Piombino oltre quella spiaggia, oltre l’acciaio

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Martina Pietrelli

PIOMBINO 20 aprile 2014 — Da qualche parte, in questi giorni, qual­cuno ha scrit­to che la crisi del­la Luc­chi­ni e la chiusura dell’area a cal­do non è sem­plice­mente un fat­to eco­nom­i­co o indus­tri­ale, ma una rot­tura pro­fon­da nel­la nos­tra iden­tità, un cam­bio di sen­so forse mai vera­mente pen­sato o immag­i­na­to. Più volte, durante le pri­marie, mi era cap­i­ta­to di dire che la dif­fi­coltà nell’affrontare ques­ta crisi non sta­va tan­to o solo negli aspet­ti mate­ri­ali e sociali, che pure sono sig­ni­fica­tivi, ma in quel­li imma­te­ri­ali, emo­tivi e iden­ti­tari, svilup­pati in decen­ni di rap­por­to pro­fon­do e vis­cerale tra la cit­tà e la grande fab­bri­ca. Il dif­fi­cile, io cre­do, stia tut­to lì, nel con­sid­er­are pos­si­bile che quel groviglio di fer­ro che ci por­ti­amo den­tro dal­la nasci­ta e che, nel bene e nel male, che lo si accetti o lo si rifiu­ti, ha seg­na­to in pro­fon­dità quel­lo che siamo, sia arriva­to al capo­lin­ea.
Del resto non pote­va che essere così, di fronte a quell’immagine che ti appare ogni giorno quan­do torni a casa dopo la cur­va del Gag­no. L’altoforno 4, mer­av­iglia del­la tec­ni­ca e dell’ingegneria degli anni ‘70, mes­so lì al cen­tro del­la sce­na, forte, impo­nente, impre­scindibile, come se tut­to il resto delle cose che si trovano dopo, lun­go la stra­da, in fon­do non fos­sero altro che una sua con­seguen­za.
Eppure non è così. Non l’ho mai dimen­ti­ca­to e anzi l’ho sem­pre saputo quan­to fos­se impor­tante per tut­ti noi che ci fos­sero le acciaierie. Cosa ci han­no per­me­s­so di diventare e a quante per­sone han­no dato lavoro e oppor­tu­nità. Ma tra le cose che non dimen­ti­co c’è anche il rumore del­la chi­ave nel­la por­ta di casa, la mat­ti­na presto, quan­do bab­bo tor­na­va dal turno di notte. Per me era un rumore lib­er­a­to­rio, un sospiro di sol­lie­vo, soprat­tut­to quan­do era un po’ in ritar­do e quan­do in fab­bri­ca era da poco mor­to qual­cuno. Più dei fumi, dell’inquinamento, del puz­zo del­la cok­e­ria, dell’assenza di plu­ral­ità nell’economia, era­no gli operai che ogni tan­to mori­vano a lavoro a far­mi capire che ave­va­mo paga­to un prez­zo e rin­un­ci­a­to a qual­cosa per essere quel­lo che erava­mo.
Si dirà: è così per ogni cosa. Ma oggi che l’epilogo del tipo di siderur­gia che abbi­amo conosci­u­to negli ulti­mi 40 anni è vici­no, insieme all’orgoglio, alle lotte, alle battaglie operaie, pen­so che sia gius­to e nec­es­sario riflet­tere anche su quel­lo che abbi­amo sac­ri­fi­ca­to e per­so e non espres­so, per trovare la forza, le risorse e le moti­vazioni per uscire dal­la nos­tra crisi con le nos­tre gambe e con i nos­tri obi­et­tivi. Comunque vada e di qualunque pro­porzione sarà l’aiuto del gov­er­no e delle isti­tuzioni  — e dob­bi­amo tut­ti avere buoni motivi di credere che sarà sig­ni­fica­ti­vo- ricostru­ire il sen­so di ciò che siamo come comu­nità e indi­vid­uare la direzione di mar­cia ver­so la quale andare, non toc­ca nè a Ren­zi, nè a un sin­da­co, nè a qualche sin­da­cal­ista: toc­ca a noi.
Piom­bi­no non è nata dall’altoforno, ma da una serie di cir­costanze nat­u­rali favorevoli che ha saputo sfruttare solo in parte e alle quali oggi deve saper ritornare, in tut­ta la loro plu­ral­ità. Resistere, come abbi­amo fat­to fino ad oggi, serve se abbi­amo un obi­et­ti­vo futuro da rag­giun­gere, un tra­guar­do da tagliare, un oriz­zonte ver­so il quale cam­minare. Altri­men­ti, per parafrasare il tito­lo del roman­zo che ha vin­to l’ultimo pre­mio Stre­ga, non serve a niente. E’ il futuro a dare sen­so alle battaglie del pre­sente, non il pas­sato.
Non avre­mo ver­ità, certezze, o soluzioni pre­cos­ti­tu­ite. Dovre­mo ripen­sare noi stes­si, le nos­tre abi­tu­di­ni, il nos­tro modo di amar­la ques­ta cit­tà, di viver­la, scegliere un pun­to di vista diver­so dal quale guardare le cose. In qualche modo, cre­do, dovre­mo anche tornare alle orig­i­ni. Ecco per­ché oggi scel­go la foto del­la spi­ag­gia di Ponte­doro, dove negli anni ‘50 mia non­na anda­va al mare. E’ sta­ta lei a rac­con­tar­mi che la domeni­ca d’estate attra­ver­sa­vano la fab­bri­ca a pie­di per andar­ci, pran­zo a base di stoc­cafis­so con le patate e bim­bi che cor­re­vano in mare. Lo fac­cio, non per dire che scegliere di sac­ri­fi­care quel pos­to per costru­ir­ci l’altoforno sia sta­to un errore, ma per­ché quel­la sto­ria fa parte del­la nos­tra sto­ria, e mi emoziona, e mi aiu­ta a com­pren­dere il sen­so di quel­lo che Piom­bi­no è sta­ta, è, e può con­tin­uare a essere nel futuro. A dis­pet­to di tut­to e nonos­tante tut­to. Oltre quel­la spi­ag­gia, oltre l’acciaio.   

(Foto di Pino Bertel­li)

Una risposta a “Piombino oltre quella spiaggia, oltre l’acciaio”

  1. Se rimane­va la spi­ag­gia Ponte­doro al pos­to dell’ alfo­forno sarebbe sta­to meglio per tut­ti.

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