Venturina Terme, nuovo parroco. Finisce un’epoca
VENTURINA TERME 28 ottobre 2018 — Si potrebbe dire che la Chiesa cresce: a Venturina dopo 42 anni se n’è andato un pretino, piccolo e fragile, e sono arrivati due marcantoni che insieme, e entrambi, spingono a valle l’ago della bilancia. La battuta, tipicamente maremmana che si sente in questi giorni, nasce dal primo sguardo che, se qualche volta non è privo di significato, neanche può dare comunque un senso compiuto agli avvenimenti.
Per un periodo lunghissimo la parrocchia della “Sacra famiglia” è vissuta nella tradizione e nella più rigorosa ortodossia. Il primo parroco, l’elbano don Enrico Sardi, giunto negli anni trenta, non ha mai smesso la tonaca, ha guardato di sbieco qualche novità nella liturgia e ha tirato avanti nel rigore e nella concretezza di un apostolato concepito a servizio assoluto della dottrina. Piuttosto burbero ma infinitamente generoso, ha concepito l’obbedienza, allora assolutamente cieca, come un dovere e insieme un diritto. Di fatto un valore assoluto imprescindibile.
Dopo la breve parentesi di don Renzo Negrini, a Venturina è giunto don Gianfranco Cirilli, che già aveva vissuto l’esperienza della chiesa della “Sagra famiglia” come aiuto di don Sardi e che il 21 ottobre scorso ha lasciato per l’età (78 anni) e per motivi di salute.
Di fronte ad ogni successione oggi si usa discettare di continuità o di discontinuità. Roba da un lessico che indulge al manicheismo in una società sempre più orientata verso il bianco o il nero che hanno pure preso ampio campo perfino nel mondo del pallone.
Nel caso dell’arrivo di Don Cirilli, continuità e discontinuità non hanno avuto però alcun senso. Il pretino, venuto da Monteverdi, aveva vissuto fin da bambino nell’insegnamento storico e tradizionalista di don Mario Cignoni, un prete di quelli della terra dei borghi distanti e distaccati che la lezione del Vangelo l’hanno voluta praticare nell’essenzialità dei mezzi che la vita ha messo loro a disposizione. Un inno al cielo che essi hanno alzato dalla continua abitudine alle minime cose terrene.
Gianfranco, per indole negato al compromesso sui principi di fondo, neanche si è sognato di discutere l’esperienza acquisita fin dalla prime battute della sua missione, e anzi per tutta la vita ha difeso valori che considerava colonne e travi di una vera impalcatura religiosa. I suoi studi, che per Cirilli sono stati esercizio quotidiano da sempre, lo hanno portato a riflettere, a cercare l’incastro giusto con i tempi nuovi, al confronto con chi ha avuto la forza e il coraggio di uguagliarlo, per vocazione intima, nel cammino della conoscenza e nell’esigenza del sapere. Non ha comunque tralasciato l’opera di evangelizzazione. Piuttosto a questa missione ha voluto avvicinarsi preparato e pronto di fronte al popolo dei catechisti, delle suore, del mondo di chi è corso ad ascoltare le sue omelie la domenica e le sue riflessioni durante la “lectio” del lunedì.
Preparazione e impegno totale, attenzione ai tempi nuovi ma comunque tradizione nella tradizione. Ovvero infinita vicinanza, oltre al rispetto, all’opera lontana e solo formalmente diversa di Don Enrico Sardi. Un cammino di uno, sulle orme dell’altro. Per quelli moderni certamente sarà piena “continuità” per uno come, per esempio fu Aldo Moro, più finemente è una “prosecuzione nella distinzione dei caratteri personali e dei tempi”. A unire i due preti perfino il legame fisico rappresentato dalla piazzetta davanti alla Chiesa che Don Cirilli ha voluto intitolare a don Sardi e che il parroco ha benedetto nel giorno del suo addio.
Se gli esami si fanno alla fine, Don Cirilli ha vissuto, domenica 21 ottobre, il proprio giudizio da parte del popolo cattolico. Il sacerdote ha vestito, in quel giorno di fine ottobre, i paramenti sacri per l’ultima volta da parroco. La chiesa era stracolma, l’attesa esisteva e si percepiva. Che Cirilli fosse l’impassibile personaggio che nella sobrietà nasconde l’emozione, non è credibile: ovvero un’apparenza che inganna.
Da ultimo all’”Ite Missa est” ha voluto leggere il suo saluto. Due pagine concepite con la convinzione delle cose da dire e con il cuore delle cose da condividere. È stato un bell’addio fino al dolce finale che ha ricordato il testamento di don Lorenzo Milani per i suoi ragazzi:: “Vi ho amato tutti e continuerò ad amarvi. A chi viene a prendere il mio posto auguro, per voi, ogni bene”.
Il lunghissimo applauso che ne è seguito è stato vissuto a testa bassa dal prete e con grande commozione sulle panche.
Il sindaco Rossana Soffritti, un personaggio duro nelle proprie granitiche convinzioni e tenero nei rapporti personali, non ha trattenuto qualche lacrima leggendo, quindi, un testo di quelli che in nome del sublime concetto del rispetto e dell’umanità tra simili, annullano ogni steccato. Così ha finito: “Ti auguro ogni bene, la serenità e il riposo che meriti con la certezza che sarai sempre al nostro fianco e che pregherai per noi”.
Il gruppo dei catechisti si è fatto avanti, unendo al regalo del sindaco (una xilografia con la raffigurazione di San Francesco del maestro Carlo Guarnieri), anche un proprio dono: un ottimo lavoro della pittrice Paola Salvestrini.
L’eredità che personaggi come Cirilli lasciano non è insignificante: l’esempio continuerà a confortare e le opere a ricordarlo, dall’Agape, il centro voluto e realizzato con il contributo dell’intera comunità, all’oratorio di Santa Lucia, restaurato e preservato rigorosamente solo come luogo di preghiera e di riflessione, alla Caritas che oggi assiste oltre 200 persone in condizioni difficili.
Per la sostituzione il vescovo Monsignor Carlo Ciattini ha pensato non poco. Compito difficile alla fine risolto sparando quella che appare oggi come la cartuccia più grossa. A Venturina ha infatti mandato il suo vicario, ovvero il numero due della diocesi, don Marcello Boldrini, parroco a Campiglia e con diversi compiti importanti in Curia: amministratore-economo, canonico della cattedrale a Massa, direttore dell’ufficio per i beni culturali ecclesiastici, membro del consiglio presbiterale, economo del seminario vescovile.
Considerata l’importanza di Venturina che, oltre alla parrocchia della “Sacra famiglia”, almeno sulla carta ne vanta un’altra a Coltie, Monsignor Ciattini ha pensato bene di affiancare a don Boldrini un aiutante, il giovane prete di origine africana, don Honorè Buating, attualmente vicario alla parrocchia dei Ghiaccioni di Piombino e con una esperienza italiana a Pescia.
Con una concelebrazione, presente il vescovo, sabato scorso la parrocchia ha iniziato un nuovo cammino.
È innegabile che alla “Sacra famiglia” si sia chiusa un’epoca che la storia consegna ormai ai ricordi. Così come è innegabile che con don Boldrini e con il giovane don Honorè se ne apra un’altra. Il cammino sarà connotato sicuramente da indirizzi e obbiettivi diversi perché i tempi cambiano, le persone, anche i preti, hanno le proprie concezioni, la popolazione non è più la stessa, valori e principi sono mutati, la macchina da scrivere e il fax che a Don Cirilli apparvero fino a pochi anni fa come strumenti moderni, oggi sono pura anticaglia che non regge il confronto con i prodigi dell’informatica. I socialnetwork, spesso piazze sguaiate, sono diventati il luogo delle conversazioni che qualche volta, ma purtroppo non sempre, si possono ignorare.
È un mondo che se n’è andato anche in un povero spicchio d’Italia che è una parrocchia come quella di Venturina.
Al fondo però resta la gente, quella mantiene caratteristiche oggettive che sopravvivono ai tempi, alle mode e alle evoluzioni. E la gente conserva un cuore, un’anima, propri sentimenti, proprie sensibilità, propri difetti, una spiccata capacità e una predisposizione a concedere e coltivare amicizia, stima, affetti.
La grande eredità che la parrocchia conserva è una semina che in molti ha generato i frutti migliori. Il grande impegno, al mutar di tutto e dopo tutto, è riuscire a mantenere questa stupenda caratteristica.