Le idee del Laboratorio senza aspettare la manna

PIOMBINO 8 otto­bre 2017 — Alla fine di oltre quat­tro ore di ser­ra­to dibat­ti­to su come uscire dal­la crisi del­la siderur­gia l’appello che è venu­to dai molti cit­ta­di­ni pre­sen­ti è sta­to quel­lo di non fer­mar­si, di pro­muo­vere altre inizia­tive e di far conoscere l’insieme delle pro­poste emerse. Tan­tis­si­mi i temi, dalle dinamiche mon­di­ali del mer­ca­to dell’acciaio alla crisi del­lo sta­bil­i­men­to di Piom­bi­no che tra il 2008 e il 2012 ha bru­ci­a­to cir­ca 900 mil­ioni di euro al rit­mo di 18 mil­ioni al mese, fino ai clam­orosi fal­li­men­ti del piano Afer­pi dato per cred­i­bile e salv­i­fi­co nel 2015 da tutte le isti­tuzioni quan­do in realtà era pri­vo dei req­ui­si­ti min­i­mi per esser­lo, come han­no dimostra­to i fat­ti. I fal­li­men­ti non sono però solo quel­li di Afer­pi. Lo Sta­to non è da meno. La crisi indus­tri­ale richiede­va la soluzione di altri prob­le­mi: le boni­fiche del SIN, il pro­l­unga­men­to del­la 398 fino al por­to, il poten­zi­a­men­to del­la fer­rovia di cui non si par­la nep­pure più, l’ampliamento del por­to anco­ra da com­pletare e pri­vo di col­lega­men­ti che lo ren­dano uti­liz­z­abile. Niente di tut­to questo è accadu­to.
Il dibat­ti­to si è sof­fer­ma­to molto sug­li aspet­ti sociali del­la crisi, in par­ti­co­lare sul­la fun­zione degli ammor­tiz­za­tori sociali mes­si in atto dal 2015 con il piano Afer­pi, uno stru­men­to fon­da­men­tale per non las­cia­re sen­za tutela chi perde il lavoro, ma da uti­liz­zare per prog­et­ti di ricon­ver­sione e rilan­cio pro­dut­ti­vo in gra­do di offrire nuo­va reale occu­pazione. Così non è sta­to. In assen­za di un piano indus­tri­ale cred­i­bile gli ammor­tiz­za­tori sociali per i 2200 dipen­den­ti ex Luc­chi­ni si trasfor­mano in assis­ten­zial­is­mo che gli stes­si lavo­ra­tori sentono come un peri­co­lo e perdi­ta di dig­nità. Situ­azione anco­ra più grave è quel­la dei cir­ca 2000 lavo­ra­tori dell’indotto siderur­gi­co che, in assen­za di accor­di isti­tuzion­ali per il pro­l­unga­men­to degli ammor­tiz­za­tori, stan­no esauren­do o han­no già esauri­to qual­si­asi for­ma di pro­tezione. Sen­za con­sid­er­are i gio­vani che qui non trovano lavoro e sono costret­ti ad andarsene.
Di fronte ad una crisi di ques­ta por­ta­ta non si può atten­dere e con­fi­dare anco­ra su un piano (quel­lo di Afer­pi) clam­orosa­mente fal­li­to. Quel piano deve essere imme­di­ata­mente abban­do­na­to e lo Sta­to deve tornare in pos­ses­so degli oltre 600 ettari di ter­reno pub­bli­co con­fer­i­ti ad Afer­pi per definire subito un nuo­vo piano di rilan­cio pro­dut­ti­vo e di rigen­er­azione urbana. Le pro­poste avan­zate dal Lab­o­ra­to­rio sono state molte e ruotano tutte intorno ad un obi­et­ti­vo fon­da­men­tale: creare le con­dizioni per lo svilup­po di nuove economie, atte­so che, anche nelle ipote­si più rosee, la siderur­gia non potrà più garan­tire i liv­el­li occu­pazion­ali del pas­sato. Larghissi­ma con­di­vi­sione si è reg­is­tra­ta nel cir­co­scri­vere il set­tore siderur­gi­co alla sola zona nord di Col­ma­ta dove oggi insistono i lam­i­na­toi. Dopo il fal­li­men­to di Afer­pi, con pro­ce­dure traspar­en­ti, si dovran­no ricer­care impren­di­tori siderur­gi­ci cred­i­bili, con prog­et­ti che pun­tano sul­la qual­ità dei prodot­ti, sull’innovazione e sui servizi di accom­pa­g­na­men­to alla clien­tela. Altro des­ti­no dovrà essere quel­lo delle aree a sud, vicine alla cit­tà. Qui il piano Afer­pi prevede­va la totale demolizione dei capan­noni e degli impianti (alto­forno, acciaieria, ecc.) per far pos­to all’agroindustria (in realtà pare per il biodis­el) e per gran­di piaz­za­li di stoccag­gio. Niente è sta­to fat­to di quan­to pre­vis­to e non si com­prende per­ché ora si dovrebbe pro­cedere alla totale demolizione di quell’enorme pat­ri­mo­nio. La pro­pos­ta è che le isti­tuzioni, in prim­is il Comune e il Com­mis­sario stra­or­di­nario, fac­ciano subito un cen­si­men­to ragion­a­to del pat­ri­mo­nio final­iz­za­to ad elab­o­rare un prog­et­to autonomo di rigen­er­azione di quelle aree. Le idee gui­da dovran­no essere due: il recu­pero e il riu­so (ove pos­si­bile) di edi­fi­ci indus­tri­ali dismes­si per le esi­gen­ze del­la cit­tà e del por­to e la creazione di un par­co urbano di arche­olo­gia-indus­tri­ale col­le­ga­to al sis­tema ter­ri­to­ri­ale dei parchi. Le demolizioni, pur nec­es­sarie, ven­gono dopo. In questo sce­nario la dis­mis­sione può essere un“progetto cre­ati­vo” capace d’intercettare finanzi­a­men­ti europei e creare nuo­va occu­pazione. Un con­trib­u­to ril­e­vante alla definizione e all’attuazione del prog­et­to può venire, subito, dalle pro­fes­sion­al­ità delle maes­tranze siderur­giche piom­bi­ne­si. Nel cor­so dell’incontro si è fat­to rifer­i­men­to ad altre realtà europee (tra cui la Ruhr) che han­no affronta­to, con suc­ces­so, situ­azioni analoghe a quel­la di Piom­bi­no. Il giudizio dei pre­sen­ti è che le pro­poste avan­zate dal Lab­o­ra­to­rio, affi­nate e pre­cisate con il con­trib­u­to del dibat­ti­to, rap­p­re­sen­tano una asso­lu­ta novità e un cam­bi­a­men­to strate­gi­co nel­la ges­tione del­la crisi. Da qui l’invito ad insis­tere, con urgen­za, per risveg­liare una comu­nità stan­ca e sfidu­ci­a­ta dalle troppe promesse non man­tenute.

Lab­o­ra­to­rio delle idee del­la Val di Cor­nia

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