Un quasi fallimento e un futuro inquietante

Paolo Benesperi

PIOMBINO 15 novem­bre 2013 — Quel­lo del­la Luc­chi­ni è un fal­li­men­to for­mal­mente e pro­ce­du­ral­mente in cor­so
(http://www.lucchiniamministrazionestraordinaria.it). Quel­la del ter­ri­to­rio e dei suoi abi­tan­ti una crisi dai con­torni inqui­etan­ti. Nat­u­ral­mente oggi gli ammor­tiz­za­tori sociali aiu­tano ed assistono ma in realtà dovreb­bero servire per traghettare un pas­sag­gio da un dis­e­qui­lib­rio ad un equi­lib­rio o forse da un dis­e­qui­lib­rio mag­giore ad un dis­e­qui­lib­rio minore, non cer­to per la soprav­viven­za eter­na, anche se in Italia il loro uso è così assis­ten­ziale che pro­prio di ques­ta sono sinon­i­mo. Se n’è accor­to recen­te­mente anche il Min­istro del lavoro, Enri­co Gio­van­ni­ni.
Il Com­mis­sario stra­or­di­nario Piero Nar­di l’ha scrit­to chiaro e ton­do:

  • il ciclo a cal­do a Piom­bi­no man­ca di alcu­ni impianti e, alle attuali con­dizioni, pre­sen­ta un gap neg­a­ti­vo molto ele­va­to rispet­to a strut­ture a ciclo inte­grale com­pa­ra­bili per dimen­sioni e volu­mi di pro­duzione,
  • il 70% del­la pro­duzione di Piom­bi­no si con­fronta sul mer­ca­to con pro­dut­tori da forno elet­tri­co, più flessibili e legati al cos­to del rot­tame che prati­ca­mente sem­pre negli ulti­mi 25 anni è sta­to infe­ri­ore al cos­to dei min­er­ali,
  • negli ulti­mi cinque anni la Luc­chi­ni ha sof­fer­to di caren­ze come volu­mi di pro­duzione bassi, solo una mod­es­ta parte di prodot­ti a mar­gine pos­i­ti­vo, con­cor­ren­za del forno elet­tri­co più com­pet­i­ti­vo,
  • l’alto­forno è a fine cor­sa tec­ni­ca,
  • l’im­pat­to eco­nom­i­co delle pre­scrizioni AIA e delle leg­gi ambi­en­tali è sem­pre più pesante per il ciclo inte­grale.

L’azien­da è strut­tural­mente in perdi­ta e dunque va ven­du­ta.
Che ci sia qual­cuno che la vuole pren­dere così come è è un puro sog­no.
Dunque si andrà ad una riduzione le cui dimen­sioni è dif­fi­cile prevedere ma comunque con­sis­ten­ti.
Di qui la giuste pre­oc­cu­pazioni per soluzioni che can­celli­no il tradizionale forte pre­sidio indus­tri­ale e la neces­sità di pen­sare a un proces­so di rein­dus­tri­al­iz­zazione che si occu­pi del futuro del­la Luc­chi­ni ma anche delle crit­ic­ità e delle poten­zial­ità del­l’in­tero ter­ri­to­rio.
Ma qui arrivano i prob­le­mi.
Come in molti altri casi è già scat­ta­to il rif­lesso con­dizion­a­to che tan­ti guai ha fat­to nel­la sto­ria d’I­talia dal­la metà degli anni ’70 in poi, quel­lo del­l’in­ter­ven­to finanziario pub­bli­co per prog­et­ti non sostenu­ti impren­di­to­rial­mente, non capen­do che l’in­ter­ven­to pub­bli­co è spes­so utile ma solo a sosteg­no di un prog­et­to che comunque sta in pie­di finanziari­a­mente ed eco­nomi­ca­mente. La log­i­ca dei presti­ti del­la Ban­ca Euro­pea degli Inves­ti­men­ti è ques­ta mica altro, quel­la delle sovven­zioni europee per ricer­ca e svilup­po poi con­siste nel sosteg­no a esper­i­men­ti e pro­totipi, mica nel­la indus­tri­al­iz­zazione di ciò che è già sta­to sper­i­men­ta­to ed appli­ca­to. Qui invece non solo si immag­i­nano soluzioni che in Europa non sono più pos­si­bili da anni (nem­meno ai tem­pi del Com­mis­sario Eti­enne Davi­gnon era­no pos­si­bili), ma addirit­tura si pen­sa di far pas­sare come ricer­ca e svilup­po soluzioni tec­no­logiche vec­chie di tren­t’an­ni e già indus­trial­mente real­iz­zate nel mon­do, per non par­lare del­la ricom­parsa del­l’idea di aziende miste pubblico/privato che era­no da riten­er­si morte e sepolte. E da non resus­citare.
ragazza e crisiPer non par­lare del prog­et­to di costruzione del, sot­to­lineiamo l’u­so del­la locuzione “del” non del­la locuzione “ di un”, polo europeo del­la rot­ta­mazione navi che viene mes­so in mano ad un ente pub­bli­co come l’Au­torità por­tuale, facen­do fin­ta di non sapere che esso ha una valen­za impren­di­to­ri­ale che solo un oper­a­tore pri­va­to può val­utare. Tan­t’è che sarebbe più gius­to par­lare, così dice il tan­to cita­to Rego­la­men­to europeo in fieri (per leg­gere clic­ca qui), di impianto di rici­clag­gio navi e di impre­sa di rici­clag­gio. A parte il fat­to che nes­suna isti­tuzione, nem­meno l’U­nione Euro­pea, può decidere dove sarà un qual­si­asi impianto di rici­clag­gio navi sal­vo sta­bilirne i req­ui­si­ti, forse l’Au­torità por­tuale dovrebbe pri­or­i­tari­a­mente capire bene se le opere infra­strut­turali da real­iz­zare in virtù del­l’at­tuale finanzi­a­men­to pub­bli­co sono in sin­to­nia e coer­en­ti con un even­tuale prog­et­to per un impianto per la rot­ta­mazione delle navi. Ed anche se sono coer­en­ti con l’al­tret­tan­to even­tuale, anche se improb­a­bile, arri­vo del­la Cos­ta Con­cor­dia, che per­al­tro nes­sun ente pub­bli­co può decidere d’im­pe­rio dove vada, stante il fat­to che si trat­ta di un rifi­u­to spe­ciale, anzi sarebbe meglio dire esplici­ta­mente peri­coloso.
C’è insom­ma in aria un acre sapore di statal­is­mo e di dirigis­mo che la realtà non può non met­tere in dis­cus­sione.
Ciò che non con­vince poi è l’estem­po­raneità delle pro­poste, qua­si che ques­ta non sia sta­ta la cifra pro­prio di questi ulti­mi anni durante i quali sono emerse e sono cadute una dietro l’al­tra tutte le idee salv­i­fiche annun­ci­ate (fanghi di Bag­no­li, ristrut­turazione e svilup­po del­lo sta­bil­i­men­to Luc­chi­ni addirit­tura con nuove pro­duzioni, accor­di di pro­gram­ma ambi­en­tali ed infra­strut­turali e chi più ne ha più ne met­ta). C’è una ragione? Forse molte ma sicu­ra­mente una che ha una spic­ca­ta con­no­tazione polit­i­ca: la man­can­za di elab­o­razione autono­ma locale dal­la quale con­segue l’estem­po­raneità e la non volon­tà di mis­urar­si con le com­pat­i­bil­ità eco­nomiche e giuridiche che è il modo migliore per deragliare.
E questo atteggia­men­to ha fat­to perdere molto tem­po tan­t’è che oggi ci si tro­va sen­za un prog­et­to d’area e sen­za pro­poste impren­di­to­ri­ali.
Dif­fi­cile a questo pun­to indi­care vie di soluzione ma in ogni caso non andrebbe per­sa l’op­por­tu­nità del­la definizione di Piom­bi­no come area di crisi e uti­liz­zare le pos­si­bil­ità che da essa pos­sono sca­turire, anche se il modo in cui è sta­ta gesti­ta, in questo intrec­cio taci­u­to ma pre­sente tra accogli­men­to del­la Cos­ta Con­cor­dia e crisi siderur­gi­ca, ha fat­to perdere l’oc­ca­sione di met­tere in cam­po quelle anal­isi dalle quali le even­tu­ali pro­poste sareb­bero sta­to gius­tifi­cate un po’ più com­pi­u­ta­mente. E avrebbe per­me­s­so di osser­vare a 360 gra­di tut­to il ter­ri­to­rio con i suoi pun­ti forza e quel­li di debolez­za.
A questo pun­to, sen­za immag­inare l’im­pos­si­bile, non res­ta che par­tire da ciò che man­ca per dare com­pet­i­tiv­ità a qualunque inizia­ti­va impren­di­to­ri­ale, sia essa la pro­duzione di ener­gia elet­tri­ca a costi minori oppure l’adegua­men­to delle infra­strut­ture con prog­et­ti real­iz­z­abili o il recu­pero di aree già indus­tri­ali attra­ver­so la bonifi­ca e la con­seguente mes­sa a dis­po­sizione di inno­v­a­tive start-up e di imp­rese vere già esisten­ti. Vere, non cer­to servizi pub­bli­ci locali ai quali viene la bramosia di trascu­rare il loro mestiere per farne un’al­tro che non pos­sono e non devono fare. E sem­pre con l’at­teggia­men­to di chi con­sid­era il finanzi­a­men­to pub­bli­co come l’aiu­to non come la soluzione. Insom­ma non l’e­len­co del­la spe­sa con poste di bilan­cio fat­te di un elen­co di leg­gi ma uno o due, comunque pochissi­mi, ful­cri su cui pog­gia­re con­tenu­tis­ti­ca­mente e finanziari­a­mente.
È vero, i tem­pi stret­ti ai quali la situ­azione costringe com­pli­cano ter­ri­bil­mente tut­ta la fac­cen­da, ma immag­inare soluzioni come quel­la di con­tin­uare a pro­durre col ciclo inte­grale non solo nelle more del­l’e­s­ple­ta­men­to delle pro­ce­dure di ven­di­ta del­lo sta­bil­i­men­to ma addirit­tura fino al momen­to del­la costruzione di nuovi impianti che stan­no ad oggi solo nei desideri dà l’im­pres­sione di con­tin­uare nel­la stra­da che ha por­ta­to al cul-de-sac attuale. Meglio final­mente met­tere la pal­la al cen­tro e pen­sare ad una organ­i­ca rein­dus­tri­al­iz­zazione con den­tro quel­la ricon­ver­sione delle risorse umane che ne deve fare da sup­por­to. Prob­le­ma la cui soluzione non è affat­to sem­plice ma cer­ta­mente pos­si­bile ammes­so che non si pen­si di risolver­la con qualche cor­so di for­mazione con­tin­ua o poco più o ritenere che in fin dei con­ti la cas­sa inte­grazione è già un ammor­tiz­za­tore sociale suf­fi­ciente.

(Foto di Pino Bertel­li)

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