Ma i tunisini non sono stati un incidente di percorso
PIOMBINO 11 maggio 2014 — E dunque la Smc Group, il gruppo arabo degli uomini d’affari giordani Khaled Al Habahbeh e Ali Al Ghammagui e di altri investitori italiani che più volte aveva detto pubblicamente e con grande battage pubblicitario essere pronto all’acquisto della Lucchini, ha annunciato che per circostanze eccezionali la presentazione del gruppo stesso, già rinviata una volta, slitta al 25 giugno. La presentazione era ed è finalizzata a trovare investitori per portare il capitale sociale da 2 milioni di dollari a 2 miliardi di dollari, 1/10 del bilancio dello Stato della Tunisia, utili per l’acquisto dello stabilimento Lucchini per il quale, dice la stessa Smc, le trattative sono ad uno stadio molto avanzato (http://www.smc-gr.com ).
Appare evidente dunque che la nuova data tiene fuori la Smc dall’iter della procedura aperta dal Commissario straordinario Nardi per la vendita della Lucchini, se non altro per un problema di tempi, e dall’altro che ogni ipotesi che legava la ripresa dell’attività dell’altoforno di Piombino alla offerta vincolante della Smc è caduta.
Siamo alla fine di una vicenda che ha avuto un iter almeno stravagante perché non si può non giudicare così l’atteggiamento assunto dal Comune di Piombino e dalle forze politiche locali che hanno legato strettamente vendita Lucchini e “progetto tunisino”, affermando a più riprese che era esso il solo al quale si puntava e si doveva puntare dato che era il più ambizioso ed il più aderente alle esigenze di questo territorio, un’occasione da non farsi scappare.
La cosa veramente strana è che l’entità finanziaria dichiarata, 1,5 miliardi per la parte industriale e 1,5 miliardi ulteriori per la parte commerciale, la sicurezza con cui si dichiarava la remuneratività certa dell’altoforno, l’assenza di qualsiasi serio progetto rendevano l’intenzione assolutamente non credibile così come Stile libero ha più volte scritto in tempi non sospetti (https://www.stileliberonews.org/la-manna-araba-tra-sogni-di-gloria-e-esili-speranze/).
Il fatto è che se al cittadino, oltretutto preoccupato per la perdita del lavoro, tutto può essere permesso ai rappresentanti delle istituzioni pubbliche ed ai partiti politici non è concesso presentare un sogno, forse un desiderio, come un progetto realizzabile. Ed invece è successo.
Questo diventa proprio il quesito politico fondamentale: «Perché è successo?». Domanda non pretestuosa se si vuole analizzare politicamente la vicenda.
Il punto vero è che, mutatis mutandis, non è la prima volta che simili situazioni succedono, cioè situazioni nelle quali proposte, accordi, e chi più ne ha più ne metta, sono stati ritenuti e propagandati come fattibili e poi si sono sgonfiati fino a finire nel nulla.
L’accordo sui fanghi di Bagnoli e quello successivo sul risanamento ambientale ed i relativi sistemi di bonifica, le previsioni urbanistiche corse dietro a progetti siderurgici fuori tempo, il protocollo d’intesa o sarebbe meglio dire i ripetuti protocolli d’intesa sulla 398, il progetto Città futura, porti turistici ed alberghi e strutture ospedaliere fuori dimensione e territorio, le previsioni impossibili del Regolamento urbanistico di Piombino, per fare solo alcuni esempi, hanno seguito la stessa sorte per gigantismo progettuale, per non studiato inserimento nel territorio, per finanziamenti o cofinanziamenti inesistenti, per procedure amministrative o sostanzialmente inattuabili o non in linea con leggi e regolamenti, anzi con l’ambizione di oltrepassarli.
Ma anche sul versante istituzionale la stessa situazione: una pratica che ha annullato qualunque rapporto, condivisione e pratica con i Comuni della Val di Cornia, abolendo perfino il Circondario, mentre si è alimentata una vocazione verso la Provincia di Grosseto proprio mentre era evidente la larga condivisione nazionale per l’abolizione della Province e comunque senza aver preparato un minimo retroterra di rapporti politici ed amministrativi con i Comuni di quella zona per rendere praticabile quella vocazione.
E tutto questo nonostante che fossero state manifestate pubblicamente le incongruenze e le difficoltà, forse, anzi sicuramente, non tutte, di queste enunciazioni spacciate per progetti realizzabili.
Ogni volta si è preferito decidere ciò che con maggiore probabilità sarebbe stato meglio propagandato piuttosto che coinvolgere e raccontare ai cittadini le ragioni delle scelte magari più difficili ma più realizzabili e dei passaggi politici, insomma delle scelte di governo, che dovevano essere traguardate.
La retorica sempre la stessa: Piombino che celebra i suoi fasti di gloria esaltando la sua identità e la sua capacità di innovazione facendone vanto nei contesti regionali, nazionali ed europei.
Esattamente il contrario di ciò che è realmente successo: Piombino e la Val di Cornia hanno abdicato alla loro capacità di elaborazione politica ed istituzionale ed hanno tentato di importare senza la minima riflessione idee nate in altri luoghi ed alla congruenza e fattibilità e persino utilità di esse non hanno minimamente pensato. Più salvifiche si prospettavano all’immaginazione più propagandate erano.
In cosa si sono tradotte è evidente a tutti.
Per l’oggi emergono evidenti i limiti dell’ ultimo accordo e sopratutto della precedente difesa dell’assetto produttivo esistente: l’altoforno è spento, la riconversione produttiva incentrata sulla siderurgia, ovviamente ecosostenibile, vedremo a cosa porterà, il futuro delle nuove infrastrutture portuali tutto da scrivere. Ne abbiamo già parlato abbondantemente (https://www.stileliberonews.org/category/vicenda-lucchini/ ), inutile aggiungere altro.
È vero, le responsabilità non sono solo locali. Si è manifestato un intreccio pernicioso tra i diversi livelli delle istituzioni pubbliche, anche se la situazione che si è verificata non è interamente ben chiara.
È ben chiaro invece il disequilibrio che si è prodotto localmente dentro le istituzioni pubbliche e tra le istituzioni pubbliche e le forze politiche. Nello stesso momento in cui si invocava l’unità di Piombino e della Val di Cornia impegnate in un percorso difficile di fuoriuscita dalla crisi mai la strategia, le tappe, i problemi, le difficoltà sono stati meno discussi nei consessi elettivi dei Comuni. Al massimo qualche comunicazione ma niente di più. Come se il sindaco di Piombino fosse l’unico depositario del saper e del saper fare, investito di questo potere da chissà chi. Si è perseguito questo disegno con continuità e pervicacia nonostante che i plurimi incidenti di percorso indicassero chiaramente che era proprio il percorso quello da discutere e che gli incidenti non erano che tappe di un percorso sbagliato. Al massimo sul destino della siderurgia un rapporto con le organizzazioni sindacali senza capire che se le istituzioni si rinchiudono in questi limiti abdicano alla loro funzione che le vuole rappresentative di qualcosa di più esteso della sola rappresentanza sindacale, limitata per definizione.
Per non parlare delle forze politiche, non solo quelle di maggioranza, che, solo con qualche eccezione, hanno rinunciato alla loro funzione fondamentale che è quella di dare indirizzi e indicare strategie non certo quello di fare da cassa di risonanza dei rappresentanti di qualche istituzione. Qualche osservazione dialettica? Qualche indicazione strategica alla quale pensare? Forse qualche tentativo sporadico ma niente più.
Quando viene annullato o sopito il confronto tra società, politica ed istituzioni, che è il sale della vita democratica, niente si può fare per evitare quei possibili incidenti di percorso che diventato tappe di un percorso sbagliato.
Scoraggiare il confronto o non praticarlo impedisce di essere immuni dal credere in proposizioni e proposte assai poco credibili e di farne addirittura le uniche medicine esistenti per la guarigione, ma senza anticorpi, si sa, non è possibile mantenersi in salute e le medicine possono essere sbagliate.