Il vecchio acciaio e le nuove prospettive

· Inserito in Editoriale
Fiorenzo Bucci

PIOMBINO 16 novem­bre 2012 — Sem­bra­va un’autostrada di quelle che por­tano a mete lon­tane e su cui si viag­gia rilas­sati. Per anni neanche il dub­bio che le quat­tro immense cor­sie potessero sfo­cia­re in un sen­tiero, che si potessero incon­trare curve peri­colose col ris­chio perfi­no di imbat­ter­ci nell’estremo cartel­lo: “stra­da sen­za sfon­do”. La siderur­gia del resto fa parte del­la sto­ria del­la Val di Cor­nia. La cul­tura del fer­ro è pat­ri­mo­nio  tra­manda­to di gen­er­azione in gen­er­azione per sec­oli. I gov­erni, i par­ti­ti, i sin­da­cati, per decen­ni,  non sono sta­ti nem­meno sfio­rati dal pen­siero che, accan­to al pane “sicuro” del­la grande fab­bri­ca, ce ne potessero essere anche altri.
Mag­a­ri più fati­cosi da con­quistare, mag­a­ri, al momen­to, meno red­di­tizi. Eppure perfi­no la natu­ra è sta­ta gen­erosa con noi. Ma quei doni mer­av­igliosi trop­po a lun­go non sono sta­ti apprez­za­ti: un cli­ma mite, una ter­ra gen­erosa e ric­ca di cor­si d’acqua, panora­mi stu­pen­di da offrire a ospi­ti e vis­i­ta­tori, acque calde già amate e sfrut­tate da popoli antichi, arte e cul­tura tra­man­da­ta da padri impareg­gia­bili. L’acciaio, nell’ultimo sec­o­lo, è sta­to il pro­gres­so, la mol­la del grande svilup­po, l’occasione per entrare a buon dirit­to nelle stanze dei padroni del vapore. Anche la scien­za ha cav­al­ca­to l’onda propizia e si è impeg­na­ta a sfornare sem­pre nuove tec­nolo­gie.
AcciaioCosì Piom­bi­no, un pas­so avan­ti a tut­ti, ha usato, sper­i­men­ta­to, val­oriz­za­to come non altri i nuovi meto­di otte­nen­do pro­duzioni più mod­erne e più per­fette.  Nel 1865 quan­do nac­quero “La Mag­o­na” e la “Fer­ri­era Per­se­ver­an­za” era­no i detenu­ti del pen­iten­ziario ad ali­menta­re il nuo­vo con­ver­ti­tore Besse­mer. Ma a fine sec­o­lo la fab­bri­ca, sot­to le inseg­ne del­la nuo­va soci­età “Alto­forni e Fonderie di Piom­bi­no”, con­ta­va già 2500 dipen­den­ti e Piom­bi­no veni­va ormai riconosci­u­to come il più grande cen­tro indus­tri­ale del Paese a ciclo inte­grale. Un com­p­lesso atti­vo e orga­niz­za­to, capace di recitare un ruo­lo deter­mi­nante nel­la pro­duzione bel­li­ca del pri­mo con­flit­to mon­di­ale così come deter­mi­nante era sta­to il suo appor­to nel­la creazione del­la rete fer­roviaria in cui l’Italia si era impeg­na­ta all’alba del nuo­vo sec­o­lo. Suc­ces­si cav­al­cati dal fas­cis­mo attra­ver­so l’Iri, oppor­tu­nità colte dal­la nuo­va Repub­bli­ca dopo la ricostruzione che seguì agli anni ter­ri­bili del­la sec­on­da guer­ra mon­di­ale quan­do l’ottanta per cen­to degli impianti venne ridot­to ad un cumu­lo di mac­erie.
Il suc­ces­so, che portò benessere, fece perfi­no dimen­ti­care le con­seguen­ze che dove­vano poi emerg­ere in tut­ta la loro grav­ità: intere zone som­merse da un inquina­men­to pesante, centi­na­ia di arti­giani sot­trat­ti alle loro pic­cole aziende dal mirag­gio del pos­to eter­no in fab­bri­ca.  E più grave, in quegli anni, fu la sot­to­va­l­u­tazione di fenomeni appe­na abboz­za­ti ma che dove­vano scon­vol­gere l’economia del Paese e più anco­ra del mon­do. L’impegno mas­s­ic­cio ed incon­trol­la­to delle Parte­ci­pazioni statali, la miopia di politi­ci, ammin­is­tra­tori e sin­da­cal­isti, un’ incred­i­bile giran­dola di sigle, di azion­isti di man­ag­er han­no carat­ter­iz­za­to gli anni recen­ti, quel­li nei quali a Piom­bi­no si è scel­to di insis­tere solo su mod­el­li che ave­vano paga­to ma che ormai davano solo frut­ti mod­esti. Quel­li in cui il triste fenom­e­no dei prepen­sion­ati cinquan­ten­ni era vis­su­to come una con­seguen­za fisi­o­log­i­ca, quel­li dove ogni altra inno­vazione, ogni altra volon­tà di fare veni­va trat­ta­ta con indif­feren­za, a volte con fas­tidio. Così come con fas­tidio si sono viste negli anni più recen­ti real­iz­zazioni inno­v­a­tive, ad esem­pio nei beni cul­tur­ali e nat­u­rali, che in ogni caso si era­no imposte pos­i­ti­va­mente nel pas­sato. Cer­to la vocazione siderur­gia piom­bi­nese non può morire e l’acciaio dovrà comunque avere un ruo­lo. Lon­tano dai 10mila dipen­den­ti di un tem­po ma comunque atti­vo. Ma l’impegno dovrà andare anche ad altro. A ciò che si è dimen­ti­ca­to pur aven­do­lo a dis­po­sizione, a ciò che le esi­gen­ze del mon­do mod­er­no chiedono, a ciò che la riv­o­luzione tec­no­log­i­ca ci offre come oppor­tu­nità pos­si­bile. Insis­tere per nuovi com­pra­tori, per nuove soluzioni, per nuove prospet­tive è scon­ta­to e doveroso, anche se fino ad oggi colpevol­mente nien­t’af­fat­to prat­i­ca­to con razion­al­ità, coeren­za e real­is­mo. Impeg­nar­si, per­al­tro con immane ritar­do, per affi­an­care economie alter­na­tive alla siderur­gia e all’industria non è più rin­vi­a­bile.

(foto di Pino Bertel­li)

 

Una risposta a “Il vecchio acciaio e le nuove prospettive”

  1. Walter Gasperini says:

    Apprez­zo com­p­lessi­va­mente la nota di Buc­ci, al soli­to punge e toc­ca le corde più sen­si­bili, quelle reali, con la saggez­za del­l’es­pe­rien­za ma anche del dis­in­can­to e del­la ver­ità come bene asso­lu­to. Sot­to­scri­vo pien­amente le affer­mazioni, ora dob­bi­amo met­tere in cam­po una spin­ta inno­v­a­ti­va, che non dis­perde e non con­dan­na solo il pas­sato, ma che trac­cia il nuo­vo pos­si­bile, anche se scop­er­to con ritar­do. Come una vec­chia trsamis­sione del­la RAI, “non è mai trop­po tar­di” spero sia così.

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