­bunali d’opinione la con­ti­nu­ità del­lo sfrut­ta­men­to dell’uomo sull’uomo. Lo sguar­do sdeg­na­to del­la sua crea­tu­ra, Han­dala (sem­pre riv­olto di là dal foglio), inseg­na che “l’abitudine a chinare il capo, per quan­to pazien­te­mente incul­ca­ta, non ha mai imped­i­to all’uomo di risoll­e­var­lo” (Raoul Vaneigem)8… il popo­lo palesti­nese ha con­tin­u­a­to a rap­p­re­sentare per gli oppres­si del­la ter­ra un esem­pio di resisten­za sociale e una crit­i­ca rad­i­cale pro­fon­da alle con­dizioni imposte dal­la log­i­ca delle guerre e del sac­cheg­gio delle risorse nat­u­rali (dei pagli­ac­ci del mer­ca­to glob­ale) che gen­er­a­no la dis­uman­ità.
“La conoscen­za del­la psi­colo­gia crim­i­nale mostra il peri­co­lo delle apolo­gie… La deca­den­za gen­erale è un mez­zo al servizio dell’impero del­la servitù. E solo per­ché è questo mez­zo le è per­me­s­so di far­si chia­mare pro­gres­so” (Guy Debord)9. Le vignette di Naji sono per­corse da uno spir­i­to lib­er­tario che resp­inge sud­di­tanze e con­ve­nien­ze… Han­dala ricor­da a tut­ti di “restare umani”, come scrive­va Vit­to­rio Arrigo­ni… la ver­ità è avan­ti a tutte le cose e dire la ver­ità in ogni tem­po e sot­to ogni cielo, è un atto riv­o­luzionario. Per questo Gior­dano Bruno fu bru­ci­a­to vivo a Roma e Vit­to­rio Arrigo­ni ammaz­za­to in Palesti­na. Sec­oli di sangue e di men­zogne, di mer­can­ti e cor­ti­giani, di potere e di can­noni… affer­mano la teocrazia del prof­it­to con­tro il pri­ma­to del bene… ma l’amore del­la ver­ità non potrà mai essere scon­fit­to… per­ché sopra a tutte le cose dunque è la ver­ità.

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Ciò che si fon­da sull’oppressione non può essere che la “ver­ità” di una soci­età ingius­ta che l’accetta o ne è com­plice… essere liberi esige, oltre alla sem­plice lib­er­azione, la con­di­vi­sione con altri uomi­ni nel­la stes­sa con­dizione comu­ni­taria, polit­i­ca, e richiede la parte­ci­pazione diret­ta al bene comune… le leg­gi del mer­ca­to glob­ale sono il risul­ta­to di accor­di (o cospi­razioni) tra gli aguzzi­ni del­la finan­za inter­nazionale per attuare l’impoverimento e la soggezione dell’intera uman­ità… sono gli ereti­ci dell’eresia che incrinano l’immaginario isti­tu­ito e chiedono (con tut­ti i mezzi nec­es­sari) la lib­ertà, la dig­nità e il rec­i­pro­co aiu­to fon­dati sull’uguaglianza.
“Le riv­o­luzioni pas­sate sono scritte nel­la sto­ria.
Le riv­o­luzioni future, con tutte le pos­si­bil­ità di cui dispon­gono, vor­ran­no cam­biare il cor­so ripet­i­ti­vo dei giorni, saran­no con­tro la sto­ria” (Eduar­do Colombo)10 e, come la riv­o­luzione palesti­nese, fan­no dell’epifania lib­er­taria la fine di ogni tiran­nia e annun­ciano l’avvento dell’utopia come riscrit­tura del­la sto­ria. L’utopia è oppo­sizione all’ordine dom­i­nante, è rot­tura con il sopru­so, è un’immagine di alter­ità di ciò che è buono a van­tag­gio di tut­to quan­to può essere gius­tizia e bellez­za di un popo­lo. La memo­ria degli oppres­si non è inscrit­ta nel­la sto­ria degli oppres­sori… per­ché a lun­go andare gli uomi­ni in riv­ol­ta conoscer­an­no il giorno in cui saran­no liberi, uguali e frater­ni… la lot­ta con­tro lo sfrut­ta­men­to eco­nom­i­co, con­tro il dis­po­tismo politi­co, con­tro la sot­tomis­sione reli­giosa sarà dura e vio­len­ta, dice­va… tut­tavia gli antichi abusi (l’origine del­la povertà che diven­ta des­ti­no) saran­no scon­fit­ti e la felic­ità pub­bli­ca met­terà fine alla dis­ug­uaglian­za tra gli uomi­ni.
L’arte a fumet­ti di Naji Al-Ali non ama né dèi né padroni… la sua visione estet­i­ca è ric­ca di intu­izioni che si avvol­go­no in ciò che è per­en­to­rio, affer­ma­ti­vo, poet­i­co… sono dis­eg­ni che mira­no a un’edificazione, la mes­sa in for­ma di un’idea di lib­ertà e fine dei soprusi… c’è una saggez­za trag­i­ca, lib­er­taria nelle sue vignette, car­i­ca­ture, fig­ure… che fa a meno degli incen­sieri del­la polit­i­ca isti­tuzionale e dei pro­gram­mi di par­ti­to… e l’arena dove sparge la sua sem­i­na­gione di estrema bellez­za ever­si­va è l’espressione di uno stile e metafo­ra del mon­do da con­quistare. Ciò che non lo uccide lo

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for­ti­fi­ca (alla maniera di Niet­zsche) e liq­ui­da con uno sber­l­ef­fo la rapac­ità dei poteri for­ti. Esprime l’elogio del diver­so che prat­i­ca il fram­men­to e “nel­la dialet­ti­ca tra sig­nif­i­cante e sig­ni­fi­ca­to mette il pri­mo al servizio del sec­on­do. L’esistenza del ver­bo è sub­or­di­na­ta a quel­la del sen­so che gli cor­risponde” (Michel Onfray)11, sem­pre. Di più. Naji Al-Ali ama gli angeli cadu­ti, per­ché ribel­li. Sa che attra­ver­so la rot­tura del cer­chio, la vio­lazione dei mar­gi­ni, il cor­ag­gio dell’immaginale lib­er­a­to si accede al cuore delle cose… nel­la car­tografia del­la medi­oc­rità gli eroi e i san­ti sono degli stu­pi­di pre­si sul serio e tri­on­fano sui loro fal­li­men­ti… solo gli incen­di­ari dell’utopia fan­no a meno dei funesti demi­urghi dell’ordine e del­la morale… l’uso del­la pen­na, come quel­lo del coltel­lo, fa del­la vita un’opera d’arte.
Naji Al-Ali nasce nel 1937 a Asci­a­gia­ra, un pic­co­lo vil­lag­gio dell’alta Galilea, fra Nazareth e il lago di Tiberi­ade, in una famiglia di con­ta­di­ni. Padre, madre e quat­tro figli. Fino agli anni trenta nel vil­lag­gio di Asci­a­gara, come in tut­ti i vil­lag­gi palesti­ne­si, al di là delle loro cre­den­ze reli­giose, musul­mani, cris­tiani, ebrei palesti­ne­si (nativi in Palesti­na) vive­vano in armo­nia… gli inse­di­a­men­ti di ebrei venu­ti da tut­to il mon­do mutarono il cor­so delle cose… i coloni sion­isti si pre­sero le terre dei palesti­ne­si e gli attac­chi mil­i­tari fecero il resto… dopo la nasci­ta del­lo Sta­to di Israele (1948) il vil­lag­gio di Asci­a­gara fu raso al suo­lo (con molti civili) e l’ONU invece di fer­mare le stra­gi allestì i campi profughi. La famiglia di Naji Al-Ali tro­vò rifu­gio nel cam­po di ENI Al-Hilwe, nei pres­si di Sidone, nel sud del Libano (dove i famil­iari del dis­eg­na­tore anco­ra risiedono)12.
Il pic­co­lo Naji Al-Ali fece lì le scuole ele­men­tari. Inter­ruppe gli stu­di per lavo­rare come operaio sta­gionale. Si trasferì poi a Beirut. Vive­va in una ten­da nel cam­po profughi di Chati­la. Nel 1957 andò a lavo­rare in Ara­bia Sau­di­ta nelle raf­finer­ie del petro­lio. Nel 1959 tornò in Libano e s’iscrisse all’Accademia delle Belle Arti. Aderì al movi­men­to panarabo ma dette presto le dimis­sioni. Sul­la riv­ista Al Hur­riyyeh (del 20/8/1979) scrive: “Nonos­tante tutte le mie con­vinzioni, non rius­ci­vo a ritrovar­mi nel par­ti­to. Loro dis­cute­vano tan­to, ho impara­to molto. Da allo­ra ho capi­to che il Giorno ver­rà e che la Riv­o­luzione avver­rà”. In questo peri­o­do di mil­i­tan­za fu arresta­to sei volte e non gli fu più pos­si­bile pros­eguire gli stu­di in Accad­e­mia. Si trasferì a Tiro e inseg­nò in una scuo­la per tre anni. Per qualche tem­po fa parte di un grup­po teatrale politi­co del movi­men­to panarabo ma presto si volge alla car­i­catu­ra, alla vignetta, ai fumet­ti… nel 1961 il quo­tid­i­ano libanese Al-Yaum gli pub­bli­ca le prime vignette. È la nasci­ta di un genio.
I dis­eg­ni di Naji Al-Ali appaiono nelle pagine di Al-Hur­riyyeh (organo del movi­men­to panarabo) e nel­la riv­ista del Kuwait (dove era emi­gra­to all’inizio degli anni ’60), Attali’a, anch’essa espres­sione del movi­men­to panarabo. Come gior­nal­ista e vignettista pub­bli­ca nel quo­tid­i­ano kuwait­iano Assiyasat, fino al 1974. Tor­na in Libano nel­lo stes­so anno e col­lab­o­ra con il gior­nale Assafir , ne esce nel 1984. Il lavoro del vignettista, del car­i­ca­tur­ista di Naji Al-Ali è uno stru­men­to di lot­ta a favore del popo­lo palesti­nese… espres­sione degli oppres­si, dei poveri, degli umil­iati…… la riv­ista

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inglese Events con­sid­erò Naji Al-Ali come “uno dei tes­ti­moni fon­da­men­tali del­la nos­tra epoca stor­i­ca”.
Nel 1979 e 1980 vinse il pri­mo pre­mio alla “Mostra del Dis­eg­na­tore Arabo” e diven­tò pres­i­dente del­la “lega Car­i­ca­tur­isti Ara­bi”. Nel 1982 l’esercito israeliano invase il Libano. Naji Al-Ali rag­giunse le prime file di resisten­za… non impugnò mai le armi ma portò la sua sol­i­da­ri­età a quan­ti com­bat­te­vano con­tro l’aggressore. Attra­ver­so le sue vignette inci­ta­va i com­bat­ten­ti a non deporre le armi e non far­si illud­ere dalle promesse degli amer­i­cani… con la vit­to­ria degli israeliani Naji Al-Ali fu costret­to a pas­sare sette mesi in clan­des­tinità nei sot­ter­ranei di Beirut. Riesce a tornare in Kuwait. Qui scrive: “Il ful­cro di tut­to e la democrazia. Le nos­tre frec­ce van­no lan­ci­ate con­tro le catene, le maschere, le carceri e le leg­gi truf­fa … la repres­sione non ha mai regala­to la democrazia … la repres­sione non cede spon­tanea­mente … la repres­sione non si sui­ci­da … VA UCCISA. Per poter­la uccidere, bisogna lottare. Nes­suno ha la soluzione pronta. La soluzione nasce dal con­flit­to … per questo, il con­flit­to deve essere man­tenu­to vivo” (Al-Qabas, 12/5/l984).
Nell’aprile del 1984 la destra palesti­nese accusò Naji Al-Ali di essere al sol­do del­la con­tror­iv­o­luzione e gli fu nega­ta la parte­ci­pazione alla mostra per la Ter­ra di Palesti­na che si tene­va a Kuwait City. Il quo­tid­i­ano “Al-Watan” del 15/4/1984 scrisse: “Naji Al-Ali è un fenom­e­no umano … un fenom­e­no Arabo-Palesti­nese figlio del­la Palesti­na, figlio del­la Ter­ra, figlio del Popo­lo Arabo. Nes­suno meglio di lui ripor­ta i sen­ti­men­ti, le aspet­ta­tive, le depres­sioni, gli umori di mil­ioni e mil­ioni di Ara­bi … dall’Oceano al Gol­fo … In altri pae­si un fenom­e­no così raro come lo è Naji Al-Ali viene pro­tet­to, sti­mo­la­to. Da noi, invece, per curare i pro­pri inter­es­si, alcu­ni dei nos­tri leader non esi­tano a dis­trug­ger­lo … ad elim­i­narlo.…”.
In dife­sa del dis­eg­na­tore si schier­arono intel­let­tuali e pezzi di popo­lo… ma nonos­tante questo la borghesia/destra palesti­nese non cessò di calun­niar­lo e nel 1985 ottenne dal gov­er­no del Kuwait, l’espulsione del dis­eg­na­tore… tut­ti i gov­erni ara­bi gli rifi­u­tarono l’accoglienza e così si trasferì a Lon­dra con la sua famiglia.
Da Lon­dra con­tin­uò a col­lab­o­rare con il gior­nale Al-Qabas, quo­tid­i­ano gior­dano, il foglio Saut Ascia’ b e l’organo del par­ti­to comu­nista israeliano Al-Itti­had. I dis­eg­ni di Naji Al-Ali ormai veni­vano pub­bli­cate in varie par­ti del mon­do arabo… nel 1986 fece un’esposizione delle sue opere a Lon­dra, con lo scopo di far conoscere agli ingle­si la gius­ta lot­ta del popo­lo palesti­nese per i pro­pri dirit­ti… il dirit­to al ritorno, all’autodeterminazione e a uno Sta­to Palesti­nese indipen­dente sul­la Ter­ra di Palesti­na. La sera del 22 luglio 1987, a Lon­dra, Naji Al-Ali viene assas­si­na­to in un cin­e­ma da un sicario rimas­to sconosci­u­to (israeliano o del­la destra palesti­nese?). Tut­tavia Naji Al-Ali non è mor­to. Il suo genio cre­ati­vo res­ta a tes­ti­mo­ni­are la sua instan­ca­bile battaglia cul­tur­ale in favore degli oppres­si di tut­to il mon­do.

3. I fumet­ti di Han­dala e la riv­o­luzione palesti­nese

Naji Al-Ali è il cre­atore di Han­dala, un bam­bi­no un po’ spelac­chi­a­to, con i pie­di scalzi nel sole, i vesti­ti rat­top­pati e le mani intrec­ciate dietro le spalle. Si vede (qua­si) sem­pre di spalle. È una pre­sen­za muta, non par­la mai, rap­p­re­sen­ta l’identità sec­o­lare del popo­lo palesti­nese ed è anche il logo del­la “Com­mis­sion for Free­dom and Jus­tice Through Humor“13. Han­dala (o Han­za­la, dall’arabo “erba ama­ra”) è appun­to un’erba ama­ra, spin­osa, che nem­meno il deser­to uccide. Appare in qua­si tutte le vignette del dis­eg­na­tore palesti­nese. Naji Al-Ali lo dis­eg­na con la tes­ta che ricor­da un pic­co­lo sole (ho una lam­pad­i­na…) che guar­da ver­so il futuro… lo sguar­do è riv­olto ai vil­lag­gi mas­sacrati dalle bombe, ai mar­tiri palesti­ne­si, al neo­colo­nial­is­mo delle multi­nazion­ali del petro­lio… Han­dala si las­cia alle spalle il dolore dei palesti­ne­si e guar­da in fac­cia i loro assas­si­ni… nes­suno vede le lacrime del bam­bi­no, solo col­oro che pro­ducono morte e fan­no un cat­ti­vo uso del­la sto­ria. Han­dala è un bam­bi­no strap­pa­to al suo vil­lag­gio, alla sua famiglia, alla gioia dell’infanzia vis­su­ta sul­la sab­bia dei padri… si rifi­u­ta di crescere nei campi profughi e mostr­erà il suo volto solo quan­do la situ­azione del popo­lo palesti­nese sarà roves­ci­a­ta, potrà tornare al vil­lag­gio, ripren­dere a crescere e diventare un uomo libero.
C’è infat­ti una vignetta dove si vede Han­dala che con una cor­da tira un fucile con la baionet­ta infic­ca­ta nel­la ter­ra come fos­se un ara­tro, il padre tiene stret­to il man­i­co e la madre sem­i­na cuori in un notte di mez­za luna. Un cap­ola­voro. Han­dala dis­vela l’ingiustizia di tutte le guerre, la men­zogna del­la polit­i­ca, la forza in utopia dell’uomo in riv­ol­ta… trasmette un’etica, una morale, una saggez­za, una filosofia di resisten­za e insub­or­di­nazione. La riv­o­luzione palesti­nese pas­sa attra­ver­so la sua icona che la veico­la, la rac­con­ta, la trasporta, la decifra e mostra che solo chi affer­ma la pro­pria igno­ran­za, illu­mi­na d’intelligenza e chiede il rispet­to delle dif­feren­ze di cul­tura, cre­do, col­ore del­la pelle, di pen­siero… il silen­zio del con­sen­so è dit­tatu­ra.
È la ver­ità che cam­bia le infamie delle tiran­nie. La lib­ertà è misura di tutte le cose. La fra­ter­nità si arres­ta davan­ti ai campi degli israeliani conci­mati con i cor­pi dei palesti­ne­si. La dis­ug­uaglian­za è il prodot­to dell’economia-politica inter­nazionale e la mis­sione civ­i­liz­za­trice del neo­colo­nial­is­mo che por­ta in sé mostra i con­quis­ta­tori impeg­nati nel­la sop­pres­sione del povero/ribelle a favore del servo/schiavo delle democra­zie con­sumeriste e dei regi­mi comu­nisti. I crim­i­nali di Sta­to e quel­li delle chiese monoteiste lavo­ra­no sul­la ver­ità dei mer­cati, delle guerre di pace e del­la mist­i­ca delle elezioni… si pre­oc­cu­pano di ricu­cire gli strap­pi dei loro ecces­si. Ogni richi­es­ta di democrazia aut­en­ti­ca va demo­c­ra­ti­ca­mente sof­fo­ca­ta. La comu­nità del con­trol­lo glob­ale affo­ga nell’epoca del dis­as­tro, ma non è anco­ra un’orda fes­tosa quel­la che impugna i pro­pri dirit­ti civili, assalta i palazzi del potere e prende a cal­ci in culo i pezzen­ti e gli usurpa­tori del­la democrazia del­la gioia. La “grandiosità” del­la polit­i­ca finanziaria deve il suo “splen­dore” (il suo suc­ces­so glob­ale) all’apologia dell’infamia.
Le vignette, le car­i­ca­ture, le strisce di Naji Al-Ali esp­ri­mono un even­to sub­lime di rot­tura, si oppon­gono alla fatal­ità stor­i­ca e alla soggezione degli artisti di fronte alla sacral­ità o alla galera che il potere con­cede loro… Han­dala figu­ra l’innocenza del divenire e gri­da con­tro l’impudore del­la stel­la di David che ha cer­ca­to di sof­fo­care (invano) la voce e i cor­pi dei padri palesti­ne­si per sorte div­ina… il bam­bi­no con le mani incro­ci­ate dietro le spalle aus­pi­ca la riv­ol­ta, la dis­so­nan­za, la dif­feren­za e la sua pos­tu­ra, i pochi gesti, l’insolenza del­la sua poet­i­ca del­la lib­ertà indi­ca “la conoscen­za del dolore che si trasfor­ma attra­ver­so il dolore” (Michel Onfray)14 e la roves­cia in riv­ol­ta. Non c’è una stra­da più onorev­ole per arrivare alla felic­ità, oltre a quel­la del­la pazien­za dell’asino, che quel­la del­la riv­o­luzione.
Han­dala inseg­na la buona cre­an­za agli israeliani e avan­za il rifi­u­to di ogni autorità in mate­ria di lib­ertà. È in anticipo sui tem­pi. La sua crit­i­ca del­la vio­len­za israeliana si allarga alla crit­i­ca delle democra­zie autori­tarie (e dei regi­mi comu­nisti) e dà libero cor­so alle pas­sioni, ai desideri, ai piac­eri attra­ver­so lo scate­na­men­to del­la fan­ta­sia. La vio­len­za del­la democrazia è giun­ta in fon­do al pun­to cui per­viene fatal­mente qual­si­asi potere cos­ti­tu­ito fonda­to sul prin­ci­pio del­la rap­p­re­sen­tan­za polit­i­ca: “La riv­o­luzione dei pochi con­tro i molti (oggi conc­re­ta­mente si trat­ta di una manovra che favorisce  un proces­so di  impov­er­i­men­to del­la povertà, nel quale in defin­i­ti­va le  mis­ure di pro­tezione  sociale sono  gen­eral­mente des­ti­nate a tute­lare

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chi nel mon­do è già socio-cul­tural­mente garan­ti­to)” (Pieran­drea Amato)15. La crit­i­ca del­la vio­len­za del­la democrazia l’avevano già stu­di­a­ta Stirn­er, Niet­zsche, Ben­jamin, Camus, Mein­hof (la bel­la)… e tut­ti sono arrivati allo stes­so palo esisten­ziale: l’uomo libero è il solo cre­atore dei pro­pri val­ori.
Naji Al-Ali dis­eg­na Han­dala magis­tral­mente… il seg­no è scarno, sicuro, schi­et­to… arte pura, finis­si­ma. In una vignetta si vede Han­dala sul­lo sfon­do che tira i sas­si nel­la notte, sot­to la luna, e in pri­mo piano un brac­cio che impugna una pietra che gron­da sangue… c’è anche un fiore nato tra i sas­si… l’impatto è forte, com­movente, diret­to… il nemi­co è il nero che avan­za ma la riv­o­luzione palesti­nese non muore… si bat­te con ogni mez­zo e riven­di­ca l’esistenza di una poet­i­ca dell’anima di sfronta­ta bellez­za.
Anche di fronte a Cristo in croce e con al col­lo le chi­avi del par­adiso, Han­dala res­ta per­p­lesso… forse riflette sull’impostura e gli ingan­ni ali­men­tati dai rab­bi­ni, dai preti e dagli imam… si chiede se Mosè, Gesù e Maomet­to era­no tre impos­tori, bugia­r­di, affab­u­la­tori, imbroglioni venu­ti a sedurre il genere umano e fon­dare l’autorità del­la Chiesa e del­lo Sta­to sul­la stoltez­za degli uomi­ni… forse pen­sa soltan­to che in nome di Dio e del Par­adiso da qualche parte, gli uomi­ni con­tin­u­ano ad ammaz­zare altri uomi­ni.
Naji Al-Ali si avvic­i­na con grazia ai mas­sac­ri degli israeliani… in un dis­eg­no Han­dala è davan­ti a una casa dis­trut­ta dalle bombe… sul­la parte destra c’è un bam­bi­no mor­to che tiene un fiore in una mano… dietro di lui alcu­ni pezzi di leg­no for­mano una croce… Han­dala è di spalle, con le mani incro­ci­ate… sem­bra qua­si pian­gere e muover­si… è una rêver­ie di grande mal­in­co­nia che dis­prez­za la dis­misura dell’ordine israeliano ed elo­gia, in pun­ta di lacrime, la riv­o­luzione dei sas­si… in qualche modo va a toc­care il fon­do di ani­me del­i­cate e al di là del­la real­iz­zazione estet­i­ca vivono la pietà laica come con­tro-morale del­la sto­ria.
Naji Al-Ali si accos­ta al dolore delle donne con la leg­gerez­za del poeta o con la coscien­za cre­atrice di chi conosce a fon­do ciò di cui par­la… quan­do dis­eg­na la zia Haifa, la rap­p­re­sen­ta nel­la saggez­za trag­i­ca del­la don­na che è la coscien­za pro­fon­da, irriducibile del popo­lo palesti­nese. Una delle vignette tra le più impor­tan­ti è quan­do figu­ra Han­dala (con le mani incro­ci­ate dietro le spalle) che guar­da una don­na piangente sot­to un cielo di stelle di David… tiene in una mano il ritrat­to di un famil­iare ucciso dagli israeliani… è un’immagine fan­tas­ti­ca che appro­fondisce una situ­azione di guer­ra, con­tiene la finez­za popo­lare del­la com­me­dia dell’arte, si richia­ma alle orig­i­ni del­la comu­ni­cazione che rin­no­va e molti­pli­ca la gioia del mer­av­igliar­si. Incred­i­bile, sin­go­lare, inso­lente è la vignetta di Han­dala che guar­da una bam­bi­na gio­care al salto del­la cor­da… le mani che ten­gono la cor­da spez­zano le gambe alla bam­bi­na… l’ingenuità e lo stu­pore s’intrecciano e l’immaginazione si apre ver­so l’avvenire. Anco­ra una vignetta/disegno di notev­ole dis­per­a­ta vital­ità… Han­dala osser­va una don­na criv­el­la­ta di colpi… san­guina su un deser­to ari­do e una mez­za luna illu­mi­na la sce­na… chi ama la luce ama la ver­ità… Naji Al-Ali lo sa bene e ci offre l’immaginale che ci fa vedere ciò che sovente non vogliamo vedere… è anco­ra una rêver­ie che cos­ti­tu­isce una fines­tra di acces­so per un mon­do più gius­to e più umano. In molte altre vignette/disegni Han­dala si aggi­ra fra bidoni di petro­lio delle multi­nazion­ali, filo spina­to e car­ri armati, corvi e forche, con­fi­ni squas­sati dalle bombe, bandiere israeliane e ves­sil­li palesti­ne­si calpes­ta­ti… l’intera opera di Naji Al-Ali resti­tu­isce la coscien­za ai sog­na­tori e con­ferisce a ogni tavola la dol­cez­za di vivere. Han­dala sogna… sogna mon­di in amore e ci trasmette il sen­so delle radi­ci di un popo­lo… è l’infanzia vivente del­la riv­o­luzione palesti­nese. Mostra anche che la collera dell’infanzia feri­ta non si atten­ua e sostiene che le collere prim­i­tive risveg­liano infanzie dimen­ti­cate.
Naji Al-Ali riesce perfi­no ad uccidere Han­dala. Si trat­ta di una vignetta dove Han­dala è river­so su uno spazio bian­co, addos­sato alla notte sen­za luna… i pan­taloni cor­ti, le toppe sul­la magli­et­ta, i pie­di nudi… ha una frec­cia infi­la­ta in un tal­lone e del sangue rosso si allarga sul­la car­ta… qui Naji Al-Ali si fa mae­stro dell’interrogazione indi­ret­ta e in un’estetica dell’angoscia resti­tu­isce la vir­tu­al­ità del reale. La sua poe­sia si unisce alla memo­ria dei viven­ti e risveg­lia l’età anti­ca del­la bellez­za sfig­u­ra­ta che le con­sente di riv­i­vere nel­la comu­nità che viene.
L’intera opera di Naji Al-Ali è una metafo­ra del cos­mopolitismo… trat­ta del­la riv­o­luzione palesti­nese ma il suo immag­i­nario si estende all’immigrato, all’esiliato, al rifu­gia­to, al depor­ta­to, all’apolide, al profu­go… tutte cat­e­gorie che riguardano lo straniero… si affran­ca alle per­sone costrette alla lot­ta o all’esilio per­ché la loro vita e la loro lib­ertà sono minac­ciate a causa del­la loro raz­za, del­la loro reli­gione o delle loro opin­ioni politiche… è la lot­ta del povero  con­tro  il ric­co e  pog­gia sul­la  richi­es­ta del dirit­to  cos­mopoliti­co all’ospitalità uni­ver­sale, che  è la  con­dizione  del­la pace per­pet­ua tra tut­ti gli

corvi

uomi­ni, Kant dice­va. Più anco­ra, sostene­va il filoso­fo del­la colom­ba, “nes­sun trat­ta­to di pace deve essere stip­u­la­to con la taci­ta ris­er­va di argo­men­ti per una guer­ra futu­ra… nes­suno sta­to indipen­dente deve essere acquis­ta­to da un altro medi­ante ered­ità scam­bio com­pera o don­azione… col tem­po gli eserci­ti per­ma­nen­ti devono essere aboli­ti… nes­suno sta­to si deve intromet­tere con la forza nel­la cos­ti­tuzione di un altro sta­to… nes­suno sta­to in guer­ra deve per­me­t­ter­si atti di ostil­ità tali da ren­dere impos­si­bile la rec­i­p­ro­ca fidu­cia futura”16. Tut­to vero. Tutte le crea­ture umane han­no il comune pos­ses­so del­la super­fi­cie del­la ter­ra. Nes­suno può dunque appro­pri­ar­si legit­ti­ma­mente di ciò che è di tut­ti.
A ragione Jacques Der­ri­da quan­do scrive che occorre rivedere la sto­ria del dirit­to inter­nazionale e fare del dirit­to d’asilo o del dovere dell’ospitalità, la rifig­u­razione di una nuo­va cos­mopo­lit­i­ca e gri­da: “Cos­mopoli­ti di tut­ti i pae­si, anco­ra uno sforzo!”17, unite­vi nel­la lot­ta uni­ver­sale con­tro gli oppres­sori e gli sfrut­ta­tori… la rifon­dazione di nuove comu­nità e apparte­nen­ze ad altre forme di soci­età sono tutte da inventare. La dol­cez­za delle utopie ci appar­tiene e gli spazi liberati dei quali parla­va Fou­cault, le etero­topie, ci affasci­nano… “ogni soci­età può per­fet­ta­mente rias­sor­bire e far scom­par­ire un’eterotopia che ave­va cre­ato in prece­den­za o orga­niz­zarne altre che non esiste­vano anco­ra… Si arri­va così a ciò che c’è di più essen­ziale nelle etero­topie. Esse sono la con­tes­tazione di tut­ti gli altri spazi, e ques­ta con­tes­tazione si può esercitare in due modi: o cre­an­do un’illusione che denun­cia tut­to il resto del­la realtà come illu­sione, come nel caso delle case chiuse… oppure cre­an­do real­mente un altro spazio reale tan­to per­fet­to, meti­coloso o ordi­na­to, quan­to il nos­tro è dis­or­di­na­to, mal orga­niz­za­to e caoti­co” (Michel Foucault)18. Le etero­topie sono spazi aper­ti, sen­si­bil­mente anar­chi­ci, che neu­tral­iz­zano tut­ti gli altri spazi e una vol­ta che vi entri­amo, la dif­feren­za è asso­lu­ta. Le etero­topie sono peri­colose, lavo­ra­no seg­re­ta­mente al roves­ci­a­men­to dei lin­guag­gi e ripu­di­ano i luoghi comu­ni… cre­ano nuovi modi del comu­ni­care e nuovi cor­pi del piacere… si bat­tono con­tro la deser­ti­fi­cazione del­la coscien­za, la povertà dell’intelligenza e fan­no del­la sparizione rad­i­cale del­la polit­i­ca, la fine dell’innocenza. Nelle etero­topie il rispet­to dei dirit­ti dell’uomo si trasfor­ma in ricer­ca del­la felic­ità… l’intuizione è il risul­ta­to e la vita quo­tid­i­ana il fer­vore dion­isi­a­co dell’arte di gioire tra liberi e uguali.

1 Giulio Giorel­lo, Di nes­suna chiesa. La lib­ertà del laico, Raf­fael­lo Corti­na Edi­tore, 2005
2 Gas­ton Bachelard, La poet­i­ca del­la rêver­ie, Deda­lo, 1972
3 Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità, Raf­fael­lo Corti­na Edi­tore, 1991
4 Simone Weil, L’ombra e la grazia, Bom­piani, 2002
5 Naji Al-Ali, No al silen­zi­a­tore, Trac­cedi­zioni, 1994. Quan­do alcu­ni ami­ci palesti­ne­si han­no pro­pos­to — a mio figlio e a me la pub­bli­cazione di No al silen­zi­a­tore nel­la nos­tra casa editrice, abbi­amo ader­i­to all’iniziativa con gioia. Era la pri­ma edi­zione euro­pea dell’opera di Naji Al-Ali. L’intero rica­va­to del libro è anda­to in aiu­to al popo­lo palesti­nese. Il libro ci ha procu­ra­to non pochi guai con la DIGOS… tut­tavia pen­sava­mo e pen­si­amo anco­ra che ques­ta opera sia tra le più belle e fol­go­ran­ti mai apparse nell’arte a fumet­ti, e anche il più altro gri­do di lib­ertà che un artista abbia sem­i­na­to in favore del suo popo­lo e per la bellez­za del­la vita quo­tid­i­ana. Ogni opera d’arte che non ci avvici­ni alla bellez­za e alla lib­ertà, non vale nul­la.
6 Naji Al-Ali, No al silen­zi­a­tore, Trac­cedi­zioni, 1994
7 Naji Al-Ali, No al silen­zi­a­tore, Trac­cedi­zioni, 1994
8 Raoul Vaneigem, Né vendet­ta né per­dono. Gius­tizia mod­er­na e cri­m­i­ni con­tro l’umanità, Elèuthera, 2010
9 Guy Debord, Pane­giri­co (Tomo pri­mo e sec­on­do), Castelvec­chi, 1996
10 Eduar­do Colom­bo, Lo spazio politi­co dell’anarchia, Elèuthera, 2008
11 Michel Onfray, La scul­tura di sé. Per una morale estet­i­ca, Fazi Edi­tore, 2007
12 Per una trat­tazione più ampia del­la vita polit­i­ca di Naji Al-Ali e un’analisi pro­fon­da del­la sua opera lega­ta alla riv­o­luzione palesti­nese, vedi: http://www.tmcrew.org/int/palestina/najialali/vitanaji.htm
13 http://it.wikipedia.org/wiki/Handala
14 Michel Onfray, L’arte di gioire. Per un mate­ri­al­is­mo edonista, Fazi Edi­tore, 2009
15 Pieran­drea Ama­to, La riv­ol­ta, Crono­pio, 2010
16 Immanuel Kant, Per la pace per­pet­ua, Fletrinel­li, 2004
17 Jacques Der­ri­da, Cos­mopoli­ti di tut­ti i pae­si, anco­ra uno sfor­zo!, Crono­pio, 2005
18 Michel Fou­cault, Utopie Etoro­topie, Crono­pio, 2004

Piom­bi­no, dal vico­lo dei gat­ti in amore, 10 volte giug­no 2010

(per scari­care l’ar­ti­co­lo in for­ma inte­grale clic­ca qui)

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