Un “Tavolo” nel giardino per unire culture lontane

· Inserito in Sotto la lente

Li salu­tavi per le scale e neanche ti rispon­de­vano; solo dopo abbi­amo capi­to che non era­no male­d­u­cati, sem­plice­mente non capi­vano quel­lo che stava­mo loro dicen­do: conosce­vano solo la pro­pria lin­gua”.
La sto­ria inizia così dall’incomunicabilità vis­su­ta sui pianerot­toli ma anche per le strade del Cotone e del Pogget­to, frazioni storiche del Comune dove  col tem­po si sono con­cen­trate diverse famiglie di immi­grati.
Quelle local­ità, qua­si immerse nel­la fab­bri­ca, popo­late in prevalen­za da operai, con­ser­vano nel­la loro tradizione val­ori impor­tan­ti, con­sol­i­dati dalle dif­fi­coltà e arric­chi­ti dal­la con­sapev­olez­za che, come dice­va don Loren­zo Milani,  “sor­tirne tut­ti insieme è la polit­i­ca”.
Era pres­soché scon­ta­to che una realtà del genere non si arren­desse alle dif­feren­ze, alle cul­ture spes­so lon­tane, alle espe­rien­ze mat­u­rate in con­testi sconosciu­ti. Non un cam­mi­no facile ma una lun­ga serie di mat­tonci­ni sis­temati giorno per giorno in un puz­zle infini­to, per­al­tro in eter­na costruzione. Fotogram­mi  del “Bal­la coi lupi” di Kevin Cost­ner e di Michael Blake vis­sute giorno dopo giorno con pazien­za e perfi­no con curiosità.
Non stupisce che l’approccio sia venu­to attra­ver­so le donne del quartiere. Soprat­tut­to due donne che ad un cer­to pun­to si sono doman­date “per­ché?”.  Per­ché non provar­ci, per­ché non riu­nire una comu­nità che sta cam­bian­do con pre­sen­ze nuove dove comunque i bam­bi­ni degli uni fre­quen­ta­vano le scuole degli altri, di col­oro che qui era­no nati e vive­vano da sem­pre. Che le strade degli uni era­no le strade degli altri.
Si chia­ma Maria, è una mam­ma, se la sen­ti par­lare capis­ci che per gli altri non è sta­to dif­fi­cile fidar­si e con lei muo­vere i pri­mi pas­si per­ché anche i cosid­det­ti immi­grati, lon­tani dalle loro case e spes­so dai loro affet­ti, han­no comunque bisog­no di fidar­si e di con­fi­dar­si. I pri­mi lenti approc­ci da don­na a don­na fino alla novità più recente: Maria stu­dia l’arabo. Forse non ci avrebbe mai pen­sato ma così è. Una scuo­la, per­ché la scuo­la è sem­pre la mol­la di tut­to, è nata per inseg­nare l’arabo ai bam­bi­ni che, cresciu­ti in Italia, forse non lo avreb­bero mai impara­to. E in quel­la scuo­la – esem­pio mas­si­mo del fat­to che comunque l’incontro è sem­pre un dare ed un rice­vere – c’è anche chi impara dai nuovi arrivati.
Dice Ele­na, l’altra don­na pro­tag­o­nista del cam­mi­no e dei suoi pri­mi pas­si, io sono ami­ca di Maria e con lei abbi­amo par­la­to spes­so del prob­le­ma dell’integrazione nel quartiere. Ele­na è un’insegnante e il suo ruo­lo è sta­to deter­mi­nante per molte inizia­tive, per esem­pio per i cor­si di ital­iano.
Come dice­va­mo, col tem­po, i rap­por­ti forse più pro­fon­di siano nati pro­pria dall’incontro con le donne. Maria e Ele­na han­no un’amica di cui par­lano con ammi­razione. Par­la l’ ara­ba e por­ta il velo. Il suo volto lo conoscono loro e le altre donne islamiche del quartiere e di recente anche i bam­bi­ni che fre­quen­tano la stes­sa scuo­la del figlio del­la sig­no­ra musul­mana. Ci rac­con­tano di col­lo­qui di ogni genere anche su prob­le­mi reli­giosi che non sono tra i più facili. Nel­la con­di­vi­sione e nel­la toller­an­za si è arrivati al giorno in cui Maria ha rice­vu­to un Cora­no. E non è cer­to un rega­lo da poco per un musul­mano che vuole donare qual­cosa ad un cris­tiano.
E’ sta­to rispet­ta­to più che toller­a­to il ruo­lo che gli uomi­ni immi­grati han­no sem­pre avu­to e assun­to in ogni momen­to del­la vita col­let­ti­va tra le comu­nità del quartiere.  Ma sono sta­ti altresì vis­su­ti come una con­quista ogni pic­co­lo pas­so ed ogni min­i­ma cresci­ta. Non è poca cosa, ad esem­pio,  ascoltare la rin­un­cia di un mar­i­to che invi­ta la moglie ad andare da sola alle vis­ite dal­la gine­colo­ga per­ché “tan­to io che ven­go a fare”.
C’è un pic­co­lo gia­rdi­no non lon­tano dalle mura del­la fab­bri­ca al Cotone e quel­la è oggi la sede del “Tavo­lo”.
Il “Tavo­lo” è la sin­te­si di tut­to il lavoro che viene fat­to giorno dopo giorno, il luo­go delle riu­nioni, delle deci­sioni e delle con­di­vi­sioni, la sede dell’incontro dell’uno e dell’altro, l’appuntamento dei pri­mi timi­di approc­ci. Oggi il “Tavo­lo” è anche una con­quista. Lì abbi­amo anche noi incon­tra­to i volon­tari che han­no rac­con­ta­to la loro sto­ria ed il loro lavoro men­tre bam­bi­ni prove­ni­en­ti da pae­si lon­tani intan­to gio­ca­vano tut­to intorno e spes­so, tra un tiro in por­ta e l’altro, veni­vano a riposar­si tra le ginoc­chia di Rober­to, di Pao­lo, di Mil­vio.

Una risposta a “Un “Tavolo” nel giardino per unire culture lontane”

  1. Gra­zie per il bel­l’ar­ti­co­lo: è davvero ben scrit­to e ripor­ta tut­to il calore e l’amore con cui vivi­amo la nos­tra espe­rien­za: una realtà viva e vis­su­ta che aspet­ta solo di essere con­di­visa ed arric­chi­ta di altre sto­rie.

Commenta il post