In Val di Cornia l’imperativo è demolire

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Alberto Primi

CAMPIGLIA 4 set­tem­bre 2017 — Ogni tan­to riap­pare sul­la stam­pa il caso del silos Solvay di San Vin­cen­zo che da anni ed anni è abban­do­na­to a sé stes­so e sot­to­pos­to ad un proces­so di degra­do sem­pre più veloce, almeno da quan­do le strut­ture in acciaio sono state messe a nudo gra­zie all’e­lim­i­nazione delle par­ti in cemen­to arma­to, sen­za che fos­sero sos­ti­tu­ite da alcunché.
Tut­ta la vicen­da è sin­tomat­i­ca di una per­ife­ria cul­tur­ale quale è quel­la del­la Val di Cor­nia dove ad esem­pio è sta­to demoli­to a Piom­bi­no il pri­mo alto­forno e a Campiglia Marit­ti­ma gran parte delle strut­ture del­la miniera di stag­no di Monte Vale­rio di pro­pri­età Sales.
Innanzi tut­to si nota la gret­tez­za del­la pro­pri­età, che pur essendo in zona da più di cen­to anni, non pen­sa neanche lon­tana­mente di pro­muo­vere almeno un con­cor­so di alto liv­el­lo per recu­per­are il silos e in qualche modo per sdeb­itar­si nei con­fron­ti di un ter­ri­to­rio nel quale ha sì por­ta­to lavoro ma  ha anche depreda­to dis­truggen­do mon­ti e inquinan­do il mare.
La Solvay, usan­do tut­ti i mezzi a dis­po­sizione per arrivare alla demolizione di un bene stru­men­tale il cui cos­to è sta­to ammor­tiz­za­to abbon­dan­te­mente in qua­si novan­ta anni, si com­por­ta come un qualunque palazz­i­naro che si muove solo nel­l’ot­ti­ca di demolire e sfruttare il più pos­si­bile quel­lo che ha, nel­la totale igno­ran­za del­la sua sto­ria e del val­ore intrin­seco.
D’al­tra parte il Comune, oltre ad oppor­si gius­ta­mente alla demolizione del silos, non ci risul­ta si sia mai pre­oc­cu­pa­to di richiedere alla Soprint­en­den­za ai mon­u­men­ti di apporre un vin­co­lo sul­l’ed­i­fi­cio, cosa che potrebbe benis­si­mo fare e che, in caso di esi­to pos­i­ti­vo, bloc­cherebbe defin­i­ti­va­mente il peri­co­lo del­la scom­parsa di un esem­pio impor­tante di arche­olo­gia indus­tri­ale.

Pier Lui­gi Nervi

Infine non si capisce per­ché la Soprint­en­den­za di Pisa e Livorno non si sia atti­va­ta autono­ma­mente, come sem­bra­va volesse fare più di due anni fa, per avviare e con­clud­ere l’iter nec­es­sario a vin­co­lare l’ed­i­fi­cio come mon­u­men­to e in quan­to tale pas­si­bile solo di inter­ven­ti non stravol­gen­ti e non cer­to di demolizione.
Che questo sia pos­si­bile lo dimostra il caso del sot­toat­tra­ver­sa­men­to fer­roviario di Firen­ze il cui prog­et­to prevede­va tra l’al­tro la demolizione di un edi­fi­cio degli anni trenta, qual­i­ta­ti­va­mente molto più modesto del silos di San Vin­cen­zo. La demolizione è sta­ta impedi­ta dal­la Soprint­en­den­za di Firen­ze che ha riconosci­u­to nel­l’ed­i­fi­cio un prog­et­to del­lo stu­dio del­l’ing. Angi­o­lo Maz­zoni (prog­et­tista di esem­pi famosi di architet­tura in Italia) e ha ritenu­to di apporre un vin­co­lo mon­u­men­tale, come pre­vis­to dal­la legge n. 1089 del 1939 e seguen­ti.
Come si vede dal­l’e­sem­pio, gli stru­men­ti per tute­lare un bene ci sono anche se questo non rien­tra nel­l’im­mag­i­nario col­let­ti­vo dei mon­u­men­ti (ville antiche, castel­li, parchi stori­ci, ecc.). Ci chiedi­amo allo­ra, e vor­rem­mo una rispos­ta, se queste pos­si­bil­ità sono state sfrut­tate e se no per quale ragione più forte del ris­chio che l’ed­i­fi­cio prog­et­ta­to dal­l’ing. Pier Lui­gi Nervi ven­ga fat­to sparire.

* Alber­to Pri­mi coor­di­na il Comi­ta­to per Campiglia

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