La città dell’acciaio nell’Archivio Fotografico Lucchini

Piombino e la fabbrica 1940/1990

· Inserito in Bertelli, Sotto la lente
Pino Bertelli

PIOMBINO 24 novem­bre 2015 — (1)

al mio ami­co e mae­stro di vita Don Andrea Gal­lo,
che dice­va: “Il dirit­to del­la forza va com­bat­tuto con la forza del dirit­to”.

« Dietro ad ogni arti­co­lo di ques­ta Cos­ti­tuzione, o gio­vani, voi dovete vedere gio­vani come voi: cadu­ti com­bat­ten­do, fucilati, impic­cati, torturati,morti di fame nei campi di con­cen­tra­men­to, mor­ti in Rus­sia, mor­ti in Africa, mor­ti per le strade di Milano, per le strade di Firen­ze, che han­no dato la vita per­ché la lib­ertà e la gius­tizia potessero essere scritte su ques­ta Car­ta. Dovunque è mor­to un ita-liano per riscattare la lib­ertà e la dig­nità, andate lì, o gio­vani, col pen­siero, per­ché lì è nata la nos­tra Cos­ti­tuzione ».
Piero Cala­man­drei
Dis­cor­so agli stu­den­ti, 1955

Art. 1. L’I­talia è una Repub­bli­ca demo­c­ra­t­i­ca, fon­da­ta sul lavoro.
La sovran­ità appar­tiene al popo­lo, che la eserci­ta nelle forme e nei lim­i­ti del­la Cos­ti­tuzione.

DSC_8165I. Memo­ria e sto­ria del­la cit­tà dell’acciaio
La fotografia è l’alfabeto degli angeli, attra­ver­sa il ven­to del­la sto­ria ed è il mes­sag­gero delle stelle che ci por­ta a non dimen­ti­care… è la man­i­fes­tazione del dolore, del­la gioia, del­la com­pas­sione, del­la fra­ter­nità, dell’accoglienza, del­la felic­ità che appar­tiene agli uomi­ni, alle donne che han­no affronta­to le tem­peste dell’esistenza e com­pre­so lo spir­i­to, l’anima o l’epifania del­la vita gius­ta, del­la vita bel­la, del­la vita buona nel mira­co­lo laico del­la viven­za quo­tid­i­ana… le immag­i­ni pub­bliche e pri­vate di una cit­tà sono anche il suo autori­trat­to.
Il grande Archiv­io Fotografi­co Luc­chi­ni, pre­so in car­i­ca dall’Archivio Stori­co Comu­nale di Piom­bi­no (http://www.comune.piombino.li.it), con­tiene la memo­ria e la sto­ria del­la cit­tà dell’acciaio, del­la cit­tà-fab­bri­ca, del­la gente del fer­ro dagli anni ’40 agli anni ’90. Sono diec­im­i­la immag­i­ni dig­i­tal­iz­zate (di un cor­pus totale di trentami­la)… una topografia visuale di notev­ole spes­sore cul­tur­ale, politi­co e sociale che rac­con­ta i sog­ni, le sper­anze e la dig­nità di un’intera cit­tà lega­ta alle chia­mate del­la sire­na che indi­ca­va i turni di lavoro in fab­bri­ca. Non sap­pi­amo se nell’archivio non ci sono o non sono state anco­ra scan­sion­ate le fotografie dei gran­di scioperi anar­co-sin­da­cal­isti dell’11 o dell’adesione larga al fas­cis­mo dei piom­bi­ne­si… dopo l’8 set­tem­bre 1943 la cit­tà insorse nel­la “Battaglia di Piom­bi­no”… molti gio­vani andarono alla mac­chia e si affran­car­ono alla Resisten­za… offrirono un ele­va­to con­trib­u­to di lotte e vite umane per la con­quista del­la democrazia… nel 2000 il Pres­i­dente del­la Repub­bli­ca Car­lo Azeglio Ciampi ha insigni­to la cit­tà di Piom­bi­no con la Medaglia d’Oro al Val­or Mil­itare.
La cul­tura del fer­ro a Piom­bi­no (Barat­ti), ricor­diamo­lo, risale ai forni etr­uschi. La Mag­o­na d’Italia nasce nel 1864, gli Alti­forni e Fonderie di Piom­bi­no nel 1897. Il com­pi­to del­la fotografia doc­u­men­tarista non è quel­lo di approssi­mar­si alla pro­pa­gan­da ma alla percettibil­ità di una civiltà del­la fat­i­ca che risco­pre l’importanza del cor­po come trac­cia stor­i­ca dell’umanità. La fotografia dell’umano par­la di aurore che han­no bril­la­to nel­la vita comune e di scon­fitte che han­no inseg­na­to che là dove ci sono cadute ci sono anche res­ur­rezioni. La bellez­za fan­ci­ul­la dell’Archivio Luc­chi­ni sog­gio­ga e incan­ta, qual­i­fi­ca l’estetica gen­er­al­iz­za­ta (l’autorevolezza) del lavoro e dei lavo­ra­tori… c’è qual­cosa di prom­e­te­ico in quelle fac­ce aperte all’avvenire e una poten­za delle forme in quelle cat­te­drali di fer­ro che impli­cano ammi­razione e stu­pore.
Per il movi­men­to operaio di Piom­bi­no il fumo delle ciminiere non è sta­to solo pane ma anche un lab­o­ra­to­rio di cul­tura, polit­i­ca, con­di­vi­sione sociale… come si vede nelle fotografie, l’attaccamento delle gen­er­azioni del pri­mo dopoguer­ra alla cit­tà dell’acciaio cor­risponde a qual­cosa d’identitario, fil­iale, anche di scan­zona­to… incar­na­to nel diario quo­tid­i­ano che l’attraversa…… la pesca, le barche a vela, i bal­li alla Lega Navale, il carnevale, i com­mer­cianti, gli arti­giani (e i gran­di scioperi in dife­sa del lavoro)… han­no espres­so la visione forte e bel­la di una popo­lazione schi­va alla servitù, che ha com­bat­tuto per resp­in­gere dap­per­tut­to l’infelicità.
Se entri­amo a “gat­to sel­vag­gio” nel­la messe d’immagini dell’Archivio Luc­chi­ni, com­p­rese le cel­e­brazioni isti­tuzion­ali (per­son­al­ità del­la polit­i­ca, del­la cul­tura, dell’esercito, del­la chiesa… in visi­ta agli sta­bil­i­men­ti), pos­si­amo vedere la ger­mi­nazione di una ritrat­tis­ti­ca corale dove la per­sona è la misura di tutte le cose… inau­gu­razione di appar­ta­men­ti per i dipen­den­ti, scuole pro­fes­sion­ali di ingres­so al lavoro, le befane ai bam­bi­ni, pre­mi­azione degli operai più anziani, la parte­ci­pazione gio­vanile allo sport, alla musi­ca, al teatro, al cin­e­ma… sono con­cate­nati in situ­azioni muni­fiche e tut­to risul­ta in equi­lib­rio con la cosa fotografa­ta. Ogni immag­ine è gravi­da di “sen­so”, di promesse, di sig­ni­fi­cati e diven­ta “seg­no” di un atto futuro.
Nel­la geografia umana del­lo sta­bil­i­men­to ci sono immag­i­ni in con­tro luce di grande impat­to emo­ti­vo… lo sguar­do del fotografo appog­gia la fab­bri­ca sul mare e i fumi delle ciminiere sem­bra­no lunghi capel­li di fate nel ven­to… le case, il por­to, la spi­ag­gia di Ponte d’Oro, la cam­pagna intorno alla fab­bri­ca… ritagliano una fig­u­razione austera (qualche vol­ta anche a col­ori) del­la fil­iera siderur­gi­ca e la lavo­razione dell’acciaio all’interno dei repar­ti intrec­cia stili, linee, forme che vedono l’uomo (e i val­ori del­la sua maes­tria) al cen­tro del rac­con­to visi­vo. La bellez­za dell’operaio che figu­ra la pro­pria vital­ità, con­ferisce alla ritrat­tis­ti­ca che ne con­segue l’innocenza del divenire.
Gli operai fotografati sui luoghi di lavoro fig­u­ra­no una fenom­e­nolo­gia del­la di-gnità… sem­bra­no cari­car­si di ered­ità cul­tur­ali e politiche come som­ma­to­ria di cre­den­ze e nelle pieghe di questo atteggia­men­to voli­ti­vo, qua­si ludi­co, riflet­tono “ciò che rende la vita deg­na di essere vis­su­ta” (Thomas S. Eliot). Il tem­po e lo spazio, la mate­ria e la realtà s’intrecciano sui volti degli operai e si legge, ci sem­bra, il sen­so del rispet­to non solo per il pro­prio lavoro ma anche per la cresci­ta sociale del­la comu­nità. Quan­do si fotografa un uomo e come sta al mon­do, si toc­ca la ver­ità del­la carne e il sangue dei giorni (Friedrich W. Niet­zsche, dice­va).
Cer­to, la polit­i­ca non è sta­ta estranea al des­ti­no del­la popo­lazione, e non sem­pre le deci­sioni prese sono state lungimi­ran­ti, tut­tavia il cam­mi­no è sta­to il medes­i­mo e al di là del bene e del male l’immaginario col­let­ti­vo è sta­to coin­volto nelle scelte del momen­to politico/ideologico… forse la con­sul­tazione più allarga­ta dei cit­ta­di­ni pote­va fare meno dan­ni o evitare incom­pren­sioni, rot­ture, strap­pi pro­fon­di, ferite irri­mar­gin­abili… la sper­an­za ha occhi di infanzie intra­montabili e por­ta con sé il magi­co, il mis­tero e l’ignoto… sa anche che il cam­mi­no ver­so l’inferno è las­tri­ca­to di buone inten­zioni.

DSC_8315-2II. L’autobiografia di una cit­tà attra­ver­so i volti del­la classe opera­ia
Nel rizomario fotografi­co dell’Archivio Luc­chi­ni si pos­sono cogliere sui volti degli operai la mutazione antropo­log­i­ca di una popo­lazione e di una cit­tà… i cam­bi­a­men­ti, i com­por­ta­men­ti, gli atteggia­men­ti, i gesti dis­sem­i­nati in migli­a­ia di immag­i­ni… intro­ducono la fotografia nel­la tenerez­za dei cor­pi che ha fis­sato nel­la vita quo­tid­i­ana… un por­tolano di dif­feren­ze, sguar­di, espres­sioni, pos­ture che esp­ri­mono la sto­ria e la coscien­za di quan­do sognare sig­nifi­ca­va anche vivere e la fab­bri­ca rap­p­re­sen­ta­va una scuo­la cul­tur­ale, polit­i­ca, sociale dove insieme al lavoro si appren­de­va anche il gius­to e l’ingiusto… e i modi per dis­sentire sul tor­to subito o riconoscere la seren­ità che avan­za: è la raf­fig­u­razione dei rit­u­ali che aut­en­tifi­ca l’autobiografia di una cit­tà attra­ver­so i volti del­la classe opera­ia.
Fino agli anni ’60 l’abbecedario fotografi­co (ad uso dei topi da bib­liote­ca) del­la fab­bri­ca è essen­ziale, non pit­tografi­co, sem­mai lega­to alla cin­e­matografia d’impronta social­ista… gli alti­forni, le ciminiere, i gazometri, le gran­di gru, la nasci­ta delle rotaie, le ban­chine del por­to… sono avvolti in un bian­co e nero emozionale che prende alla gola, com­muove, coin­volge, affasci­na… c’è un’immagine stra­or­di­nar­ia dell’ingresso del­la fab­bri­ca che ricor­da la nasci­ta del cin­e­ma con il film dei fratel­li Lumière, L’uscita dalle officine Lumière (1895). Una curiosità… ai pri­mi del Nove­cen­to il cin­e­matografo in Italia era anco­ra ambu­lante e solo poche cit­tà (Tori­no, Roma, Napoli, Firen­ze…) ave­vano delle sale cin­e­matogra­fiche, a Piom­bi­no, nei medes­i­mi tem­pi, c’era il Cin­e­ma Eden (a pianter­reno dell’attuale Alber­go Cen­trale). A propos­i­to del libret­to di Sil­via Aval­lone, Acciaio, Riz­zoli, 2010) e del fil­met­to omon­i­mo di Ste­fano Mor­di­ni, Acciaio (2012), dob­bi­amo dire che gli autori par­lano di cose che non conoscono (o solo in parte)… sem­bra­no non sapere che la let­ter­atu­ra, il cin­e­ma, la fotografia d’impegno civile sono stru­men­ti per leg­gere la realtà (non per tradirla)… sono dis­pos­i­tivi d’interazione tra des­ti­no indi­vid­uale e des­ti­no stori­co. Nel 1964 Ren­zo Rosselli­ni (con la super­vi­sione del padre, Rober­to) gira a Piom­bi­no il docu­film L’età del fer­ro, e mostra che l’eleganza, la grazia, la maniera, lo stile, e, ovvi­a­mente, la grandez­za, albergano nel prin­ci­pio di realtà con­tro il prin­ci­pio di piacere. Non c’è libro, film o fotografia sen­za un’idea che la sosten­ga o la mag­ni­fichi nel dis­pendio cre­ati­vo. La bellez­za con­tiene la gius­tizia, sostenevano gli antichi gre­ci, il resto è mer­ce.
I fotografi dell’Archivio Luc­chi­ni, nelle loro dif­feren­ze stilis­tiche, han­no trasco-lorato la pas­sione sacrale (pagana) per il lavoro di intere gen­er­azioni… ci han­no fat­to com­pren­dere che per i piom­bi­ne­si lavo­rare in fab­bri­ca sig­nifi­ca­va anche stare insieme… e le battaglie per una quo­tid­i­an­ità meno feroce ser­vivano ad inseg­nare qual­cosa, anche quelle per­dute. I costrut­tori di Piom­bi­no… sape­vano che diventare pro­tag­o­nisti del­la pro­pria sto­ria e definire un per­cor­so di vita si-gnifi­ca­va scegliere. I guer­ri­eri d’acciaio piom­bi­ne­si han­no affronta­to crisi, tagli, dolori indi­men­ti­ca­bili… han­no sfida­to la sto­ria che spes­so li con­dan­na­va a malat­tie pro­fes­sion­ali, infor­tu­ni, mor­ti sul lavoro, dis­oc­cu­pazione, licen­zi­a­men­ti forza­ti, migrazione in altri pae­si in cer­ca di nuove pos­si­bil­ità di vivere… sape­vano che la lama del­la sof­feren­za non ha lo stes­so taglio per tut­ti, ma ciò che ai piom-bine­si non ha mai fat­to difet­to è quel­la gioia scon­sid­er­a­ta dell’utopia che non rin­un­cia alla bellez­za del­la ver­ità e del­la gius­tizia e por­ta con sé pro­fu­mi d’eternità… e, come scrive Vic­tor Hugo, il pro­fu­mo dei gel­so­mi­ni può mutare il cor­so delle costel­lazioni.
La doc­u­men­tazione dell’Archivio Luc­chi­ni è metodolog­i­ca, sapi­ente, pro­fes­sio-nale… la cresci­ta del­la fab­bri­ca è fotografa­ta nei min­i­mi det­tagli… costruzioni di capan­noni, strade, sban­ca­men­to di gran­di aree adib­ite a nuove sedi pro­dut­tive rifig­u­ra­no lo sta­bil­i­men­to negli anni ’70… i reportage sul cam­po di cola­ta dell’altoforno, dell’acciaieria, dei treni di lam­i­nazione… sono di una com­pi­utez­za, bellez­za poet­i­ca non soli­ta e nell’inquadrature ambi­en­tate con­feriscono alla figu­ra umana una qualche regal­ità… gli operai sono visti come cav­a­lieri che fecero l’impresa e inter­preti di una cul­tura del lavoro poi per­sa (in parte) con l’automazione delle mac­chine.
L’espansione del­la fab­bri­ca (fine anni ’70) è fotografa­ta in modo diver­so dall’iconografia prece­dente… le immag­i­ni sono altret­tan­to belle, ma più con­cettuali… l’attenzione alle forme è pregev­ole… il det­taglio sos­ti­tu­isce il totale del­la macchi­na e comunque le architet­ture indus­tri­ali assumono più impor­tan­za del­la man­ua-lità dell’uomo. Ci sono fotografie stra­or­di­nar­ie di siviere che bril­lano d’acciaio fuso, rotaie che si allungano tra i cilin­dri di lam­i­nazione, lam­i­nati che ser­peg­giano tra gli operai, treni, fram­men­ti di macchi­nari, man­u­fat­ti, pompe idrauliche, stazioni elet­triche… che por­tano in sé un muta­men­to sociale, antropo­logi­co, mor­fo­logi­co del lavoro e di un’intera cit­tà. Le vis­ite allo sta­bil­i­men­to, le assem­blee sin­da­cali, i tavoli delle trat­ta­tive tra sin­da­cati e azien­da, l’acquisizione del­la fab­bri­ca di Luc­chi­ni… descrivono altri modi di lavo­rare, non sem­pre migliori per gli operai, e al con­tem­po una diver­sa con­sid­er­azione del­la pro­duzione di acciaio e des­ti­nazione dei prodot­ti fini­ti. La realtà in fotografia e dap­per­tut­to è sub­or­di­na­ta a quel­la del sen­so del reale che gli cor­risponde.
Una sequen­za di fotografie a col­ori degli anni ’80 è di una finitez­za espres­si­va sin­go­lare… anco­ra una vol­ta gli operai emer­gono dall’inquadratura (che tut­tavia descrive appieno l’ambientazione) e riflette l’elegiaca poten­za del­la fab­bri­ca… la tenerez­za dei cor­pi è la medes­i­ma del pas­sato, i rossi, i neri, i ver­di… accen­dono l’immaginazione popo­lare e sot­to quei gesti antichi, quelle tute sporche, quel cor­ag­gio dis­sem­i­na­to nel sudore del­la sto­ria… ormai si avvertono i seg­ni mon­tan­ti del sec­o­lo del­la glob­al­iz­zazione e del nuo­vo ordine eco­nom­i­co… gli operai inter­pre­tano una specie di mal­in­co­nia per ciò che non è più e tim­o­re per l’esclusione da un mon­do inca­pace di con­tenere altri mon­di, inca­pace forse di costru­ire un’umanità migliore, più gius­ta e più umana.
Di là da ogni sor­ta di eufo­ria per un pas­sato ormai dimen­ti­ca­to… il gius­to, il bel­lo, il buono fuori­escono dalle immag­i­ni di una cit­tà-fab­bri­ca che cam­bi­a­va volto e si appresta­va ad affrontare l’avanzare del­la moder­nità, non del tut­to cor­rispon­dente ai dis­eg­ni dei nuovi mer­cati dell’acciaio… per mol­ta parte dei piom­bi­ne­si l’acciaio sem­bra­va essere l’unico cam­mi­no che con­duce­va a una vita eti­ca anco­ra lega­ta ai sen­ti­men­ti di accoglien­za, sol­i­da­ri­età, fra­ter­nità… c’è da dire inoltre che una polit­i­ca imprepara­ta (a volte peri­colosa o dis­crim­i­na­to­ria) ha con­dizion­a­to situ­azioni, sog­ni e sper­anze di una cit­tà che ave­va fat­to del lavoro il cro­gi­o­lo di tutte le istanze di lib­ertà e parte­ci­pazione alla cresci­ta del­la democrazia.
L’Archivio Luc­chi­ni (nel­la sua interez­za) è molto più di una dos­solo­gia impor­tante, sig­ni­fica­ti­va, mon­u­men­tale di fotografie… è un atlante di conoscen­ze… una car­tografia visuale che s’identifica inti­ma­mente con i sogget­ti rap­p­re­sen­tati e por­ta alla luce la forza estet­i­ca, eti­ca, del­la gente del fer­ro… i fotografi (non citati, ma in molte immag­i­ni si riconosce lo sguar­do autorev­ole di uno dei più gran­di fotografi indus­tri­ali ital­iani, il piom­bi­nese Lan­do Civili­ni) isolano momen­ti di sto­ria opera­ia e ne con­ser­vano il sig­ni­fi­ca­to… cit­ta­di­ni, operai, imp­ie­gati, diri­gen­ti… sem­bra­no uscire da un album di famiglia… il tem­po nar­ra­to diven­ta stori­co e quan­do è assun­to nel­la memo­ria e nel­la coscien­za sociale con­ser­va ver­ità eterne. La ver­ità non sta in una sola fotografia, ma nell’insieme fan­tas­ti­co che rac­con­ta il roman­zo di una fab­bri­ca e del­la cit­tà, e la ver­ità quan­do cade nel­la fotografia autentica/documentaria esprime il ritrat­to di un’epoca.

Piom­bi­no, dal vico­lo dei gat­ti in amore, 23 volte novem­bre 2015

(1) Il pre­sente arti­co­lo antic­i­pa­to qui per gen­tile con­ces­sione del­l’au­tore sarà pub­bli­ca­to nel gen­naio 2016 nel­la riv­ista FOTOgraphia

(Foto di Pino Bertel­li)

 

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