Val di Cornia: ancora protagonista o ormai…

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Paolo Benesperi

PIOMBINO 15 luglio 2013 — La crisi del­la siderur­gia da un lato ed il venire meno delle due con­dizioni su cui si è basato lo svilup­po del­la Val di Cor­nia così come del­l’I­talia, e cioè la disponi­bil­ità di risorse finanziarie pub­bliche e la man­od­opera gio­vane cor­re­la­ta alla cresci­ta demografi­ca, ren­dono nec­es­sario un rib­al­ta­men­to dei cri­teri fon­da­men­tali dis­cus­si e decisi nel cor­so di molti anni sul­lo svilup­po del­la Val di Cor­nia.
Sen­za nes­suna retor­i­ca si può dire che c’è bisog­no pri­ma di tut­to di un cam­bio di par­a­dig­ma.
È vero che la disponi­bil­ità di risorse pub­bliche non era poi così vera come si é cre­du­to e che in realtà si è risol­ta in deb­iti che deb­bono pagare le gen­er­azioni future, ma rimane il fat­to che oggi non c’è pro­prio più.
É vero che l’inizio del­la decresci­ta del­la siderur­gia risale al 1979, almeno dal pun­to di vista del­l’oc­cu­pazione, ma rimane il fat­to che, con un po’ di com­pet­i­tiv­ità in più e molti finanzi­a­men­ti pub­bli­ci sub specie ammor­tiz­za­tori sociali, ha garan­ti­to nel tem­po non poca occu­pazione.
Nes­suna di queste con­dizioni c’è più e dunque pri­ma di dis­cutere di ciò che occorre in aggiun­ta rispet­to ad oggi, bisogna por­si alcune domande basi­lari che fino a ieri era­no fuori del­lo spazio politi­co e forse anche cul­tur­ale.
Cosa vuole la Val di Cor­nia?
Se si accon­tenta di un ruo­lo mar­ginale in un ter­ri­to­rio mar­ginale allo­ra bas­ta dis­cutere di un po’ di più di tur­is­mo, di un po’ di più di infra­strut­ture, di un po’ di più di edilizia ed assumere un perenne atteggia­men­to di ricer­ca di risorse nel­la con­sapev­olez­za che di risorse ce ne sono e ce ne saran­no ben poche, ma tan­t’è non sarebbe l’u­ni­co ter­ri­to­rio mar­ginale. I gio­vani, soprat­tut­to quel­li com­pe­ten­ti, con­tin­uereb­bero ad andar via ma per for­tu­na oggi la mobil­ità è molto più facile di ieri e rag­giun­gere Milano o Lon­dra non è poi così dif­fi­cile.
Se invece non ci si accon­tenta e si riflette sul fat­to che per decen­ni e decen­ni la Val di Cor­nia è sta­ta nel cen­tro del mon­do per­ché soprat­tut­to la pro­duzione di acciaio, già a par­tire dai pri­mi inse­di­a­men­ti e poi nel sec­on­do dopoguer­ra, era davvero al cen­tro del­lo svilup­po allo­ra la doman­da da por­si è come si pos­sa rias­sumere quel ruo­lo cen­trale che l’ac­ciaio non assi­cu­ra più. Nem­meno ide­o­logi­ca­mente. E l’al­tra doman­da è come far­lo nelle con­dizioni mutate, soprat­tut­to dal pun­to di vista delle disponi­bil­ità finanziarie pub­bliche, e sec­on­do l’op­por­tuno e comunque inevitabile prin­ci­pio, da non dimen­ti­care mai, che, trasla­to a liv­el­lo europeo, affer­ma che l’Unione euro­pea, e la val di Cor­nia qui sta, si adopera per lo svilup­po sosteni­bile, basato su una econo­mia sociale di mer­ca­to forte­mente com­pet­i­ti­va. Del resto numerosi stu­di teori­ci ed empiri­ci, tra cui quel­li real­iz­za­ti da alcune delle prin­ci­pali orga­niz­zazioni inter­nazion­ali (OCSE, WB) dimostra­no la diret­ta con­nes­sione tra aper­tu­ra dei mer­cati, qual­ità del­la rego­la­men­tazione e svilup­po eco­nom­i­co.
operaioCi sarà la siderur­gia nel futuro del­la Val di Cor­nia? Ci sarà total­mente? Ci sarà parzial­mente? Ad oggi è dif­fi­cile dir­lo ma in ogni caso la prob­lem­at­i­ca situ­azione dovrebbe indurre a rifug­gire da due atteggia­men­ti quan­tomai dan­nosi.
L’uno con­siste nel­l’im­mag­inare l’im­pos­si­bile e cioè che pos­sano esistere per la siderur­gia inizia­tive che non rispet­tano le leg­gi del mer­ca­to e del­la con­cor­ren­za oppure sco­prire oggi disponi­bil­ità tau­matur­giche di finanzi­a­men­ti pub­bli­ci per ambi­ente, ricer­ca e for­mazione che in realtà esistono da tan­tis­si­mi anni oppure anco­ra immag­inare un’Eu­ropa chiusa nei pro­pri con­fi­ni pro­tet­ti da alte muraglie per difend­ere l’in­difendibile. L’ altro atteggia­men­to altret­tan­to dan­noso, ed in realtà al pri­mo cor­re­la­to, con­siste nel­la ricer­ca del­l’al­ter­na­ti­va o del­la com­ple­men­ta­ri­età nel­l’even­to salv­i­fi­co che anche nel­la situ­azione più com­pli­ca­ta ci pos­sa far uscire dai guai. Che è ciò che si è perse­gui­to negli anni più recen­ti con grande clam­ore ma nes­sun risul­ta­to.
Dai guai non si può uscire sen­za una visione chiara delle con­dizioni di con­testo ed azioni pun­tu­ali, coer­en­ti e con­tin­ue.
Cer­ta­mente alcune spe­cial­iz­zazioni e carat­ter­is­tiche come il por­to o i beni cul­tur­ali e nat­u­rali o l’a­gri­coltura di qual­ità sono utili, ma è pro­prio l’ap­proc­cio che deve cam­biare allargan­do lo spet­tro delle pos­si­bil­ità all’in­gres­so di attiv­ità oggi cen­trali, come è tut­to ciò che è con­nes­so ad esem­pio al dig­i­tale o la green econ­o­my, e sopratut­to ele­van­do nelle isti­tuzioni pub­bliche il liv­el­lo del­la indi­cazione e del­la pro­mozione e dimin­u­en­do il peso del­l’in­ter­ven­to diret­to e del­la ges­tione.
Nel pas­sato molto spes­so il ruo­lo delle isti­tuzioni pub­bliche è sta­to sia quel­lo del­la pro­gram­mazione sia quel­lo dell’ inter­ven­to diret­to sia quel­lo del­la ges­tione fino ad una fun­zione sos­ti­tu­ti­va in campi pri­vati. Era indis­pens­abile e le con­dizioni c’er­a­no e comunque il ruo­lo sos­ti­tu­ti­vo era con­cepi­to, anche se non sem­pre, come provvi­so­rio. Con­tin­uare così sarebbe un grave errore ma in realtà è pro­prio quel­lo che oggi si fa in peg­gio, ad esem­pio rin­sec­chen­do in una ges­tione angus­ta­mente pub­blicis­ti­ca espe­rien­ze, come la Soci­età dei parchi, che invece era­no state costru­ite per evolver­si ver­so la col­lo­cazione sul mer­ca­to e la creazione di red­di­tiv­ità.
Un tem­po il pub­bli­co crea­va aree pro­dut­tive essendo il peso del­la ren­di­ta fon­di­aria forte, oggi garan­tis­ca la pre­sen­za del­la ban­da larga e l’ac­ces­so al cloud e aiu­ti (non c’è bisog­no di denaro) le gio­vani start­up.
Qualche mese fa provo­ca­to­ri­a­mente affer­mam­mo che a Rim­igliano meglio sarebbe sta­to creare o sug­gerire di creare una farm per start­up inno­v­a­tive, oggi aggiun­giamo che è anche il caso di chieder­si se sia più utile la pre­sen­za di aziende pub­bliche in set­tori di mer­ca­to anche qual­i­fi­cati e non o piut­tosto creare i pre­sup­posti per­ché più pri­vati tro­vi­no appetibile la pre­sen­za in quei set­tori dan­do dunque a loro, con gare pub­bliche che pre­mi­ano la com­pe­ten­za nel­la com­pe­tizione, i denari pub­bli­ci quan­do ci sono o cre­an­do le con­dizioni per trovare van­tag­gioso provar­ci.
Oggi il prob­le­ma è pro­prio questo: creare le con­dizioni, tal­vol­ta finanziari­a­mente tal­vol­ta no, di un ambi­ente mag­gior­mente com­pet­i­ti­vo e con­cor­ren­ziale e le con­dizioni devono essere tali da sus­citare inter­es­si per inter­ven­ti e attori qual­i­fi­cati.
Si par­la in con­clu­sione di due prospet­tive com­ple­ta­mente diverse.
L’u­na prospet­ti­va crea un ambi­ente chiu­so l’al­tra accetta le sfide del­l’aper­tu­ra. Si sa bene che ogni paese quan­do ha accetta­to la sec­on­da ne ha vis­to i risul­tati.
Questo vuol dire muta­men­to di par­a­dig­ma: soci­età aper­ta con­tro soci­età chiusa, accogliere le pos­si­bil­ità e le occa­sioni offerte dal mon­do glob­al­iz­za­to o chi­ud­er­si e perire nel­l’as­fis­sia di un recin­to pro­tet­to, in realtà nem­meno più pro­tet­to solo asfis­siante.

(Foto di Pino Bertel­li)

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