Una domenica mattina a Campiglia…ottobre 1912

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Maria Cristina Janssen

CAMPIGLIA MARITTIMA 3 otto­bre 2018La pri­ma vol­ta che sono arriva­ta a Campiglia Marit­ti­ma mi ha col­pi­to una lapi­de pos­ta in Piaz­za del­la Repub­bli­ca, la piaz­za cen­trale del bor­go: ded­i­ca­ta all’anarchico Fran­cis­co Fer­rer, con un testo abbas­tan­za crip­ti­co, una data — 13 otto­bre 1909 -, e la fir­ma del­la Fed­er­azione Anar­chi­ca Ital­iana con tan­to di “fiac­co­la dell’anarchia”!
Mi sono appas­sion­a­ta a rin­trac­cia­re la sto­ria del­la lapi­de, posa­ta il 13 otto­bre 1912 a tre anni dall’assassinio del libero pen­satore cata­lano, attra­ver­so doc­u­men­ti d’epoca, la riv­ista “Il Martel­lo” del­la Cam­era del Lavoro di Piom­bi­no, e sag­gi stori­ci. La lapi­de rimase fino all’avvento del fas­cis­mo nel 1922, quan­do è sta­ta rimossa e dis­trut­ta. Nel 1946, dopo la Lib­er­azione, la lapi­de è sta­ta rifat­ta e ricol­lo­ca­ta il 13 otto­bre.
I fat­ti pre­sen­tati nel mio breve rac­con­to sono tut­ti doc­u­men­tati. Nedo, Nora e i per­son­ag­gi pre­sen­tati con il nome pro­prio sono l’incontro tra la mia fan­ta­sia e le tes­ti­mo­ni­anze storiche. Uni­ca impre­ci­sione: l’ora del­la man­i­fes­tazione non era alle 10.30, ma alle 16.00. Spero che i let­tori e le let­tri­ci non me ne vogliano.

13 otto­bre 1912, ore 6.10. Nedo immag­i­na l’aurora. Soc­chi­ude gli occhi cis­posi e si rigi­ra nel let­to sfat­to da una notte agi­ta­ta. È com­bat­tuto tra il ten­ta­ti­vo di pren­dere son­no anco­ra per un po’, e il deside­rio che il nuo­vo giorno inizi. Sarà lui, insieme ai suoi com­pag­ni uno dei pro­tag­o­nisti del­la gior­na­ta. Nei pen­sieri mat­tuti­ni, anco­ra sospe­so tra il son­no e la veg­lia, riper­corre l’attesa di questo giorno, le accese dis­cus­sioni con i com­pag­ni per scegliere le parole più inci­sive, l’emozione di vedere il lavoro del marmista ter­mi­na­to. Ripen­sa a quel­la morte ingius­ta.
La morte, è vero, arri­va per tut­ti, e Nedo ne ha già vis­sute molte da vici­no, nonos­tante i suoi 25 anni. Anziani par­en­ti, il fratel­lo più pic­co­lo, le gio­vani donne morte di par­to, i mina­tori col­pi­ti da crol­li improvvisi o dal veleno che cor­rode i pol­moni.
E cosa dire del vec­chio Sirio che si è spen­to in piaz­za gius­to la set­ti­mana scor­sa, come se quel­lo fos­se il suo ulti­mo dovere, arrivare fino alla piaz­za, il cen­tro del­la vita di una cit­tad­i­na di mina­tori e poveri arti­giani, di com­mer­cianti e ric­chi pro­pri­etari ter­ri­eri. Un atti­mo dopo il cuore si fer­ma, con uno spas­mo, e intorno a lui si for­ma una pic­co­la fol­la incredu­la nel vedere svanire una vita così, sem­plice­mente, qua­si sen­za sfor­zo.
Ma quel­la morte no, la fucilazione di un uomo per colpire le sue idee, gli fa ribol­lire il sangue. Il dolore si è trasfor­ma­to in neces­sità di memo­ria. La memo­ria non sana le ferite di chi ha per­so una gui­da, un mae­stro, ma è l’unico modo per non soc­combere alla dis­per­azione.
Bas­ta, il son­no non riesce più a cullare i pen­sieri not­turni e a dare riposo, tan­to vale sveg­liar­si del tut­to, affrontare il giorno. Il chiarore del mat­ti­no, immag­i­na­to al cal­do del let­to, fat­i­ca a far­si largo tra le tene­bre, a otto­bre le gior­nate non nascono impazi­en­ti e pre­co­ci, nascono con cal­ma, las­cian­do più spazio e più tem­po al buio del­la notte.

Ore 6.40. Facen­do atten­zione a non sveg­liare gli altri abi­tan­ti del­la casa, Nedo si sti­ra e cer­ca il cati­no con l’acqua per sci­ac­quar­si il volto. Ecco, ora si è sveg­lia­to del tut­to! I vesti­ti da indos­sare sono già pron­ti lì, sul­la sedia impagli­a­ta, dal­la sera pri­ma: il suo vesti­to buono, l’unico in realtà, con la cam­i­ci­o­la bian­ca, sti­ra­ta, pronta per spic­care in mez­zo allo scuro del giac­chet­to e al nero del fioc­co. Il suo fioc­co nero, l’orgoglio di indos­sar­lo pro­prio oggi, seg­no dis­tin­ti­vo di una voglia di roves­cia­re il mon­do. E poi il cap­pel­lo, scuro anche quel­lo, anche se più sci­u­pa­to, il copr­i­capo dei giorni di gre­cale e di tra­mon­tana, del­la piog­gia bat­tente e di quel­la uggiosa, il cap­pel­lo di tut­ti i giorni, via.

Ore 7.00. Il cam­panile a vela di Palaz­zo Pre­to­rio bat­te le sette, Nedo but­ta giù veloce il caf­fè prepara­to dal­la madre che lo ha sen­ti­to alzarsi, nonos­tante i suoi sforzi per non sveg­liar­la, e poi esce. Imboc­ca il vico­lo di casa, chiam­a­to non a caso Via Cor­ta, per svoltare qua­si subito in Via Gori. È diret­to ver­so piaz­za Mazz­i­ni, dove lo atten­dono i suoi com­pag­ni.
Giuseppe, Astorre, e il Van­ni ci sono già, da lon­tano scorge Ange­lo e Vilio, gli altri arriver­an­no con il car­ret­to che por­ta il mar­mo e gli arne­si per posar­lo.
Chissà quan­ti arriver­an­no più tar­di per la man­i­fes­tazione e il comizio? Ci saran­no ora­tori illus­tri, la ban­da, i com­pag­ni dei vari cir­coli … E Nora? Oggi che è domeni­ca rius­cirà a venire anche lei su a Campiglia?
Nora. L’ha conosci­u­ta ad una man­i­fes­tazione delle fonderie, sono scese in piaz­za anche le donne, si sono orga­niz­zate tra loro, fon­dan­do la Lega Met­al­lur­gi­ca Fem­minile. In mez­zo a loro c’è Nora, Nori­na per la famiglia, ma lei insiste per far­si chia­mare Nora. È bel­la, non tan­to e non solo per gli occhi inten­si, gran­di, e la capigliatu­ra fol­ta, nera, ma per il piglio, la deter­mi­nazione, la forza che mostra quan­do mar­cia con le sue com­pagne, a tes­ta alta, fiera. Nedo pro­va sen­ti­men­ti che non riesce a capire fino in fon­do: è bel­la, gio­vane, la desidera come un uomo può desider­are una don­na, ma insieme pro­va rispet­to e tim­o­re, anzi, qua­si fas­tidio. Si, a essere onesto con se stes­so la sua com­bat­tiv­ità lo dis­ar­ma; ha sen­ti­to par­lare delle com­pagne riv­o­luzionar­ie russe e france­si che com­bat­tono al pari degli uomi­ni, ma via, qui in Marem­ma, tra noi, che bisog­no c’è di riu­nir­si solo tra com­pagne, non è meglio lottare tut­ti uni­ti, fian­co a fian­co con gli uomi­ni? Il sen­so di pro­tezione che pos­sono offrire i com­pag­ni non è meglio di questo vol­er­si dis­tinguere, di fare incon­tri e riu­nioni per con­to loro? Si, a essere onesto l’ammira per il suo cor­ag­gio e la sua deter­mi­nazione, ma la teme anche un po’: sarà capace di stringer­la tra le brac­cia e far­la sua, come desidera dal pri­mo giorno che l’ha scor­ta tra i man­i­fes­tanti? La dol­cez­za che pro­va può sposar­si con la forza e la fierez­za? Beh, decide che il dub­bio se lo vuole pro­prio togliere e, sì, insom­ma, alla pri­ma occa­sione ci vuole provare!
Le occa­sioni cer­to non mancher­an­no, forse oggi stes­so, in piaz­za, e poi lui è dell’Unione Sin­da­cale Ital­iana, e in Cam­era del Lavoro si incon­tr­eran­no di sicuro. Potrebbe invi­tar­la alla gran fes­ta dan­zante che si ter­rà fra due domeniche pro­prio alla Cam­era del Lavoro a Piom­bi­no. Bas­ta solo trovare il cor­ag­gio di far­si avan­ti!
Nedo in questi anni si spos­ta spes­so tra Campiglia Marit­ti­ma, dove si incon­tra con i mina­tori dell’Etruscan Mines, e Piom­bi­no, dove si sono for­mate le leghe dei met­al­lur­gi­ci e le altre leghe operaie. Nedo lavo­ra come apprendista per Ettore, imbianchi­no e ges­satore. È con­tento del suo lavoro, e di non dover andare a striscia­re sot­toter­ra, nel­la semi­oscu­rità, a res­pi­rare i gas velenosi spal­la a spal­la con i com­pag­ni mina­tori e con la morte, sem­pre lì pre­sente come fos­se una del­la squadra; risalire poi nero e sporco, con il pic­cone in mano e le ossa rotte. La dif­fi­coltà con­geni­ta a res­pi­rare è sta­ta la sua for­tu­na, in miniera non l’hanno volu­to, e a 9 anni ha cer­ca­to un arti­giano che lo pren­desse con sé come gar­zone. Ora che son pas­sati tan­ti anni potrebbe anche met­ter su bot­te­ga da solo, ma tutte le sue energie van­no al cir­co­lo Stu­di Sociali e al sin­da­ca­to. Le energie, e soprat­tut­to le not­ti e le domeniche: c’è da orga­niz­zare, dis­cutere, preparare, è appe­na pas­sato un anno di scioperi e di man­i­fes­tazioni come non se n’erano mai visti!
In famiglia di queste cose cer­to non può par­larne, il fratel­lo mag­giore lo rim­provera per il suo impeg­no politi­co e sin­da­cale, può met­ter­si nei guai, essere arresta­to, perse­gui­tato, costret­to alla fuga e all’esilio. Lui, Oreste, di cer­to non met­terebbe in peri­co­lo se stes­so e la gio­vane moglie. La madre invece sospi­ra, social­isti e anar­chi­ci sono con­tro la chiesa, e lei, che la domeni­ca va a mes­sa, e con le amiche di sem­pre sfi­la in pro­ces­sione dietro al Cristo Mor­to o al Cor­pus Domi­ni, come fa a com­pren­dere i dis­cor­si del figlio, che tuona con­tro il potere cler­i­cale? E poi tut­to quel par­lare di ref­er­en­dum per il divorzio e di buttare a gambe all’aria il potere cos­ti­tu­ito! Eppure …. Che la Chiesa è sem­pre dal­la parte dei poten­ti, e che i tor­ti che subis­cono loro, gente umile, trova­vano ben poca com­pren­sione tra le tonache di preti e monache, quel­lo lo capisce anche lei, mah, chissà, sospi­ra … Spera solo che il suo Nedo non fac­cia una brut­ta fine, spera e osser­va; e riflette: qui il futuro non può che essere gramo, come quel­lo suo e del­la sua famiglia. E se invece che rischiare le botte e la galera il suo Nedo par­tisse per le Americhe? Così ave­va fat­to il figli­o­lo di sua cug­i­na pochi anni pri­ma, chissà che non riesca a fare for­tu­na, lag­giù, così lon­tano.
Il padre di Nedo par­la poco, alle dis­cus­sioni tra i due fratel­li e alle pau­re del­la madre non dà un sosteg­no chiaro, lui ne ha viste tante di ingius­tizie, si può dire che è cresci­u­to a botte e ingius­tizie, pri­ma come brac­ciante agri­co­lo e poi come manovale nel­la costruzione dei pozzi delle miniere aperte dal­la Etr­uscan Mines. Ne ha visti cadere di com­pag­ni, por­tati via dai veleni delle miniere, da una trave che cede, da un inci­dente che li muti­la e li rende stor­pi e inutili, un peso per le loro famiglie. Con la fine del Gran­d­u­ca­to ave­va vis­to fare un paese nuo­vo, l’Italia, ave­va ass­apo­ra­to le idee di Mazz­i­ni, sper­a­to nel­la repub­bli­ca, in un paese più gius­to, come tut­ti i mazz­ini­ani intorno a lui. Ma di gius­tizia nel paese nuo­vo ne ha poi vista ben poca, e il Mazz­i­ni, tan­to ama­to da lui e dal­la sua gente, dimen­ti­ca­to, tra­di­to: ora gov­er­nano i gabel­lieri nuovi e i padroni di sem­pre. Forse quel figli­o­lo un po’ di ragione ce l’ha, le cose non pos­sono mica andare avan­ti così per sem­pre! Repub­bli­ca, social­is­mo, anar­chis­mo, per lui che è anal­fa­be­ta son tutte parole vuote, ma le riven­di­cazioni no, quelle le capisce, e capisce chi sta dal­la loro parte, e chi no.

Ore 7.20. L’aria è anco­ra fres­ca all’ombra delle sec­o­lari costruzioni del rione Roc­ca. Nedo si tira su il bavero, l’autunno sem­bra più pre­coce dell’anno pas­sato, ma poi, con l’avanzare delle ore i col­ori dell’estate tor­nano a rispec­chiar­si sulle case in pietra, gio­can­do con l’ombra che si nasconde nei vicoli più stret­ti. Aspet­tan­do i com­pag­ni che devono arrivare con il car­ret­to, Nedo scam­bia qualche paro­la con Otel­lo. Di qualche anno mag­giore di lui, mina­tore, Otel­lo è alto, cor­po­ratu­ra snel­la, con gli occhi cas­tani e la fronte spaziosa, ha gira­to tan­to, è sta­to fuori Campiglia, e ha impara­to. Ha conosci­u­to i com­pag­ni di Piom­bi­no e dell’Elba, di Livorno e del­la Val di Ceci­na, insieme ad altri ha parte­ci­pa­to alle prime lotte dei mina­tori, giù al Tem­peri­no.
Otel­lo in miniera ha per­so il padre, col­pi­to da un crol­lo di una gal­le­ria. Era appe­na sta­ta aper­ta dagli ingle­si la nuo­va vena del­la miniera, sen­za badare a fare le cose per bene. Insieme a lui sono mor­ti altri lavo­ra­tori. Dopo aver sep­pel­li­to i pro­pri mor­ti han­no capi­to che dove­vano unir­si nel­la lega, così come han­no fat­to i boscaioli di Mon­tero­ton­do, i cava­tori di alabas­tro di Volter­ra, i met­al­lur­gi­ci di Piom­bi­no. Otel­lo è uno dei fonda­tori del cir­co­lo anar­chico, e nelle lunghe sere d’inverno davan­ti al fuo­co del braciere o d’estate sot­to le stelle gli ha rac­con­ta­to dell’onda di riv­ol­ta che sta attra­ver­san­do l’Europa, dell’unione tra i lavo­ra­tori per con­dizioni di lavoro migliori.

Gra­zie a lui ha conosci­u­to Pietro Gori. La pri­ma vol­ta che lo ha ascolta­to era anco­ra un ragazz­i­no: è sta­to al comizio tenu­to dieci anni pri­ma a Campiglia Marit­ti­ma al Teatro dei Con­cor­di, quan­do l’avvocato ave­va dife­so i lavo­ra­tori campigliesi incrim­i­nati. Un bell’uomo, con quei baf­fi folti e il viso rego­lare, gli occhi pro­fon­di, ave­va un’eleganza inna­ta e un caris­ma stra­or­di­nario. La fol­la lo ascolta­va rapi­ta, era come se Gori rius­cisse a trasfor­mare in parole i pen­sieri non det­ti, la rab­bia e la voglia di riscat­to.
E poi c’era sta­to quell’ultimo comizio a Porto­fer­raio, il 13 novem­bre del 1909, a un mese dal assas­sinio di Fer­rer, in cui Pietro Gori era appar­so per l’ultima vol­ta in pub­bli­co per com­mem­o­rare il riv­o­luzionario cata­lano. Ave­va trat­teggia­to la sua vita e colto l’aspetto pecu­liare del suo pen­siero: Fran­cis­co Fer­rer è un lib­er­tario che com­bat­te con­tro la monar­chia e una chiesa ret­rogra­da e oscu­ran­tista, e ha capi­to qual­cosa di impor­tante: la lib­ertà si con­quista sì con le lotte, ma ci vuole anche una diver­sa edu­cazione. È l’educazione ad essere nega­ta a tan­ti figli del popo­lo, men­tre invece ai figli del­la borgh­e­sia l’istruzione viene propina­ta in modo autori­tario, for­gia­ta dai pregiudizi, cuci­ta addos­so in modo da ren­dere schi­avi anche loro, suc­cu­bi del potere. Si, ecco, la sua idea è quel­la di una scuo­la moderna,razionale, lib­era dall’influenza del potere e del­la Chiesa, che educhi alla lib­ertà, alla pos­si­bil­ità di pen­sare con la pro­pria tes­ta, e non solo a obbe­dire. Fer­rer ha fonda­to la pri­ma Escuela Mod­er­naa Bar­cel­lona, e poi molte altre in Cat­a­logna e in Spagna.
Lui, Nedo, a scuo­la ha avu­to la for­tu­na di andare fino alla terza classe; quel poco di istruzione che ha rice­vu­to gli fa di molto como­do! In paese era sta­ta fon­da­ta la Scuo­la Comu­nale del mae­stro Michele Ami­ci – buo­nan­i­ma -, il pri­mo mae­stro di Campiglia, e ci pote­vano andare anche i figli del popo­lo. Il mae­stro ave­va aper­to addirit­tura le scuole ser­ali, vol­e­va che a leg­gere, scri­vere e far di con­to potessero impara­re pro­prio tut­ti, anche lui ave­va spe­so la sua vita per l’educazione. Ma quan­ta pau­ra, quante costrizioni gli è costa­ta: Si stu­di­a­va con l’obbedienza e la dis­ci­plina, su quel­lo pro­prio non c’era da dis­cutere! Fer­rer invece ha un’altra idea di scuo­la, pro­prio l’opposto di quel­la esistente: un’educazione lib­era dai pregiudizi e rispet­tosa del­la spon­taneità del bam­bi­no.
Nedo ripen­sa alle parole di Gori. A dieci anni dall’apertura del­la pri­ma scuo­la per l’infanzia, Fer­rer viene accusato di aver fomen­ta­to la riv­ol­ta popo­lare dell’estate 1909 a Bar­cel­lona, la sem­ana trag­i­ca. Con un proces­so som­mario basato su false accuse viene con­dan­na­to alla pena cap­i­tale. In tut­ta l’Europa si dif­fonde un’ondata di protes­ta con­tro la sen­ten­za, da parte di riv­o­luzionari, di intel­let­tuali, del­la stam­pa, dei politi­ci di tan­ti schiera­men­ti, laici, social­isti, repub­bli­cani, persi­no lib­er­ali. A nul­la val­go­no gli appel­li, le man­i­fes­tazioni, le let­tere, e le proteste dei gov­erni e dei par­ti­ti, fat­te per­venire in tut­ti i modi alla monar­chia spag­no­la. Rinchiu­so dall’estate nel carcere di Mon­tjuich il 13 otto­bre 1909 viene assas­si­na­to per fucilazione.
L’emozione di quel­la gior­na­ta era sta­ta molto forte, forse anche per l’angoscia di vedere Gori già così prova­to dal­la malat­tia. Dopo il comizio si era for­ma­to spon­tanea­mente un cor­teo, con le bande musi­cali e le bandiere che sven­tola­vano al ven­to.
Si, era sta­ta l’emozione di quel­la gior­na­ta a trasfor­mare la scon­fit­ta in un prog­et­to, quel­lo di las­cia­re una tes­ti­mo­ni­an­za perenne alla memo­ria di Fer­rer. Era sta­to nel viag­gio di ritorno in bar­ca con i suoi com­pag­ni che ave­va pre­so for­ma l’idea di dedi­care a Fran­cis­co Fer­rer una lapi­de nel cen­tro di Campiglia Marit­ti­ma.
Curiosa figu­ra in realtà quel­la di questo Fran­cis­co Fer­rer y Guardia, cata­lano, colto, stu­dioso e libero pen­satore. E curioso, in fon­do, essere qui oggi con i suoi com­pag­ni, in piaz­za a Campiglia Marit­ti­ma, a ren­der­gli onore. Quan­to può sem­brare lon­tano il suo mon­do di razion­al­ista che ha gira­to l’Europa per dif­fondere le sue idee, che ha scrit­to lib­ri, fonda­to scuole, da quel­lo di un povero arti­giano, figlio di brac­cianti di un pic­co­lo bor­go del­la Marem­ma! Ma no, per lui, Nedo e per loro tut­ti, questi tre anni dal suo assas­sinio è come se lo avessero reso più vici­no, frater­no, com­pag­no delle fatiche e delle lotte di tut­ti i giorni. Loro han­no bisog­no di Fer­rer, han­no bisog­no del suo esem­pio e han­no bisog­no di ricor­dar­lo.

Ore 7.30. Arri­va dal­la Fuci­na­ia il car­ret­to con i marmisti e i mura­tori. Trasportano la lapi­de avvol­ta in un grande pan­no, posato sopra la paglia, per­ché non si sci­upi nel trasporto. Dopo un abbrac­cio veloce tra chi è già li ad atten­dere e i nuovi venu­ti, ci si mette subito al lavoro. Per la posa del mar­mo bisogna pri­ma preparare il muro, pren­dere le mis­ure, mesco­lare la mal­ta, far tut­to a rego­la d’arte, ci mancherebbe altro!
Intorno al pic­co­lo cantiere si avvic­i­nano i pri­mi curiosi. Chi osser­va, chi dà, non richiesto, i suoi con­sigli, chi appro­va l’operato degli altri.

Ore 7.50. Pas­sa don Pao­lo con la sua lun­ga tonaca nera che si avvia di gran pas­so ver­so la chiesa per cel­e­brare la pri­ma mes­sa del­la domeni­ca. Guar­da di tra­ver­so e bor­bot­ta tra sé e sé, beh, non pro­prio tra sé e sé, in realtà lo sentono tut­ti inveire con­tro quei mis­cre­den­ti nemi­ci del­la san­ta-madre-chiesa.
Un gio­vane gar­zone di bot­te­ga, poco più di un bim­bo, sor­ride, ma non capisce bene per­ché don Pao­lo ce l’ha tan­to con le per­sone che sono lì. Chiede a Nedo, suo lon­tano par­ente, e lui volen­tieri cer­ca di spie­gar­gli la ragione. Nedo non è tan­to bra­vo con le parole, e glielo rac­con­ta come sa, e come ha capi­to lui. Fer­rer, che oggi vogliamo com­mem­o­rare, era con­tro i preti e la chiesa per­ché opp­ri­mono i poveri, per­ché la scuo­la in Spagna è tut­ta in mano loro, e loro non solo difendono sem­pre il potere del Re, ma sono anche con­tro la scien­za, con­tro la ragione ed il pro­gres­so. È con­tro l’ignoranza e in dife­sa del­la Ragione che Fer­rer è sta­to assas­si­na­to, un po’ come Gior­dano Bruno da noi in Italia, tem­po fa. Il gar­zone non capisce pro­prio tut­to, sono tante le cose che non conosce, ma si immag­i­na che questo Fer­rer sia dal­la sua parte, dal­la parte dei gar­zoni di bot­te­ga, dei brac­cianti, dei mina­tori, di chi non ha impara­to e non sa usare le parole per difend­er­si.

Ore 8.45. Ecco, il lavoro di posatu­ra è fini­to. Il mar­mo è mura­to alla parete dell’edificio, la mal­ta sta asci­u­gan­do, Nedo e i suoi com­pag­ni ammi­ra­no con com­mozione e orgoglio la scrit­ta che recita: “Torque­ma­da disse ai monarchi/uccidiamo il pensiero/Ferrer rispose si carnefici/la scuo­la moderna/scriverà con il mio sangue/la vos­tra con­dan­na”.

Quante riu­nioni al cir­co­lo per dis­cutere e decidere come fare! Nedo ripen­sa alla lun­ga battaglia per ottenere il per­me­s­so di innalzare una lapi­de, al comi­ta­to per la rac­col­ta dei fon­di. Quan­to tem­po ci ave­vano mes­so, quan­ti pic­coli sac­ri­fi­ci per ognuno di loro. All’inizio ave­vano pen­sato persi­no ad una stat­ua, come quel­la eretta a Roc­cat­ed­erighi, o a Castag­ne­to, ma coi denari rac­colti pro­prio non ci si face­va … e poi le dis­cus­sioni sul testo da scri­vere … La frase su Torque­ma­da l’aveva trova­ta Astorre, che poi è quel­lo che ha più stu­di­a­to, si capisce, pri­ma di diventare cor­rispon­dente del Il Martel­lo, il gior­nale del­la Cam­era del Lavoro! A Nedo all’inizio non piace­va pro­prio, era trop­po com­pli­ca­ta, roboante.
Quan­to ci ave­vano ragion­a­to su ques­ta Inqui­sizionedei gesuiti, e su questo Torque­ma­da, solo il nome met­te­va pau­ra, ma alla fine si era­no con­vin­ti. Il ragion­a­men­to fila­va: Fer­rer è sta­to gius­tizia­to per la sua fede nel­la Ragione, per la sua riv­ol­ta con­tro il clero, pro­prio come durante l’Inquisizione, e questo Torque­ma­da è pro­prio il per­son­ag­gio che incar­na la vio­len­za con­tro la ragione e con­tro la lib­ertà. E poi fa venire in mente la tor­tu­ra, il ter­rore …

Ore 8.50. Bisogna ora montare il pal­co per gli ora­tori, a fian­co del­la lapi­de cop­er­ta da un drap­po e pro­tet­ta con una transen­na; le assi son già pronte, van­no por­tate qui in piaz­za e sis­te­m­ate, e poi chio­di e martel­lo, via, non bisogna perder tem­po!

Ore 9.30. Il pal­co è sis­tem­ato, è ora di spostar­si in Piaz­za Gior­dano Bruno, da dove alle dieci par­tirà il cor­teo. Già iniziano ad arrivare i pri­mi com­pag­ni da Piom­bi­no, dal­la Cam­era del Lavoro, e poi quel­li del­la piana, brac­cianti e arti­giani. Sono tan­ti, qual­cuno por­ta la bandiera, sono tut­ti vesti­ti a fes­ta, gli anar­chi­ci con il fioc­co nero come lui, altri con il faz­zo­let­to rosso al col­lo, sono alle­gri, la fol­la aumen­ta, sem­bra un giorno di fes­ta. Nedo è emozion­a­to, tut­ta ques­ta gente qui per un even­to orga­niz­za­to da lui e dai suoi com­pag­ni! Sono rius­ci­ti a portare anche il Comune dal­la loro parte, spe­ri­amo tut­to fun­zioni bene, la musi­ca del Con­cer­to Popo­lare Giuseppe Ver­di, i dis­cor­si degli ora­tori. Dove­va esser­ci la Filar­mon­i­ca Laica di Castag­ne­to, ma da ulti­mo si sono tirati indi­etro, inaf­fid­abili!
Ma ecco che improvvisa­mente l’emozione aumen­ta, il cuore bat­te: è arriva­ta Nora, con le sue com­pagne del­la Lega. Por­ta il vesti­to del­la fes­ta, quel­lo intero con le maniche a sbuf­fo in alto, e il col­let­to di piz­zo che le nasconde il col­lo. I capel­li neri, un po’ ric­ci, rac­colti in cima, sulle spalle uno scialle. Si avvic­i­na per salutare, Nedo è tut­to rosso e non riesce a dire niente di quel­lo che vor­rebbe, chissà cosa pen­sa Nora? Salu­tan­do Otel­lo, Nora gli si avvic­i­na e i loro cor­pi si sfio­ra­no, Nora gli sor­ride, e lo prende in giro: Non avran­no mica fat­to qualche errore nel­la stesura del testo?! Già, come se lei fos­se una let­ter­a­ta che può venire qui a derid­ere la gente di cam­pagna, tut­ti le rispon­dono per le rime, la ten­sione si scioglie, e a Nedo rimane addos­so una sor­ta di piacev­ole elet­tric­ità.

Ore 9.50. Arrivano i musicisti, com­in­ciano a far­si largo tra la pic­co­la fol­la e a sis­temar­si per iniziare a suonare. Ora si aspet­tano solo gli ora­tori, il Seg­re­tario del­la Cam­era del Lavoro, il Sac­coni, e un com­pag­no che arri­va fin da Mas­sa Car­rara, l’Avvocato Francesco Bet­ti. Gli anar­chi­ci ci sono tut­ti, in pri­ma fila, anche quel­li di Livorno, di Castag­ne­to e di Mas­sa Marit­ti­ma. Sul­la lapi­de infat­ti sono incise la fiac­co­la e la sigla del­la FAI, la fed­er­azione anar­chi­ca. E poi ci sono tan­ti social­isti con le loro bandiere: anche se alla sot­to­scrizione han­no parte­ci­pa­to in tan­ti, bisogna ammet­ter­lo, sen­za il con­trib­u­to del Par­ti­to Social­ista e dei Repub­bli­cani tut­to questo non sarebbe sta­to pos­si­bile. I liberi pen­satori si mescolano alla fol­la dei com­pae­sani, la piaz­za si riem­pie sem­pre di più.

Ore 10.10, Il cor­teo si avvia dal­la piaz­za lun­go Via Fer­rer, pas­san­do davan­ti alla Scuo­la Comu­nale. La ban­da suona la Mar­sigliese, le bandiere e i ves­sil­li sven­tolano sopra le teste dei man­i­fes­tanti e dei curiosi, c’è anche quel­lo del­la Soci­età Coop­er­a­ti­va di Con­sumo e Lavoro. I campigliesi rimasti in casa si sporgono dalle finestre per seguire il cor­teo, sor­ri­dono, salu­tano. Il cor­teo svol­ta, e dal­la por­ta a mare entra nel­la cer­chia delle mura, anco­ra pochi metri e arri­va in Piaz­za Mazz­i­ni.

Ore 10.30. I com­pag­ni fan­no cen­no alla fol­la di fare silen­zio, la cer­i­mo­nia sta inizian­do. Astorre sale sul­la scala di fian­co al telo che copre il mon­u­men­to. Scan­disce ad alta voce poche parole, e poi, con un gesto deciso leva il drap­po. Appare la lapi­de. Nedo ha lo sguar­do riv­olto alla piaz­za: Nora applaude, felice, piena di vital­ità e calore, e la sua gioia, la sua ener­gia, sem­bra con­ta­gia­re tut­ti: le sue amiche, i com­pag­ni, i curiosi, le per­sone venute da fuori e i campigliesi, tut­ti applaudono e gri­dano. Gri­da anche il gio­vane gar­zone che lan­cia in aria il berret­to, entu­si­as­ta di far parte del­la fol­la fes­tante.
Più indi­etro nel­la piaz­za, tra i campigliesi, Nedo scorge il padre che si leva il berret­to in seg­no di rispet­to. Il padre lo fis­sa, serio, orgoglioso. In quel­lo sguar­do Nedo vede la sua comu­nità che oggi si stringe intorno al mon­u­men­to e si riconosce nel­la sper­an­za di un futuro diver­so.

Maria Cristi­na Janssen, nata a Milano si trasferisce a Campiglia Marit­ti­ma nel 2006. A par­tire dal 1981 ha sem­pre lavo­ra­to in ambito sociale, inter­ve­nen­do in prog­et­ti di inter­ven­to socio-san­i­tario, riabil­i­ta­ti­vo e di pro­mozione del­la salute. A questo lavoro si è presto aggiun­to l’impegno come for­ma­tore in cor­si riv­olti preva­len­te­mente a oper­a­tori in servizio e stu­den­ti di cor­si post-diplo­ma e uni­ver­si­tari. Di pro­fes­sione psi­colo­ga, attual­mente lavo­ra come Giu­dice Ono­rario pres­so il Tri­bunale dei Minoren­ni di Firen­ze. Fino­ra ave­va scrit­to diver­si arti­coli e un libro legati alla sua pro­fes­sione, quel­lo sopra è il suo pri­mo rac­con­to.

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