Troppi i confini di una riconversione incerta

· Inserito in Vicenda Lucchini
Redazione

PIOMBINO 4 mag­gio 2014 – Gli occhi ed il pen­siero sono ovvi­a­mente pun­tati sui lavo­ra­tori esisten­ti, che andran­no in cas­sa inte­grazione o ai quali saran­no appli­cati con­trat­ti di sol­i­da­ri­età, ed ai gio­vani, dis­oc­cu­pati o stu­den­ti che siano, e al loro futuro incer­to. Pro­prio per questo, dato che non si può non pas­sare da una ricon­ver­sione pro­dut­ti­va del­la Val di Cornia,valutare l’accordo di pro­gram­ma “ dis­ci­plina degli inter­ven­ti per la riqual­i­fi­cazione e la ricon­ver­sione del polo indus­tri­ale di Piom­bi­no” siglato qualche giorno fa da molte isti­tuzioni nazion­ali, region­ali e locali è un dovere ancor pri­ma che un dirit­to. Dal­la sua let­tura sca­tur­iscono i lim­i­ti che in altri arti­coli pub­bli­cati recen­te­mente e meno recen­te­mente da Stile libero sono evi­den­ziati ma emer­gono anche alcune con­sid­er­azioni gen­er­ali che avreb­bero dovu­to cos­ti­tuire la sostan­za di un appro­fon­di­to dibat­ti­to politi­co pub­bli­co che però non vi è sta­to. Il dibat­ti­to pub­bli­co è sta­to sos­ti­tu­ito da annun­ci episod­i­ci e parziali.
L’accordo di pro­gram­ma è per molti aspet­ti una elen­cazione di ipote­si non sor­rette da prog­et­ti sia pur di mas­si­ma e per questo anche quan­do sono sta­bil­i­ti dei finanzi­a­men­ti è molto dub­bio che rispon­dano ad esi­gen­ze reali, quelle capaci di trasfor­mar­li in real­iz­zazioni. Addirit­tura è pos­si­bile che in alcu­ni siano ecces­sivi ed in altri insuf­fi­ci­en­ti, larghissi­ma­mente insuf­fi­ci­en­ti. Può anche dar­si che siano intera­mente spe­si, ma nes­sun ele­men­to oggi esiste per dirci che sarà sicu­ra­mente così. E i dub­bi sono più che legit­ti­mi.
Un accor­do di pro­gram­ma, che ha l’ambizione di rilan­cia­re l’economia di una zona come la Val di Cor­nia attra­ver­so la pos­si­bil­ità che a Piom­bi­no pos­sa ripren­dere entro due tre anni la pro­duzione di acciaio di qual­ità (il pres­i­dente Rossi ha det­to ghisa e acciaio), in una situ­azione di ricon­ver­sione ecososteni­bile del sito e di svilup­po del por­to sopratut­to ai fini del­lo sman­tel­la­men­to navi (rifiu­ti peri­colosi li definisce l’ Unione Euro­pea) non può essere con­sid­er­a­to come nor­male ammin­is­trazione. Tan­tomeno trat­ta­to come una scelta che non meri­ta nem­meno una dis­cus­sione. Pren­dere o las­cia­re.
Ed invero una dis­cus­sione all’altezza dei prob­le­mi non è avvenu­ta. La doman­da sul tipo di svilup­po da immag­inare per ques­ta zona, doman­da ine­ludi­bile data la situ­azione di gravis­si­ma crisi attuale, è sta­ta elusa e la con­seguen­za è che comunque una scelta pre­cisa nell’accordo c’è ma non sostenu­ta da un nec­es­sario ed esplic­i­to con­fron­to pub­bli­co.
La scelta è quel­la di puntare in asso­lu­ta pri­or­ità sul­la pro­duzione di acciaio ed in questo sen­so è sta­to persi­no coer­ente, colpevol­mente coer­ente, l’aver imp­ie­ga­to tem­po ed energie per man­tenere in vita un alto­forno che non pote­va essere tenu­to in vita o un ciclo inte­grale strut­tural­mente impro­dut­ti­vo. Cosa che ave­va scrit­to perfi­no la Regione Toscana, non da sola, nel­la Boz­za di Prog­et­to di ricon­ver­sione e riqual­i­fi­cazione indus­tri­ale dell’area di Piom­bi­no (per leg­gere clic­ca qui).
Eppure la doman­da dove­va essere fat­ta se non altro per vedere davvero cosa sta e cosa non sta nel mer­ca­to pre­sente e futuro, dei prodot­ti siderur­gi­ci ma non solo, e per esam­inare le pos­si­bil­ità che da altri set­tori pro­dut­tivi pos­sono sca­turire. Mag­a­ri sarebbe emer­so che sarebbe sta­to meglio uti­liz­zare più mas­s­ic­cia­mente e profi­cua­mente, mag­a­ri dis­toglien­doli da altri scopi, i finanzi­a­men­ti pub­bli­ci per le infra­strut­ture telem­atiche, fer­roviarie e viarie fon­da­men­tali e per la mes­sa in sicurez­za e la bonifi­ca al fine di real­iz­zare zone pro­dut­tive ben attrez­zate da met­tere a dis­po­sizione di nuove attiv­ità o mag­a­ri per la riscop­er­ta dei beni cul­tur­ali (non fan­no a caz­zot­ti con il pas­sato e con la cul­tura indus­tri­ale, anzi), dei beni nat­u­rali e del tur­is­mo e dell’agricoltura dove esistono poten­zial­ità da non dis­met­tere, anzi da met­tere a val­ore ed intrec­cia­re con ricer­ca e svilup­po e spir­i­to impren­di­to­ri­ale. Sicu­ra­mente non sareb­bero state trascu­rate altre situ­azioni para­dos­sali come quel­la del­la pre­sen­za di una cen­trale ter­molelet­tri­ca prati­ca­mente in dis­u­so e del rel­a­ti­vo por­to inuti­liz­za­to e si sarebbe trova­to il cor­ag­gio di affrontare un prob­le­ma dif­fi­cile ma da non nascon­dere come cenere sot­to il tap­peto. E ci si sarebbe chi­esti come ripren­dere l’idea di ridurre le attiv­ità delle cave ricom­pren­den­do e risol­ven­do i prob­le­mi occu­pazion­ali in un più com­p­lesso prog­et­to di risana­men­to ambi­en­tale non cer­to sconosci­u­to ma ad oggi clam­orosa­mente inat­tua­to.
La sen­sazione che si ha è che, pur par­tendo dal­la gius­ta con­di­vi­sone dell’esigenza di una ricon­ver­sione pro­dut­ti­va del ter­ri­to­rio, non si sia avu­to il cor­ag­gio di guardare al di là dei con­fi­ni del ter­ri­to­rio e, in nome di una pre­sen­za mas­s­ic­cia­mente pre­pon­der­ante del man­i­fat­turiero stori­ca­mente dato da man­tenere, si sia scel­to di non aprir­si ad un futuro diver­so e per questo non si sia fat­to i con­ti sia con la plu­ral­ità del mer­ca­to sia con la plu­ral­ità delle pos­si­bili politiche pub­bliche. E non si sia fat­to i con­ti con un mon­do aper­to per con­cepire ques­ta aper­tu­ra come una oppor­tu­nità non come un con­dizion­a­men­to ostile.
Vedremo cosa suc­ced­erà speran­do che si pos­sa riaprire lo spazio ed il tem­po per una sim­i­le rif­les­sione.

(Foto di Pino Bertel­li)

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