L’amianto: mille competenze e cautele necessarie

· Inserito in Spazio aperto
Luca Guidi

PIOMBINO 24 feb­braio 2016 — Nel feb­braio del 2011, già cinque anni fa e sem­bra ieri, mori­va un caro ami­co, Gio­van­ni, col quale ho avu­to scam­bi e col­lab­o­razioni com­mer­ciali nel nos­tro set­tore. Gio­van­ni era un agente marit­ti­mo e spedi­zion­iere inter­nazionale, mem­bro di spic­co del Pro­pellers Club di Livorno. Ave­va­mo gli uffi­ci adi­a­cen­ti e del­la sua vas­ta espe­rien­za e con­sigli mi sono avval­so più volte con prof­it­to. Gio­van­ni era nato nel 1946, quin­di quan­do è man­ca­to ave­va 65 anni.
La sua malat­tia, breve e cat­ti­va,  se lo è por­ta­to via in 3 o 4 mesi. È sta­to tris­te­mente sor­pren­dente ved­er­lo pas­sare da una con­dizione di buona salute e ener­gia — non era nem­meno un fuma­tore — ad una rap­i­da e dolorosa con­sun­zione, a sten­to mit­i­ga­ta da for­ti dosi di mor­fi­na. La diag­nosi fu cer­ta e inap­pella­bile: mesote­lioma pleuri­co. I famil­iari e gli ami­ci non rius­ci­vano a capac­i­tar­si di come un uomo che ave­va sem­pre oper­a­to in por­to e in uffi­cio avesse potu­to svilup­pare un can­cro con­nes­so all’e­s­po­sizione all’amianto. Alla fine la moglie si ricordò che agli inizi degli anni ses­san­ta Gio­van­ni ave­va lavo­ra­to per uno o due anni, come gio­vanis­si­mo operaio, in un cantiere navale, dove — lo si seppe tren­t’an­ni dopo — l’amianto era usato quo­tid­i­ana­mente nel­la costruzione degli scafi allesti­ti via via. E ovvi­a­mente, l’amianto si maneg­gia­va al pari delle lamiere e altri mate­ri­ali da costruzione.
Fum­mo tut­ti costret­ti ad arren­der­ci all’ev­i­den­za. I dot­tori dis­sero che quel peri­o­do a con­tat­to con l’amianto ave­va introdot­to nel­l’or­gan­is­mo del mio ami­co quan­to bas­ta­va per­ché den­tro di lui si rad­i­cas­sero i fil­a­men­ti che nel cor­so del tem­po l’ ave­vano ucciso. Pare infat­ti che la malat­tia covi, per così dire, anche decen­ni pri­ma di con­cla­mar­si aper­ta­mente  e a quel pun­to è trop­po tar­di per tut­to, se non essere accom­pa­g­nati alla morte nel modo meno doloroso pos­si­bile.
Non sono un esper­to di tante cose, men che mai di med­i­c­i­na del lavoro e seguo dis­trat­ta­mente la vicen­da del­la dis­car­i­ca di amianto che si vor­rebbe fare a Piom­bi­no. Forse colpevol­mente, non riesco a leg­gere fino in fon­do i post e gli arti­coli di tut­ti quel­li che la pen­sano in cen­to modi o conoscono più di me (ci vuol poco) gli aspet­ti più recon­di­ti del­la vicen­da e le sue pieghe e impli­cazioni. Mi per­do tra i mille riv­o­li di con­cetti legal-ammin­is­tra­tivi, di politich­ese appli­ca­to all’e­colo­gia, alle ragioni di chi dice ” son posti di lavoro “, di sce­nari dove l’amianto di tut­to il mon­do ver­rà qui per essere smalti­to e via così.
Se c’è amianto dis­per­so o pre­sente nel­l’in­dus­tria o altrove, qui da noi, cer­to va rimosso e non las­ci­a­to a se stes­so. Per quel che riguar­da un even­tuale impianto di trat­ta­men­to e/o smal­ti­men­to, anche qualo­ra accogliesse l’amianto del­l’u­ni­ver­so, pos­so solo augu­rar­mi che — anche stante l’at­tuale tec­nolo­gia, che spero sicu­ra — tut­to sia gesti­to in modo da non dover­si trovare, tra decen­ni, a sbig­ot­tir­si per deces­si “insp­ie­ga­bili”: la respon­s­abil­ità che i decisori si pren­dono oggi è grande.

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