Un no dalla parte dei diritti e della democrazia

pervenuta in redazione

PIOMBINO 29 novem­bre 2016 — In ques­ta cam­pagna ref­er­en­daria, irre­spon­s­abil­mente trasfor­ma­ta in una grave lac­er­azione del Paese, il mon­do dell’informazione ha assun­to preva­len­te­mente un atteggia­men­to fil­o­gov­er­na­ti­vo, dan­do spazio spes­so in modo acriti­co agli slo­gan facili e sem­plicis­ti­ci, alla dem­a­gogia del risparmio e del­la sem­pli­fi­cazione, alla mist­i­fi­cazione del­la gov­ern­abil­ità e del­la veloc­ità. In realtà siamo di fronte a una rifor­ma che costerà di più ai cit­ta­di­ni in ter­mi­ni di dirit­ti e che ridur­rà gli spazi di democrazia, destrut­turan­do il par­la­men­to, inde­bolen­do gli organi di garanzia, colpen­do il dirit­to di voto e mor­ti­f­i­can­do le autonomie locali. Si è trascu­ra­to il sig­ni­fi­ca­to stori­co di questo pas­sag­gio, la neces­sità di un approc­cio con­di­vi­so al tema cos­ti­tuzionale. La Cos­ti­tuzione non si può cam­biare a colpi di mag­gio­ran­za, né sot­to det­tatu­ra del gov­er­no o di una parte polit­i­ca. Essa deve essere il frut­to di un proces­so con­di­vi­so, come è sta­to all’origine del­la Repub­bli­ca: chi par­la di “accoz­za­glia” dimen­ti­ca che le regole devono essere comu­ni, riconosciute dai diver­si schiera­men­ti e non imposte dal più forte.
Bisogna par­tire dalle vere moti­vazioni che Ren­zi e Boschi dichiararono all’inizio, quan­do pre­sen­tarono il dis­eg­no di legge: la Cos­ti­tuzione – dis­sero — deve cambiare a causa delle «sfide dell’internazionalizzazione dell’economia e dal muta­to con­testo del­la com­pe­tizione globale». Dunque una Repub­bli­ca che obbe­disce alle leg­gi del mer­ca­to e dei poteri for­ti e non più ai bisog­ni dei cit­ta­di­ni. Ques­ta rifor­ma è una brut­ta deri­va post­de­mo­c­ra­t­i­ca, che crea un quadro favorev­ole all’ulteriore riduzione delle tutele dei lavo­ra­tori e alla pri­va­tiz­zazione dei servizi e delle risorse pub­bliche. Tut­to il resto sono dis­cor­si buoni solo a cer­care con­sen­so, pub­blic­ità ingan­nev­ole a par­tire dal que­si­to ref­er­en­dario, che sem­bra fat­to appos­ta per con­fondere gli elet­tori.
Le moti­vazioni e i con­tenu­ti del­la rifor­ma spin­gono le coscien­ze demo­c­ra­tiche a votare no, per resp­in­gere il ten­ta­ti­vo di con­cen­trare il potere nelle mani di pochi, per con­tare di più, per difend­ere i servizi e i val­ori di lib­ertà su cui si fon­da l’attuale Cos­ti­tuzione. I veri prob­le­mi dell’Italia — dis­oc­cu­pazione, cor­ruzione, eva­sione fis­cale, scarsa moral­ità, con­flit­ti d’interesse, ambi­ente, dimin­uzione dei dirit­ti sociali – non dipen­dono dal­la Cos­ti­tuzione, ma da una classe polit­i­ca inadegua­ta. Bisogna dire no a una rifor­ma che apre sce­nari pre­oc­cu­pan­ti: non supera il bicam­er­al­is­mo, rende più con­fu­so l’iter leg­isla­ti­vo, diminuisce la rap­p­re­sen­tan­za e la parte­ci­pazione. Dall’esito del ref­er­en­dum dipen­derà dunque il futuro del­la nos­tra democrazia: se met­tere il gov­er­no nelle mani dell’economia e del­la finan­za oppure, votan­do no, rilan­cia­re il val­ore del­la sovran­ità popo­lare e del par­la­men­to come affer­ma­to dal­la Cos­ti­tuzione fon­da­ta sul lavoro.

Rossano Paz­za­gli, Coor­di­na­tore del Comi­ta­to Salvi­amo la Cos­ti­tuzione

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